Anni con il FSI ovvero quanta strada abbiamo fatto
di Luca Mancini (FSI Roma)
Questo articolo uscirà un giorno prima della nostra assemblea nazionale: il momento più bello dell’anno per noi iscritti al FSI, perchè ci ritroviamo tutti insieme, dall’Alpe a Sicilia, e ci confrontiamo sulle esperienze avute nei diversi contesti regionali nel corso dell’anno. Quando penso a questo mi si riempie il cuore d’orgoglio e divento felice, perchè so che a chilometri di distanza da me, tra le valli alpine o nei paesini del profondo sud, c’è un mio fratello che crede in queste idee e lotta per esse con la mia stessa passione.
Una mattina di marzo, mentre facevo queste riflessioni, mi son tornate alla mente una serie di avventure che ho vissuto da quando ho aderito al FSI, o meglio ancora a quella che poi sarebbe diventata il FSI, ossia l’ARS, e mentre pensavo a questo mi sono reso conto realmente di quanta strada abbiamo fatto.
Tutto ebbe inizio nel settembre 2014, all’epoca ero un giovane neolaureato in storia contemporanea senza alcuna prospettiva, stracolmo di uno spirito critico che si era formato negli anni accademici a contatto con professori eccessivamente ortodossi. Nonostante ciò, avevo qualche certezza e la più solida mi si parava davanti in tutta la sua forza ed evidenza: vivevamo in una dittatura liberale multipartitica, guidata da Bruxelles. Non avevo mai sentito parlare del sovranismo, né avevo mai fatto letture di autori importanti per il nostro ambiente (Bagnai, Giacchè etc.), semplicemente avevo studiato attentamente la storia contemporanea, con particolare attenzione ai problemi economico-sociali ed ero infarcito di letture marxiane e keynesiane. Fatta eccezione per qualche amico e compagno di corso accademico nessun altro la pensava come me, finchè un giorno trovai sulla mia strada Gian Marco Onorati, il quale una sera, tra una birra e l’altra, mi consigliò di andare ad un incontro di questa ARS al teatro Tor di Nona a Roma. In quel piccolo teatro, non lontano dai palazzi del potere, non c’erano molte persone, ma fui fulminato dalle idee che venivano esposte. I presenti sembravano pensarla come me e per la prima volta pensai che forse poteva esistere un’associazione con le mie stesse convinzioni. Afferrai una copia del documento di analisi e proposte e mi presi del tempo per studiarlo attentamente. Alla fine della lettura, aderii convintamente all’ARS, conscio che quella che mi si parava davanti era una missione lunga e quasi impossibile, ma in fondo io venivo da anni e anni di opposizione solitaria (persino nelle assemblee di istituto scolastiche), perciò non ero minimamente spaventato.
In questo flusso di coscienza, questo è il mio primo ricordo dell’ARS, il quale va a legarsi immediatamente alla prima volta che incontrai Stefano D’Andrea. Era una sera di qualche mese dopo quel fatidico settembre ed eravamo in uno scantinato (si i nostri primi incontri erano perlopiù in tuguri sperduti) in zona San Lorenzo, dove proiettavamo il documentario “Il più grande successo dell’euro”. Dopo la proiezione mi invitò ad uscire e a bere una birra nel piccolo bar a fianco, se non altro capii ben presto che non era un’associazione per astemi, il che mi rendeva particolarmente felice. Inizialmente ero un po’ intimorito dall’uomo che aveva tirato su tutto questo e anche un po’ diffidente, perchè ormai ero diffidente contro tutti i professori accademici, ma in quella sera lui seppe sciogliere perfettamente tutte le mie titubanze. Ricordo che parlammo di tante cose, non solo di politica e di sovranismo, ma anche di storia. Alla fine una qualche buona impressione dovetti avergliela fatta anch’io, perchè qualche tempo dopo mi mandò un messaggio con su scritto: “vorrei scrivessi per Appello al Popolo”, così eccomi qua, dopo anni, a rompervi le scatole con le mie disavventure.
Successivamente insieme al mio valido compagno di avventure Gian Marco Onorati, organizzammo anche noi proiezioni e presentazioni e, per la prima volta, mi ritrovai a parlare in pubblico e a fare comunicati stampa per i nostri eventi. Capii che il partito mi stava formando, non stavo solo apprendendo nozioni, ma stavo imparando a fare cose che non avevo mai fatto: una sensazione che provo ancora oggi e che mi riempie di soddisfazione. In queste assemblee e riunioni ebbi occasione di conoscere persone validissime che ancora oggi fanno parte del FSI, ma anche personaggi improbabili che credevano alle cose più assurde: terrapiattisti, raeliani, decrescisti, rapper improbabili, nostalgici dell’unione sovietica del 1922 (badate bene non del ’23, né del ’21, ma del ’22) e persone che blateravano della “fine del lavoro”. Entrai in contatto con le più disparate teorie e spesso con Onorati, mentre sorseggiavamo rum e fumavamo sigari, ci interrogavamo sul perchè persone con siffatte idee venissero agli incontri sul sovranismo e spesso non trovavamo una risposta plausibile.
Tutto questo mio lavoro mi portò ad essere cooptato nel comitato direttivo, un incarico che ancor oggi ricopro con orgoglio. Ricordo che alla proposta risposi con un semplice: “obbedisco” di garibaldina memoria. Anche se ricoprivo un piccolo ruolo in una piccola associazione, mi sentivo investito di una responsabilità di portata storica. In me si faceva sempre più forte l’idea che noi fossimo apostoli che si apprestavano a risvegliare le coscienze per liberare e salvare la nazione.
Poi, dopo infinite discussioni sullo statuto nel comitato direttivo, venne il giorno: il 5 giugno 2016. L’ARS era diventata grande ormai e così nacque il FSI, il primo partito sovranista d’Italia. Uno dei miei ricordi più belli è Luciano Del Vecchio che legge le parole dello statuto, quasi non credevo alle mie orecchie e ai miei occhi. Eravamo in una sala stracolma (molto più grande dei nostri iniziali tuguri) con Luciano che leggeva parole di una tale forza e bellezza che ancora oggi mi commuovono. Era solo il primo mattoncino, ma in quel momento considerando da dove eravamo partiti, mi sembrava che fossimo arrivati così lontani. Non immaginavo minimamente che di lì a poco sarei stato candidato come consigliere alla regione Lazio.
Vennero le elezioni regionali 2018 e per la prima volta ci scontrammo con i problemi di politica pratica che conoscevamo appena. Nella sola provincia di Roma dovevamo raccogliere 2000 firme in un mese per poter presentare la lista: fu un mese di folli corse contro il tempo. Mi venne la mania della raccolta firme: la sera andavo a letto e pensavo a quante firme avevamo raccolte, la mattina mi svegliavo e il mio primo pensiero era come raccoglierne altre. Una mania che pervase anche la mia famiglia e i miei amici. Fu un’avventura indescrivibile, fatta di telefonate, incontri e riunioni nelle quali la domanda era una sola: “quante firme abbiamo raccolto oggi?”. Una volta raggiunto il numero minimo delle firme, venne il tempo dei manifesti elettorali. Fu così che io e il socio Fabrizio Ponzo ci ritrovammo ad attaccare manifesti nei posti più improbabili durante la notte, dopo una giornata di lavoro. Fu un’altra avventura fatta di manifesti con il faccione di Stefano Rosati, colle e il furgone di Fabrizio. Durante una di queste notti, mentre ci spostavamo da una località all’altra eravamo sintonizzati su radio1, dove improvvisamente a mezzanotte trasmisero l’inno nazionale. Ricordo che alzammo il volume e ci ritrovammo fomentati a cantare mentre attaccavamo manifesti: è un ricordo indelebile di un momento nel quale mi sono sentito al servizio della Patria.
Tutto questo fa parte della storia del FSI e deve servirci per guardare al futuro con maggior ottimismo. Eravamo una piccola associazione, ora siamo un piccolo partito che partecipa alle competizioni elettorali. Abbiamo militanti validi in ogni regione, fratelli apostoli che diffondono il verbo per la liberazione nazionale. Il futuro ci appartiene e ci libereremo!
Viva la Repubblica sovrana!
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