Le classi popolari non sono perdute
di JACOBIN ITALIA (Niccolò Bertuzzi e Loris Caruso)
Da una ricerca sulle periferie urbane di alcune città emerge che i bisogni e il senso comune sono tutt’altro che reazionari. Un’indicazione utile al dibattito post-elezioni
Negli ultimi giorni, la rincorsa all’analisi più rapida e intelligente rispetto al quadro politico-sociale restituito dalle elezioni europee del 26 maggio 2019 ha invaso testate di informazione e social media. Comprensibile, anche se in certi casi si è trattato di una smania di protagonismo analitico, e non sempre di contributi rilevanti o efficaci. Il nostro contributo, se riferito esclusivamente alle elezioni europee, è invece piuttosto semplice: se si guarda esclusivamente ai flussi di voto, la guerra è da dichiararsi totalmente persa e non sarebbe al momento possibile pensare di riaprirla su nessun fronte. Tuttavia, e su questo siamo d’accordissimo con l’articolo dei Wu Ming pubblicato su Giap nei giorni scorsi, omettere la popolazione del non-voto significa decidere arbitrariamente di non considerare quasi metà della popolazione italiana. Anche (ma non solo) lì bisogna invece guardare per recuperare terreno e rilanciare un’offensiva al carrarmato leghista. Non ci si può tuttavia limitare a quella fetta di popolazione, anche perché assumere interamente l’astensionismo come potenziale bacino di voti a sinistra sarebbe chiaramente miope.
Le analisi dei giorni scorsi si possono ridurre a due macro-categorie:
- 1) Salvini ha stravinto perché è stato bravissimo (oltre che mefistofelico) a comunicare, servendosi di fake-news, sensazionalismo, modalità rissaiole e muscolari moltiplicate da ogni tipo di media (e accompagnate negli ultimissimi giorni di campagna elettorale da messaggi ammiccanti al cattolicesimo, e dunque a un’altra bella fetta di elettorato);
- 2) Salvini ha stravinto perché la Lega è radicata nel territorio, fa quello che faceva il Pci, il popolo percepisce una maggior presenza e pragmaticità della Lega rispetto agli altri partiti, in primo luogo quelli della sinistra lato sensu.
Entrambe queste interpretazioni sono parzialmente vere, nessuna delle due estingue l’altra, e nemmeno tutte due messe insieme sono sufficienti a spiegare l’enormità e la diffusione del risultato della Lega in questa tornata elettorale.
A partire da queste premesse, nella prima parte dell’articolo consideriamo dati Swg relativi ai flussi di voto registrati alle elezioni del 26 maggio; nella seconda valutiamo questi dati in riferimento alla ricerca condotta da «Il Cantiere delle Idee», un’analisi accademico-militante sugli abitanti delle periferie di alcune città italiane (Cosenza, Firenze, Milano e Roma), i cui risultati sono raccolti in un libro di recente uscita dal titolo Popolo Chi? Classi popolari, periferie e politica in Italia, edito da Ediesse. Questa indagine dunque non si limita ai flussi di voto e a una fotografia del presente, ma ha cercato di indagare motivazioni e processi con uno sguardo più ampio.
Il Partito piglia-tutti
I dati Swg dicono senza mezzi termini che la Lega è un vero partito piglia-tutti. Non si scorge da questi dati una base sociale, culturale, anagrafica o di altro genere da cui ripartire per limitare l’avanzata della Lega di Salvini. Il concetto di partito piglia-tutti non è certo nuovo: introdotto da Otto Kircheimer negli anni Cinquanta del secolo scorso, è stato usato anche da noti politologi italiani per riferirsi a quei partiti il cui obiettivo era ottenere il più largo consenso possibile riducendo i riferimenti a classi sociali o a impostazioni ideologiche. Un esempio classico e auto-evidente è (stato) Forza Italia, ma anche il Movimento 5 Stelle e il Pd renziano hanno sostanzialmente agito in quei termini. Apparentemente, anzi, la Lega lo ha fatto di meno: nella retorica salviniana ha notevole spazio una certa aggressività (dissimulata e urlata): al di là del target di volta in volta oggetto di questa violenza verbale (e non solo verbale), non si può certo dire che l’approccio salviniano sia strategicamente ecumenico. Tuttavia la Lega ha realizzato l’obiettivo di ogni partito piglia-tutti: diventare dominante in modo diffuso e trasversale. Guardando i dati, infatti, Salvini vince fra tutte le classi sociali, tutte le coorti anagrafiche, è primo nel voto delle donne, vince al Centro, al Nord e pure in diverse parti del Sud (dove, pur non essendo ancora la forza politica principale, ha comunque guadagnato più di 800 mila voti in un anno). Recupera voti ovunque, fra i 5 Stelle, a sinistra, fra gli astenuti alle politiche del 2018, dal centrodestra moderato. Dal 2018 ha guadagnato 3 milioni di voti, mentre i 5 Stelle nello stesso arco di tempo ne hanno persi 6 milioni. L’unica differenziazione significativa all’interno del voto leghista sembra essere lungo l’asse centro/periferia, come sottolinea uno studio dell’Istituto Cattaneo: mentre è largamente dominante nei piccoli centri e nelle città di provincia, dove raggiunge una media di voti superiore al 40%, la Lega è solo secondo partito (dietro al Pd) nei comuni capoluogo.
In questa ecatombe i tre dati forse più impressionanti sono quelli relativi a operai, poveri e nuovi elettori. La Lega si attesta a circa il 50% (dei votanti) sia fra gli operai che fra i poveri, confermando in sostanza la capacità di imporsi a livello territoriale, laddove il voto viene assegnato soprattutto in riferimento a esigenze pragmatiche e di vita quotidiana, e guardando alle questioni del proprio quartiere/periferia/piccolo comune. La seconda ipotesi di cui sopra, insomma: il travaso del voto della classe operaia e dei nuovi poveri dai partiti di sinistra al Carroccio. Ma vince anche presso tutte le altre fasce sociali. Non solo vince ma soprattutto (è la cosa più interessante) cresce notevolmente presso tutte le classi sociali. L’unica dove la forbice col Pd è relativamente ridotta è il ceto medio, il che evidentemente non fa che rendere la situazione ancora più problematica. In secondo luogo, come dicevamo, la Lega è primo partito a livello transgenerazionale, il che testimonia come anche la spiegazione 1) di cui sopra sia assolutamente valida: capacità comunicative in grado di raggiungere target diversi e spesso confliggenti. I dati disponibili dimostrano tra l’altro come la Lega abbia speso per sponsorizzare la propria comunicazione social cifre incomparabilmente superiori a quelle degli altri partiti. Vince fra le generazioni che continuano a informarsi tramite la tv dove notoriamente Matteo Salvini è onnipresente; ma impazza anche nella generazione Z (i nati dopo il 1997). E, di nuovo, soprattutto cresce in modo incredibile presso questa coorte d’età, disegnando una parabola opposta a quella del partito che negli anni scorsi sembrava aver convinto e affascinato i più giovani, ossia il Movimento 5 Stelle: i grillini perdono addirittura il 25% dei voti presso gli elettori più giovani, mentre la Lega guadagna il 21%.
Contraddizioni
Fin qui l’analisi, descrittiva, di come le persone hanno votato a queste elezioni. La maggior parte delle ricerche adotta un approccio di questo genere. Negli ultimi anni è stato particolarmente vero quando si sia trattato di studiare il cosiddetto popolo. Tutti ne hanno parlato (media e partiti politici in primo luogo), molti ne hanno fornito fotografie descrittive, pochi invece hanno fatto parlare il popolo stesso, con l’obiettivo di capire più in profondità le sue caratteristiche e le ragioni di un (presunto o reale) spostamento a destra. È questo, come accennavamo, quanto ha cercato di fare il Cantiere delle Idee con la sua ricerca sulle classi popolari e le periferie italiane. Alcuni dei risultati emersi da questa ricerca confermano trend emersi dalle recenti elezioni europee e da quelle politiche del marzo 2018; altri risultati restituiscono una maggiore complessità. Ci concentriamo in questa sede – non potrebbe essere altrimenti – sulle questioni politiche; la ricerca ha indagato tuttavia anche la dimensione sociale, il tema del lavoro, l’influenza dei media e altri aspetti rilevanti.
Per quanto riguarda gli aspetti politici, dalla ricerca è emerso un quadro che non rende per niente ineluttabile il consenso dei ceti popolari alla destra. La parola che riassume meglio questo quadro è «contraddizione». Abbiamo trovato, tra gli intervistati, una rappresentazione del mondo politico che è costituita sempre, in tutte le dimensioni che abbiamo indagato, dall’opposizione della convivenza tra coppie di opposti. Questa è la cifra fondamentale delle rappresentazioni della politica tra le classi popolari. I problemi riscontrati nella propria vita quotidiana e nella vita sociale sono problemi prima di tutto materialistici: non lavorare o lavorare male, precari e sottopagati; la casa, l’accesso ai servizi e ai trasporti. L’immigrazione è spesso citata tra i problemi più importanti, ma anche di questa si segnala soprattutto il potenziale impatto materialistico. Il potere è collocato nella dimensione economica, nei grandi attori privati, nel denaro. Tuttavia, il disprezzo delle persone va soprattutto ai politici e ai partiti. Quasi mai gli intervistati si rivolgono polemicamente nei confronti di imprenditori o protagonisti del mondo economico, se non quando viene richiesto loro di specificare la propria posizione su questi temi. Il disprezzo per la politica, al contrario, prorompe spontaneamente. I problemi che si vivono dipendono per gli intervistati da un cattivo funzionamento delle istituzioni. Nello stesso tempo, si invocano il ritorno dei partiti e di politici autorevoli, e si ribadisce l’importanza della rappresentanza e delle istituzioni democratiche. Quasi tutto dei problemi dell’Italia è ricondotto a responsabilità dello Stato, ma si chiede il ritorno alla centralità dello Stato. Si difendono la concorrenza, la competizione economica e la meritocrazia, ma si è spaventati dallo stato di natura creato dal mercato e si chiedono politiche pubbliche redistributive.
Si ha verso la politica un atteggiamento di delega, ma nello stesso tempo si resta in attesa che qualcosa o qualcuno ricostruisca o inventi un popolo consapevole e capace di agire, con alcune venature di ribellismo. C’è un sentimento di distanza siderale da ogni parola ideologica che suoni di antico, ma spesso si invoca direttamente o indirettamente il ritorno a forme di pensiero forti e capaci di orientare. C’è una decisa inclinazione verso il nuovismo politico e il leaderismo, ma si tratteggia la figura di una nuova forma del partito di massa.
Contraddizioni, quindi, a volte estreme. Nessuna rappresentazione del sociale e del politico è mai, né è mai stata, pura e monolitica, nemmeno nel tempo in cui si contrapponevano ideologie forti e forze politiche strutturate. Tuttavia, la sismografia che abbiamo di fronte fa della contraddizione la sua stessa cifra, raggiungendo una caratterizzazione estrema.
Polarità intrecciate
Questo insieme di contraddizioni va a definire due polarità che potremmo identificare così. Da un lato, è emersa una polarità progressista sul piano delle politiche pubbliche e che richiede nuove forme di politica strutturata e di intervento istituzionale. Dall’altro, una polarità più marcatamente disincantata e cinica, che non intravede o non appare interessata a nessuna possibile soluzione ai problemi attuali, particolarmente sensibile agli allarmi suscitati sul tema dell’immigrazione (ma che tuttavia quasi mai diventa sovranista, nazionalista o razzista), meno favorevole ai temi della redistribuzione e più vicina ad accenti mercatisti.
Possiamo affermare che ci sia una prevalenza del primo polo sul secondo. Sfumata, ambigua, ma presente. Sui temi del lavoro e dello stato sociale abbiamo identificato un «senso comune progressista». Verso la dimensione politica, abbiamo visto in modo deciso la prevalenza di una richiesta di nuova politica istituzionale, tendenzialmente delegata. Dall’altra parte, non abbiamo mai osservato accentuazioni xenofobe o culturaliste dell’ostilità all’immigrazione, anche dove questa è presente. È poi unanime la richiesta di «ricostruire la società», cioè forme di solidarietà collettiva e appartenenza. Ciò non significa, in alcun modo, che le persone che abbiamo intervistato siano per lo più di sinistra. Solo una parte si considera tale. Tuttavia, rispettivamente ai contenuti e alle forme dell’azione politica richieste, si riscontra la prevalenza di un senso comune definibile come progressista.
Questi due poli non costituiscono due blocchi di persone distinte, ma sono aggregati e di opinioni e rappresentazioni che spesso convivono in una stessa intervista, e quindi in una stessa persona. Un polo è intrecciato all’altro. Come sempre, è la politica a decidere quali elementi, all’interno di un groviglio valoriale sempre complesso e contraddittorio, diventa egemonico. Le rappresentazioni politiche delle classi popolari, al contrario di ciò che sostengono molti osservatori, non sono in prevalenza reazionarie; tuttavia da un lato sono rappresentate come se lo fossero, e anche per questa ragione le forze politiche reazionarie si avvantaggiano meglio della loro contraddittorietà, dall’altro, queste stesse forze, come sta avvenendo in Italia, investono più di quelle progressiste nel raggiungere il consenso popolare e nel presentarsi come rappresentative dei bisogni delle periferie geografiche e sociali della società italiana. In questo momento, la Lega ci è riuscita. Ma non è sempre andata così, nemmeno recentemente, e non è affatto detto che debba andare così in futuro. Nella contraddizione, vince chi riesce a imporre una rappresentazione politica. Le classi popolari (e le periferie geografiche e sociali) sono tutt’altro che un mondo perduto per la sinistra. Quello che appare evidente da questa ricerca è che non ci sono alibi: se si vuole provare a ristabilire un rapporto di fiducia e riconoscimento con questa parte di società, lo si può fare. Ma bisogna volerlo: bisogna farlo più che dichiararlo, lavorarci più che pensarci, sperimentare, sbagliare e riprovare. In secondo luogo, bisogna conoscere questo mondo nella sua realtà materiale e culturale. Infine, bisogna essere creativi: nessuna declamazione di schemi retorici stanchi e forme d’azione consumate risulterà efficace.
Fonte: https://jacobinitalia.it/le-classi-popolari-non-sono-perdute/
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