Iran e Arabia Saudita: tensioni e sviluppi dopo il raid del 14 settembre
di SICUREZZA INTERNAZIONALE
L’Arabia Saudita ha avviato un’indagine sugli attacchi del 14 settembre e, qualora l’Iran venga scoperto responsabile, Riad considererà i raid un “atto di guerra”. Teheran, da parte sua, ha reso noto che agirà militarmente contro ogni aggressore fino alla “completa distruzione”.
Nella serata di sabato 21 settembre, il ministro di Stato per gli Affari Esteri saudita, Adel al-Jubeir, durante un’intervista della CNN, ha affermato che il suo Paese ritiene l’Iran pienamente responsabile dei raid effettuati il 14 settembre ai danni delle principali strutture petrolifere dell’Arabia Saudita, questo poiché i missili e i droni che sono stati lanciati durante tale attacco sono di manifattura iraniana. Il funzionario ha inoltre aggiunto che è stata aperta un’indagine nazionale sulla vicenda; se verrà appurato che i vettori provenivano a tutti gli effetti dal territorio iraniano, Riad considererà l’evento un “atto di guerra” e considererà l’ipotesi di una “azione militare”. Tuttavia, “nessuno vuole la guerra” e “tutti vogliono risolvere la situazione pacificamente”, ha specificato al-Jubeir, chiarendo però che il risultato finale deve essere la fine delle “politiche aggressive” di Teheran.
Nella medesima giornata, in Iran, il comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, il maggior generale Hossein Salami, ha pronunciato un discorso trasmesso dalla TV statale nel quale afferma che il Paese perseguirà e tenterà di distruggere ogni aggressore, anche chi scagli un “attacco limitato”, e continuerà in tale intento fino alla “piena distruzione” del nemico.
In tale contesto, il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha annunciato che, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, nella settimana entrante, presenterà un progetto per aumentare la sicurezza nel Golfo Persico e nelle acque del mar Oman in cooperazione con altri Paesi della regione.
l 14 settembre scorso, due impianti petroliferi della compagnia saudita Aramco, situati nelle province di Abqaiq e Khurais, nell’Est dell’Arabia Saudita sono stati colpiti da raid aerei, rivendicati dal gruppo di ribelli sciiti Houthi. L’impianto di Abaiq tratta la materia prima dell’oleodotto più grande al mondo, il gigante Ghawar, e lo esporta a Juaymah e Ras Tanura, l’impianto di carico a largo della costa, anch’esso, a sua volta, il maggiore a livello internazionale. Sebbene i ribelli abbiano dichiarato la propria responsabilità, gli Stati Uniti credono che sia l’Iran ad essere tra gli autori dell’attacco. In particolare, vi sarebbero prove che attestano la provenienza dei droni da una base iraniana, situata al confine con l’Iraq.
Il presidente americano, Donald Trump, aveva annunciato, venerdì 20 settembre, che gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzioni sulla Banca centrale iraniana, dopo circa una settimana dagli attacchi agli impianti petroliferi di Aramco, in Arabia Saudita. L’amministrazione USA ritiene che dietro l’offensiva, avvenuta il 14 settembre, ci sia il governo di Teheran, benché siano stati i ribelli sciiti Houthi a rivendicare gli attacchi e a dichiarare la loro responsabilità.
Il quadro delle relazioni Teheran- Washington è stato caratterizzato da un inasprimento delle tensioni a partire dall’8 maggio 2018, data in cui Trump ha deciso di ritirarsi dall’accordo sul nucleare ed ha imposto nuovamente sanzioni contro l’Iran. Tale mossa ha avuto come conseguenza una frattura dei rapporti tra le due parti, anche a causa degli eventuali danni all’economia iraniana.
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Consultazione delle fonti inglesi e redazione a cura di Claudia Castellani
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