Operazione turca in Siria: arriva l’accordo con Assad
di SICUREZZA INTERNAZIONALE (Piera Laurenza)
L’esercito turco e le forze ad esso affiliate hanno inviato rinforzi militari presso l’area di Manbij, situata ad Ovest del fiume Eufrate, nella zona rurale di Aleppo. Ciò fa seguito all’annuncio da parte delle Syrian Democratic Forces (SDF), secondo cui consegneranno le città di Ain al-Arab, altresì nota col nome di Kobane, e Manbij al regime siriano.
Stando agli ultimi aggiornamenti della mattina del 14 ottobre, le forze del regime siriano si sono avvicinate al confine siro-turco. Nello specifico, queste sono entrate a Tall Tamr, nel governatorato Nord-orientale di al-Hasakah, e nell’area rurale di Aleppo, e si prevede che milizie ibride, formate da uomini sia del regime siriano sia di provenienza russa, inizieranno da tali zone a respingere l’esercito di Ankara, impedendone l’avanzamento.
Pertanto, secondo quanto affermato da al-Jazeera, il rafforzamento delle forze turche rappresenta una risposta all’arrivo di milizie del regime nell’area. Tuttavia, la città di Manbij, sino ad ora, non era stata interessata dalle azioni turche, nel quadro dell’operazione “Fonte di pace”, intrapresa il 9 ottobre scorso. Quest’ultima si è concentrata prevalentemente sull’altra sponda dell’Eufrate, ad Est, ed in particolare nelle città di Tell Abyad e Ras al-Ayn.
Secondo accordi raggiunti con il regime siriano, con a capo il presidente Bashar al-Assad, le forze siriane e curde hanno annunciato, il 13 ottobre, che dispiegheranno le proprie forze al confine siro-turco, con l’obiettivo di frenare l’operazione “Fonte di pace”. A tal proposito, secondo quanto rivelato ad un’emittente televisiva locale, le milizie curde hanno cominciato a dirigersi verso il Nord della Siria. Tale mossa, a detta dell’amministrazione curda, rappresenta altresì un’occasione per liberare alcune città siriane, come Afrin, dalla presenza turca. Ciò rientra nei “doveri” del regime di proteggere i confini siriani e salvaguardare la sovranità del Paese.
“Fonte di pace” è un’operazione promossa dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che mira a contrastare le milizie curde presenti in Siria. Queste, a detta di Ankara, rappresentano una minaccia per l’integrità territoriale siriana. In particolare, l’obiettivo dell’operazione è porre fine ad un “corridoio terroristico”. Inoltre, secondo funzionari turchi, il fine è altresì creare una zona sicura che si estende dal fiume Eufrate a Ovest, fino alle città di Jarabulus e al-Malikiyah, nell’estremo Nord della Siria, con una lunghezza pari a circa 450 chilometri. A tal proposito, il vicepresidente della Turchia, Fuat Oktay, ha affermato che si tratta di un’area in cui i 3.6 milioni di rifugiati siriani potranno ritornare, per vivere in pace e sicurezza nelle proprie abitazioni.
Le SDF, guidate dalle Unità di Protezione del Popolo Curdo (YPG), sono state il principale alleato degli Stati Uniti in Siria, e, negli ultimi anni, hanno ampliato il proprio controllo nelle zone settentrionali ed orientali, fino ad occupare una vasta area che si estende per 480 km dal fiume Eufrate al confine con l’Iraq. La Turchia descrive le forze curde una “organizzazione terroristica” legata al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Quest’ultimo, da decenni, ha condotto una campagna armata per raggiungere l’autonomia in Turchia ed è considerato un’organizzazione illegale da Ankara.
A fianco dell’esercito turco vi sono, poi, le milizie della cosiddetta Turkish- backed Free Syrian Army (TFSA), nota altresì come Esercito Nazionale Siriano. Si tratta di un gruppo militare costituitosi il 30 dicembre 2017, formato da arabi siriani e turkmeni siriani, attivi nel Nord-Est della Siria e cooptati da Ankara anche precedentemente, con l’obiettivo di creare la cosiddetta “free zone” e contrastare le SDF. A detta di al-Jazeera, sono circa 18.000 i combattenti di tale fazione addestrati e finanziati dalla Turchia che, negli ultimi anni, hanno combattuto contro le forze del regime siriano, prendendo parte anche agli scontri a Idlib, nel Nord-Ovest della Siria.
L’operazione di Erdogan è stata duramente condannata a livello internazionale, anche da alcuni Paesi del mondo arabo. Non da ultimo, il 12 ottobre, la Lega araba ha tenuto una riunione ministeriale ad al Cairo, in cui è stata evidenziata la necessità di preservare l’unità e l’indipendenza della Siria, ed è stato chiesto alla Turchia di porre fine alle proprie operazioni militari, oltre ad invitare la comunità internazionale a farsi carico delle proprie responsabilità.
Tuttavia, la dichiarazione finale dell’incontro ha incontrato critiche ed opposizioni. Il Marocco ha affermato che questa non riflette la posizione ufficiale del regno, mentre il Consiglio Supremo di Stato libico ha dichiarato che le decisioni prese sono il risultato di un’agenda e di “conti” di due soli Paesi, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi, a detta della rappresentanza libica, si stanno altresì adoperando per destabilizzare l’integrità territoriale ed il tessuto sociale del proprio Paese. A tal proposito, la Libia si è rifiutata di soddisfare la richiesta della Lega araba di ridurre la rappresentanza diplomatica e di interrompere la cooperazione con Ankara.
FONTE: https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2019/10/14/operazione-turca-siria-arriva-laccordo-assad/
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