Il piano perfetto di Xi in India e Nepal
di LIMESONLINE (Giorgio Cuscito)
A Chennai e a Kathmandu, Xi ha ottenuto quel che voleva: trascurare i dossier sensibili ed espandere gli interessi cinesi in Asia Meridionale.
Per la Repubblica Popolare, tutto calmo sul fronte sudoccidentale – apparentemente. Durante i viaggi in India e in Nepal (11-13 ottobre), il presidente cinese Xi Jinping ha raggiunto due obiettivi: preservare l’intesa cosmetica con Delhi e rafforzare allo stesso tempo la presenza in Asia meridionale.
Xi e il primo ministro Narendra Modi si sono concentrati sulle questioni economiche trascurando le contese territoriali e l’espansione delle attività cinesi nei paesi alla periferia dell’India, Nepal incluso.
Paradossalmente, l’algido rapporto con l’India è storicamente un elemento di stabilità per la geopolitica cinese. Malgrado le dispute di irrisolte, il confine sino-indiano è infatti quello che nel corso dei secoli ha registrato meno cambiamenti per l’Impero del Centro. La geografia himalayana ha sin qui scoraggiato l’invasione cinese da nord e quella indiana da sud.
A tale riflessione di lungo periodo, si somma quella di natura contingente. Pechino è impegnata nella delicata gestione della competizione commerciale, militare e tecnologica con gli Usa e delle proteste a Hong Kong. L’innesco di nuove frizioni con Delhi sarebbe controproducente. L’India teme l’ascesa militare della Repubblica Popolare e la sua sinergia con il Pakistan. Questa è stata confermata dall’incontro tra il primo ministro pakistano Imran Khan e Xi prima del vertice sino-indiano. Eppure in questa circostanza, Modi ha preferito focalizzarsi sul tema commerciale, tenuto conto del fatto che anche Delhi è nel mirino dei dazi statunitensi.
La “stabile sfiducia” sino-indiana
L’incontro informale a Chennai (India orientale) tra Xi e Modi è stato il proseguimento ideale di quello svoltosi a Wuhan (Cina) lo scorso anno. Quel vertice era servito a scongelare i rapporti diplomatici dopo il faccia a faccia tra le truppe dei due paesi nell’area del Doklam, conteso tra Repubblica Popolare e Bhutan.
Stavolta, Pechino e Delhi hanno istituito un non specificato meccanismo per riequilibrare il deficit commerciale dell’India verso la Repubblica Popolare, oggi pari a 55 miliardi di dollari. Anche a causa di tale dato, il governo indiano non ha ancora sciolto le riserve riguardo l’adesione alla Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), l’accordo di libero scambio proposto dalla Cina. La partecipazione alla Rcep potrebbe infatti accrescere ulteriormente il flusso di prodotti made in China nel mercato indiano. Durante la presidenza Obama, gli Usa avevano deciso di contrastare la Rcep sponsorizzando fortemente la Trans Pacific Partnership, dalla quale si sono poi ritirati con l’avvento di Trump. Agevolando così i piani di Pechino in questo campo.
Xi e Modi hanno affrontato il tema della collaborazione militare e in chiave antiterrorismo, poiché sono entrambi interessati alla stabilità regionale. Eppure hanno invece sorvolato l’aspetto più caldo delle relazioni sino-indiane: Delhi teme che l’espansione degli interessi cinesi in Nepal, Bhutan, Pakistan e Afghanistan a nord e nelle Maldive e nello Sri Lanka a sud determini l’accerchiamento tattico dell’India. Islamabad è il nemico giurato – e nucleare – di Delhi e un partner di Pechino nello sviluppo della Belt and Road Initiative (le nuove vie della seta), il progetto geopolitico promosso da Pechino per espandere la sua influenza in Eurasia. Il Pakistan è attraversato da uno dei corridoi infrastrutturali che la Repubblica Popolare vuole utilizzare per aggirare lo Stretto di Malacca, cioè il primo collo di bottiglia sorvegliato dagli Usa lungo le rotte commerciali dirette verso Occidente. Non senza riserve, Delhi vorrebbe riavvicinarsi agli Usa nell’ambito del per ora fumoso meccanismo di dialogo quadrilaterale (Quad) insieme a Giappone e Australia per contenere le ambizioni cinesi.
I due leader hanno di fatto lasciato insolute le annose dispute territoriali, limitandosi a promettersi reciprocamente di gestirle cautela. La recente decisione di Delhi di abolire l’autonomia dello Stato di Jammu e Kashmir e scinderlo nei territori del Kashmir e del Ladakh, implica la manifestata rivendicazione indiana su territori storicamente contesi con la Cina e il Pakistan, che non a caso hanno formalmente respinto la manovra.
La Repubblica Popolare e l’India sono separati dalla Line of actual control (Lac). Questa linea di demarcazione (non un vero confine) lunga 4 mila chilometri è stata tracciata nel 1962 quando, a seguito di un conflitto a fuoco tra i due paesi, il territorio dell’Aksai Chin e la regione Arunachal Pradesh (Tibet meridionale) sono stati assegnati rispettivamente a Pechino e Delhi.
Gli sconfinamenti a cavallo della Lac sono frequenti e generano periodiche diatribe tra le truppe dei due paesi. Il più recente si è verificato lo scorso mese lungo le rive del lago Pangong, tra il Ladakh e l’Aksai Chin. La scaramuccia si è conclusa senza sparare un colpo. Lo stesso è accaduto nel 2017, quando la Cina ha cercato di costruire una strada nell’area del Doklam. Delhi teme che da lì la Cina possa invadere il Corridoio Siliguri e separare il mainland indiano dalla sua porzione nordorientale, schiacciata tra Nepal, Bhutan, Repubblica Popolare, Bangladesh e Myanmar.
Infine, Xi e Modi non hanno parlato dei possibili investimenti di Huawei nella rete 5G indiana. Delhi non ha ancora deciso se respingere le offerte del gigante tecnologico, che è pronto a specificare negli accordi l’esclusione di backdoor nelle eventuali infrastrutture sul territorio indiano. Prima di scegliere, l’India terrà conto anche delle possibili ritorsioni degli Usa, impegnati in una serrata campagna anti-Huawei nel mondo mirata ad arginare l’espansione tecnologica made in China.
Lasciata Chennai, Xi si è recato in Nepal. Qui è emerso il senso della Cina per l’Asia Meridionale. Erano ventidue anni che un leader della Repubblica Popolare non visitava il paese himalayano, strategico cuscinetto tra le due potenze asiatiche. L’esordio di Xi è stato d’impatto, visto che ha annunciato aiuti economici per 56 miliardi di rupie (492 milioni di dollari) tra il 2020 e il 2022. Inoltre, Pechino e Kathmandu hanno siglato 18 memorandum d’intesa e due lettere d’intenti. In particolare intendono collegare la capitale nepalese rispettivamente a Gyirong, in Tibet con una linea ferroviaria lunga 70 chilometri e al confine cinese con un tunnel di 20 chilometri. Inoltre, è in programma un progetto per la fornitura di risorse idriche e la costruzione di parchi industriali. Se attuati, questi provvedimenti darebbero concretezza all’adesione nepalese alla Bri, avvenuta nel 2017.
Kathmandu vede nelle connessioni infrastrutturali con la Repubblica Popolare una soluzione per alleviare la dipendenza dall’India. Quest’ultima rappresenta due terzi dell’interscambio commerciale nepalese e la piattaforma di transito dei suoi flussi di merci da e verso l’Oceano Indiano. Inoltre, in Nepal l’80% della popolazione è induista. Tali fattori determinano un forte legame culturale con l’India. Legame che la Cina tenta di scardinare a suon d’investimenti.
Il prossimo anno Pechino e Delhi celebreranno il 70° anniversario delle relazioni sino-indiane. Ma la ricorrenza non allevierà la loro rivalità.
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