Malgrado il tasso di crescita del Pil cinese rimanga nettamente al di sopra di quello Usa e soprattutto di quello Ue, sembrerebbero esserci segnali di difficoltà economica sulla base dei dati recentemente diffusi dall’ufficio nazionale di statistica cinese e relativi agli ultimi otto mesi del 2019.
Il dato più significativo è rappresentato dal calo dei profitti realizzati dalle imprese industriali cinesi. Nel periodo gennaio-agosto il saggio di profitto (profitti totali sui ricavi) ha raggiunto il 5,87%, cioè lo 0,38% in meno rispetto al corrispondente periodo del 2018[i]. Inoltre, la massa del profitto realizzato nei primi otto mesi del 2019 risulta dell’1,7% inferiore al corrispondente periodo del 2018. Tale calo, però, non è uniforme in tutti i settori dell’industria e qui sta un altro aspetto interessante. Infatti, è il settore pubblico a subire il calo maggiore con un decremento del -8,6%, seguito dalle imprese di proprietà estera (comprese quelle di Hong Kong, Macao e Taiwan) con il -5,8%. Le imprese joint-stock (ad azionariato diffuso) rimangono stabili. L’unico settore che cresce è quello privato con il +6,5%. Inoltre, la massa del profitto realizzato dalle imprese private cinesi è di poco inferiore a quello delle imprese statali, raggiungendo i 1.130,34 miliardi di yuan contro i 1.214,15 miliardi delle statali.
A incidere sul calo del profitto è la manifattura (-3,2%), mentre il settore minerario e quello delle utilities crescono, rispettivamente del +2,1% e del +11%. All’interno della manifattura calano alcuni settori tipici dell’export cinese, come il tessile (-3,4%) e la manifattura di computer e strumenti di comunicazione e elettronici (-2,7%).
Al calo dei profitti fa riscontro il permanere anche a settembre dell’indice PMI (Manufacturing Purchasing Managers Index) al di sotto della soglia limite del 50% (49,8%), che indica la contrazione dell’attività manifatturiera[ii]. Per la verità se scomponiamo l’indice vediamo che l’indice della produzione è al di sopra del 50% (52,3%), indicando in questo modo una espansione dell’industria manifatturiera. Il calo al di sotto della soglia limite è dato dall’acquisto delle materie prime (47,6%) e soprattutto dall’occupazione (47,0%), che sta a indicare una riduzione dell’impiego di forza lavoro da parte delle imprese manifatturiere.
Nel complesso l’economia cinese viaggia ancora a livelli sostenuti. Il Pil nei primi tre trimestri (gennaio-agosto) è cresciuto del +6,2%, grazie, però, più al terziario (+7%) che alla manifattura (+5,6%) e all’agricoltura (+2,9%)[iii]. Per quanto riguarda i settori d’attività, la crescita di gran lunga maggiore è stata registrata dall’informatica e dai servizi IT (+19,8%), segno di una spinta dell’economia cinese verso l’innovazione tecnologica. Tuttavia, si registra un calo progressivo della crescita del Pil sia tra i primi tre trimestri del 2019, sia soprattutto nei singoli trimestri rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anzi, dal 2014 si riscontra un calo quasi ininterrotto rispetto all’anno precedente.
Certamente la Cina deve far fronte sia al rallentamento dell’economia mondiale sia alla politica di dazi che gli Usa stanno introducendo e quindi alla difficoltà di collocamento delle sue merci sul mercato delle esportazioni: nel 2018 il surplus commerciale della Cina, dopo aver raggiunto il picco nel 2015, è andato riducendosi e nel 2018 è stato inferiore del 16,5% rispetto all’anno precedente.
Ma la Cina deve far fronte anche a notevoli problemi interni soprattutto relativamente alla redditività degli investimenti, dimostrata dal calo del saggio e della massa di profitto, che denota la possibile esistenza di condizioni di sovraccumulazione di capitale. L’esistenza di una tale condizione può essere indicata anche dalla crescita molto sostenuta degli investimenti negli ultimi anni, in particolare da quelli in strumenti e macchinari. Questi investimenti sono raddoppiati tra 2010 e 2017, passando dai 5,38mila miliardi di yuan agli 11,5mila miliardi annui[iv].
Del resto, il calo della massa dei profitti e del saggio di profitto inizia a gennaio-febbraio 2019, quando tocca il picco negativo rispettivamente di -14,0% e di 4,79%. A tutt’oggi, pur essendosene ridotto il decremento, l’andamento dei profitti assoluti rimane negativo rispetto all’anno precedente per l’ottavo mese consecutivo, così come il saggio di profitto rimane ancora al di sotto del livello del 2018.
La situazione è quindi preoccupante, perché la crisi che minaccia di nuovo gli Usa e soprattutto la Ue, che non si è mai del tutto ripresa dalla crisi del 2009, potrebbe questa volta coinvolgere anche la Cina, che pure era rimasta illesa nel corso della crisi precedente. Nel 2009 il Pil della Cina, infatti, crebbe del +9,4% mentre quello della Germania e degli Usa, ad esempio, decrebbe rispettivamente del -5,62% e del -2,53%[v]. A questo proposito sarà importante capire come agirà il governo cinese a sostegno dell’economia e delle imprese statali, che, come abbiamo visto, sono quelle che si trovano nella situazione peggiore dal punto di vista della redditività. In ogni caso, un eventuale e più consistente rallentamento della Cina aprirebbe scenari foschi per tutta l’economia mondiale.
[i] National Bureau of Statistics of China, Press Release, Industrial Profits Decreased 1.7 percent in the First Eight Months of 2019.
[ii] National Bureau of Statistics of China, Press Release, Purchasing Managers Index for September 2019.
[iii] National Bureau of Statistics of China, Press Release, Preliminary Accounting Results of GDP for the Third Quarter of 2019.
[iv] National Bureau of Statistics of China, National data, Annual, Investment in Fixed assets, Structure of Investment in Fixed Assets in the Whole Country.
[v] Unctad, Database, Economics Trends, National Accounts, Gross Domestic Product.
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