Care ragazze, dal Muro di Berlino al Lolita Express è un attimo
Di MICIDIAL (Massimo Bordin)
Le celebrazioni ufficiali a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino sono state più altisonanti che in passato. Non c’è telegiornale che non ne abbia parlato in apertura. Non c’è giornalista che non l’abbia ricordato, né scuola dell’Occidente che non abbia svolto i dovuti approfondimenti. Per molti, si è trattato di uno dei momenti più belli del Novecento che dunque andava celebrato con frizzi e lazzi. Per altri (in forte minoranza), si trattò della fine di un sogno.
Non è possibile negare un fatto: quel sogno, il comunismo europeo, dopo alterne fasi di progresso, si era concluso in un incubo per tantissime persone.
Dunque, la caduta fu un bene, no?
Il problema per un’analisi serena sul muro di Berlino è la memoria, che NON è la storia, mentre per vicende come l’edificazione e la caduta del Muro sarebbe necessario usare la storia, e non la memoria, che è sempre un fatto individuale.
Lo storico, au contraire, dovrebbe sforzarsi di prendere in esame tutti i punti di vista ed evitare di fornire giudizi assoluti, ma solo giudizi in fieri, cioè giudizi che lascino spazio a sempre nuove riformulazioni.
Siccome, però leggo ovunque riferimenti fuorvianti e propagandisti alla memoria, e NON alla storia, allora lo faccio anch’io, visto che è così comodo.
Quando il Muro di Berlino era in piedi, io come molti che mi leggono c’eravamo già da un pezzo.
Cosa ci ricordiamo?
Qualcuno avrà anche avuto occasione di visitare qualche paese al di là del Muro, anche se nel mio caso l’esperienza è limitata alla Jugoslavia.
Tutti quanti ci ricordiamo che i ragazzi che vivevano oltre la cortina di ferro possedevano meno cose di noi. Se noi avevamo due televisioni ed il videoregistratore, ad esempio, loro avevano una sola televisione. Se noi avevamo il chiodo, un bomber ed un k-way, loro avevano solo il bomber. Se noi avevamo in casa due automobili: una del papà ed una della mamma, loro avevano solo un’auto di famiglia. Se noi potevamo scegliere tra 4 o 5 modelli di automobili, loro solo un paio (la Trabant e la Wartburg).
Prima che cadesse il Muro ho visto (conosciuto è una parola grossa) diversi cittadini giovani dell’europa orientale. Non erano tristi. Non erano infelici. Non erano bassi e non erano denutriti. Anzi, i cechi erano alti 20 cm più di noi, in media. Le serbe di 1 e 70, erano da considerarsi basse per essere serbe… I polacchi ed i tedeschi della DDR non di rado erano in sovrappeso. L’istruzione era nettamente sopra i nostri standard, e non ho mai saputo di croati o tedeschi della DDR ignoranti; spesso sapevano bene almeno 2 lingue, ed erano molto forti nelle materie scientifiche e nei giochi di logica. Stravincevano il campionato mondiale di scacchi e primeggiavano alle olimpiadi. Negli anni Ottanta, quando io ero adolescente, i ragazzi provenienti da quei paesi scimmiottavano la musica rock o elettronica o punk angloamericane proprio come facevamo noi italiani (Alberto Camerini, i Litfiba), come facevano i francesi (Rockets, Plastick Bertrand) o i tedeschi dell’ovest (Nina Hagen) o gli olandesi (Van Hallen).
La caratteristica principale dei ragazzi e delle ragazze dei paesi comunisti era che possedevano meno cose di noi (due paia di scarpa e non cinque, ad esempio) e che somigliavano ai ragazzi dell’area tedesca occidentale per via di un diffuso cattivo gusto nell’abbigliamento e nel taglio dei capelli. Un italiano in gita non avrebbe distinto un ventenne di Berlino Ovest da uno di Berlino est, o da Mosca, o da Praga o da Vienna. Il normotipo era questo: capelli biondastri corti sopra e lunghetti dietro; due baffetti da sparviero che avrebbero fatto impallidire Marina Ripa di Meana, un paio di jeans stinti stretti in fondo e le scarpe alte nere, possibilmente sporche. Russi, tedeschi, polacchi, slavi, austriaci e svizzeri… erano indistinguibili per noi italiani degli anni Ottanta.
La televisione però ci faceva vedere un’altra cosa: per i media all’est era tutto un pullulare di ragazzi che non vedevano l’ora di precipitarsi da noi e che, quando lo facevano, magari per meriti sportivi, rilasciavano dichiarazioni al fulmicotone sui loro paesi d’origine tra i singhiozzi e lacrime copiose. Gli atleti dell’est vincevano tutte le competizioni, ma ci dicevano che ciò avveniva perché erano tutti ipermega dopati (noi no…) e Ivan Drago, gigante stupido e cattivo, in quegli anni sul grande schermo provava ad uccidere un italoamericano ipervitaminizzato di nome Rocky.
Tuttavia, non ho avuto modo di conoscere milioni, né migliaia, né centinaia né decine di russi, polacchi o tedeschi dell’est in quegli anni, mentre sono arciconvinto che sia possibile per un inglese o un tedesco oggi conoscere decine, se non centinaia, se non migliaia di italiani emigrati (e non come turisti, dico proprio come emigrati). In altri termini, io non ricordo migrazioni di massa da quei paesi, mentre le vedo oggi da altri paesi capitalisti, come la Nigeria.
Lo spiego meglio. Polacchi e albanesi che sono arrivati all’ovest sono in numero importante dopo la caduta del muro, ma è una quantità risibile se confrontata con quella dei russi che sono migrati dopo la caduta del Muro, ad esempio. Pensateci: quanti inglesi o americani avete conosciuto nella vostra vita? E brasiliani o argentini? Bene, adesso confrontate tale cifra con quella dei russi che avete conosciuto, sia prima che dopo il Muro, e vi sarete fatti un’idea.
Queste sono le cose che ricordo io. Non è quello che ricordate anche voi?
Lo chiedo perché ho come l’impressione che ai miei figli stiano raccontando che al di là della cortina di ferro vivessero tutti tra gli stenti, rovistando nei bidoni dell’immondizia, senza istruzione, senza la televisione, senza corrente elettrica, con un’attitudine al suicidio che neanche in Norvegia…
E non solo mi ricordo bene cosa vedevo IO attorno a sto benedetto Muro di Berlino, ma ricordo anche meglio ciò che accadde poco dopo.
In questi mesi, mentre si celebra il trentennale della caduta, sono passate un po’ troppo in sordina le cose che accaddero subito DOPO, come due guerre del Golfo, la macelleria dei Balcani, i bombardamenti a Belgrado, i colpi di stato nordafricani, il terrorismo jihadista, la crisi economica.
Per andare più sul leggero, pochi hanno ricordato, ad esempio, ciò che accadeva in America, a diversi piedi di quota. Vi dice nulla l’areoplanino simpaticamente battezzato “Lolita Express”? Vediamo in breve di cosa si trattava.
Tra le vittime del giro perverso di Jeffrey Epstein – leggo proprio oggi sul Corriere – c’era anche la modella e pilota di aerei Nadia Marcinko, classe 1986. Negli atti dei primi processi compare come una delle «schiave sessuali» del miliardario, e in alcuni articoli usciti negli anni si ipotizza che avesse lasciato l’ex Jugoslavia, suo Paese natale, a quindici anni, per essere stata praticamente «venduta» a Epstein. Soprattutto, in molte ricostruzioni della vicenda risulta che pilotasse regolarmente il «Lolita Express», il Boeing 727 privato di Epstein a bordo del quale viaggiavano le ragazze (spesso in compagnia di uomini potenti).
Nei registri di volo del «Lolita Express» fra il 2002 e il 2003 figura spesso anche lui, Bill Clinton, già indicato come amico di lunga data di Epstein. Passeggera abituale insieme a lui, secondo il sito Gawker, era una pornostar archiviata nella rubrica di Epstein alla voce «Massaggi»
Ho proposto un piccolo ricordo del Paradiso che abbiamo realizzato dopo la caduta del Muro solo per segnalare che la mia memoria conta tanto quanto quella dei commentatori che da qualche giorno pontificano sul comunismo reale. Ed è curiosamente molto diversa dalla loro.
Fonte: http://micidial.it/2019/11/care-ragazze-dal-muro-di-berlino-al-lolita-express-e-un-attimo/
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