La libertà come dovere di combattere
di STEFANO D’ANDREA (Presidente del FSI)
La libertà è fare ciò che sappiamo e sentiamo di DOVER fare, secondo un’etica pubblica o collettiva (per esempio la religione) e secondo la nostra morale (coscienza) privata. Eccedere nell’alcool o nelle scommesse, nel fumo, nella droga e cercare il sesso fuori dal rapporto d’amore (se si ha un rapporto d’amore) non sono libertà ma vizi ossia cedimento ad impulsi che minano la libertà. Può dispiacere a noi viziosi ma è così.
Voler essere imprenditori di sé stessi, vigili consumatori, assumere la mentalità severa del cliente e la perenne gentilezza commerciale con annesso sorrisino non è libertà ma adesione ad una morale privata altrui della quale altri ci persuade. Significa essere assoggettati.
Vestire da pagliacci o da prostitute non significa essere liberi ma essere pagliacci o mignotte. Essere calcio-dipendenti, tele-dipendenti, social-dipendenti, videogioco-dipendenti, porno-dipendenti, sport-dipendenti non significa essere liberi ma depressi. Essere cinici non significa essere liberi – la persona libera è (deve essere) spietata, non cinica, se ricopre un ufficio pubblico – ma miserabili e egoisti patologici.
Cercare e desiderare la quantità, di donne, di viaggi, di iniziative, di metri quadri, di libri, di pubblicazioni, di fans, di lettori, di ascoltatori, di “esperienze”, di conoscenze, anziché la qualità, non significa essere liberi ma superficiali e insicuri, cedere a impulsi infantili o caratteriali che minano la libertà.
La libertà è dunque lotta e combattimento, contro la persuasione promossa dagli agenti del capitale, contro i vizi, contro la depressione, contro il narcisismo patologico, contro le nostre debolezze. Non c’è atto libero che non sia atto doveroso e atto di combattimento.
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