Intanto in Italia
di GILBERTO TROMBETTA (FSI Roma)
L’accoppiata Carfagna-De Romanis non poteva che regalarci grandi soddisfazioni. La prima d’altronde, da quando è parlamentare, ha studiato tanto con l’aiuto di “veri esperti”. La seconda ha scritto un libro il cui titolo non necessità commenti, L’austerità fa crescere. E così quella che ha studiato coi veri esperti ci dice che il problema non è l’euro, ma la produttività. E posta un grafico. Che parte dal 1999. Invoca le mitiche riforme. Cioè l’ulteriore compressione dei diritti dei lavoratori e, quindi, dei salari. Che, ricordiamolo sempre, stagnano da circa 40 anni per il 75% dei lavoratori circa.
Ovviamente la seconda non poteva non correrle in aiuto:
Lei che invoca l’austerità quando l’Italia è in avanzo primario dal 1992. Dalla firma del trattato di Maastricht. Allora diamogliela anche noi una mano con un grafico della produttività. Che parte un po’ più da lontano però:
Esatto, avete già capito. Il problema della produttività italiana è l’ormai famigerata epidemia di corruzione e fancazzismo che ha fulminato gran parte della popolazione nel 1997. Altro che euro e Unione Europea.
LA PRODUTTIVITÀ
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) misura il valore aggregato di tutti i beni e servizi prodotti in un’economia in un dato lasso di tempo (di solito un anno). Nel modello keynesiano – più centrato sul lato della domanda a differenza dei modelli liberali centrati sull’offerta – corrisponde a tutto quello che viene speso in un’economia, cioè alla domanda aggregata (AD).
PIL ( Y) = Consumi (C) + Investimenti (I) + Spesa pubblica (G) + Bilancia commerciale (saldo esportazioni X – importazioni M).
Quindi il PIL cresce se cresce la domanda aggregata. Cioè quando aumentano i consumi delle famiglie (C), gli investimenti delle imprese (I), la spesa pubblica (G) e le esportazioni (X). Anche la crescita della produttività, come la crescita del PIL dipende dalla domanda aggregata. Come spiega perfettamente la professoressa Antonella Stirati: «Il tasso di crescita della produttività, noi abbiamo delle ragioni di ritenere che sia anche questo largamente endogeno, non completamente, ma largamente endogeno. Che significa: ci sono due leggi empiriche, che una volta si studiavano e oggi non più, che sono la legge di Okun e le legge di Kaldor, entrambe con solidissima evidenza empirica a sostegno, che ci dicono che nel breve periodo, legge di Okun, e nel lungo periodo, legge di Kaldor, il tasso di crescita della produttività del lavoro dipende dal tasso di crescita del PIL. Allora questo significa che per esempio tutti i piagnistei sul declino italiano, la produttività che cresce meno, e le piccole imprese, i dipendenti pigri, i lavoratori fannulloni, il mercato del lavoro rigido e tutta questa roba qui che ci raccontano, forse c’entra poco con un declino italiano che guarda caso inizia a metà degli anni 90. Perché fino a quel momento la nostra produttività cresceva più di quella della Germania, di quella della Francia, cresceva più di quella di tutti gli altri. Cioè comincia in un periodo in cui noi cominciamo ad avere avanzi primari, un tasso di cambio rigido e una distribuzione del reddito che peggiora molto a sfavore del lavoro dipendente. E quindi 3 fattori tutti e 3 che riducono fortemente la crescita della domanda aggregata. Più di quanto accade in altri Paesi. Quindi questa qui possiamo pensare che dipenda, anche quella, dalla domanda aggregata».
Questo vuol dire che quando le prefiche liberal-europeiste nostrane accollano il crollo della produttività italiana alle mancate riforme, alla corruzione, alla pigrizia dei lavoratori non sanno di cosa parlano nella migliore delle ipotesi. Mentono nella peggiore.
Perché sono stati proprio i vincoli dell’Unione Europea – con i tagli alla spesa pubblica (G) attraverso le privatizzazioni prima (IRI) e le politiche di austerità dopo – e l’adozione dell’euro – che ha reso meno competitivi i prodotti italiani all’estero influendo negativamente sulle esportazioni (X) – ad aver messo in difficoltà il Paese, causando disoccupazione, povertà, deflazione salariale, crollo dei consumi e, quindi, anche della produttività.
Tutto quello che l’Italia dovrebbe fare per tornare a crescere – assunzioni nel pubblico, investimenti pubblici, un nuovo IRI, aumento degli stipendi – è scritto nella nostra Costituzione. Che mette al centro il lavoro, la dignità della persona e l’intervento dello Stato nell’economia.
Ed è esattamente tutto quello che l’Italia non può e non potrà mai fare all’interno di Unione Europea ed Eurozona.
qui il video completo “Crescita, questa sconosciuta” da “Crisi dell’economia e crisi della teoria economica”
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