Sulla questione della prostituzione e della mercificazione sessuale
di L’INTERFERENZA (Fabrizio Marchi)
Fonte foto: Affari italiani (da Google)
Questo di seguito è nato come una serie di commenti su Facebook in risposta ad una compagna di Risorgimento Socialista nell’ambito di una discussione piuttosto accesa sul tema della maternità surrogata (utero in affitto) dove, ad un certo momento, è emerso il tema della prostituzione e della mercificazione sessuale, che, come ben sappiamo, viene derubricato solo e sempre a senso unico, cioè le donne vittime e gli uomini carnefici, le donne oggetti in vendita e gli uomini soggetti compratori.
Si tratta, ovviamente, di una semplificazione anche decisamente scontata e banale ma, al contempo rassicurante. Il punto è che la realtà non è mai così semplice e così rassicurante ma, al contrario, sempre più complessa e (molto) meno rassicurante di come la leggiamo e soprattutto vogliamo leggerla.
“Anche su questo tema della prostituzione, se riusciamo a toglierci il paraocchi ideologico e ad osservare la realtà con lucidità e razionalità, capiamo che la questione è molto più complessa di come normalmente siamo abituati a considerarla.
La premessa è che il traffico della prostituzione va combattuto senza se e senza ma. Resta da capire quali siano i mezzi e gli strumenti più efficaci, se la lotta senza quartiere alle organizzazioni criminali che andrebbe fatta a prescindere (con tutte le contraddizioni del caso perché sappiamo perfettamente che le mafie null’altro sono se non organizzazioni capitaliste criminali il più delle volte commistionate con gli stati e i governi; in molti paesi dell’America latina e dell’Asia sono direttamente al governo) oppure la legalizzazione che potrebbe togliere il brodo di coltura alle mafie stesse, o entrambe le cose nello stesso tempo. Faccio notare – appunto per far capire quanto il fenomeno sia complesso ed evitare i soliti luoghi comuni e stereotipi di genere – che il traffico della prostituzione (questo quasi nessuno lo sa…) è gestito a livello mondiale per il 60% da donne (facenti parte delle organizzazioni criminali, ovviamente…). Il dato è dell’ONU e dell’ufficio che specificamente si occupa del fenomeno, e fu riportato (lo ricordo perfettamente) da David Sassuoli in una edizione del TG1 Di cinque o sei anni fa. Volendo lo si può ricercare. Non mi invento nulla così come tutti i numeri, le cifre e le percentuali che riporto nei miei articoli e anche nel mio libro, presi sempre da fonti ufficiali (Istat, Inail ecc.).
Evidente, quindi, che le prostitute, quelle che vediamo per le strade, per capirci, sono delle proletarie e sottoproletarie sfruttate che vanno liberate dalla loro condizione e liberate dai loro aguzzini e dalle loro aguzzine (come vediamo, anche in questo caso, come in tutti gli altri, la questione è di classe e non di genere, dal momento che a lucrare sulla prostituzione sono uomini e donne appartenenti alle organizzazioni criminali…). Sono, in questo caso, delle “sorelle”, in quanto proletarie sfruttate, non in quanto appartenenti al genere femminile, anche se la loro condizione ha in questo caso una specificità femminile; del resto, anche molti uomini vivono una condizione di sfruttamento specificamente maschile, basti pensare, appunto, al fatto che a morire sul lavoro sono solo uomini (così come in guerra, da sempre…). Quindi – come vediamo, anche in questo caso – siamo di fronte alla stessa oppressione di classe che si declina in forme diverse anche in base alla specificità sessuale. Non c’è un sesso sempre e comunque oppresso e discriminato e un altro sempre e comunque in una posizione di privilegio e di dominio, come recita da sempre il femminismo. Questa logica, oltre ad essere infondata, è incompatibile con una logica di classe. Delle due l’una. Non possono convivere perché l’una esclude l’altra.
Ma torniamo a noi. Oltre alla prostituzione imposta sia con la forza che con il ricatto economico (in questo caso si deve essere solidali con le donne che la subiscono senza se e senza ma) esiste anche una prostituzione volontaria e consapevole, molto più diffusa di quanto si pensi. In questo caso siamo di fronte alla interiorizzazione dell’ideologia capitalistica, come accade per tanta altra gente che fa i più disparati mestieri. Queste prostitute (oggi chiamate escort) non lo fanno per fame ma per libera scelta e arrivano a guadagnare cifre altissime anche quando non esercitano autonomamente ma sono collegate ad agenzie. Occupandomi da parecchio tempo ormai di questi temi, è evidente che ho approfondito anche questo aspetto. In questo caso non sono né solidale né ostile, mi limito a registrare un dato. E cioè che molte donne fanno mercimonio consapevole del loro corpo e in molti casi lo rivendicano apertamente. In tanti altri invece lo fanno “segretamente”, collegate ad agenzie o anche in proprio (moltissime studentesse universitarie, ma anche impiegate ecc.). E’ ovvio che ragionando in termini assoluti, dal nostro punto di vista di marxisti, siamo di fronte a persone alienate. In termini relativi siamo di fronte a persone che aderiscono all’ideologia capitalista e la fanno propria (ma non vale certo solo per le escort…). Del resto, Lukacs diceva che nel capitalismo la maggioranza delle persone è sfruttata ma tutti, da un certo punto di vista, sono alienati. Anche il top manager, anche il banchiere, il super capitalista che dalla mattina alla sera pensano solo ad accumulare e incrementare le loro ricchezze sono degli alienati. E però se glielo vai spiegare ti prendono a pernacchie…Ci siamo?
Questo è un punto fondamentale perché, al di là della prostituzione spicciola (fenomeno tutto sommato relativamente marginale rispetto a quanto sto per dire…), il fenomeno della mercificazione sessuale, è ben altro. E rimanda al controllo che l’attuale sistema di dominio sociale e ideologico è in grado di sviluppare a livello psicologico. Il controllo di tale sfera è oggi infinitamente più importante del controllo della sfera pubblica, appunto perché l’attuale dominio sociale è infinitamente più complesso e sofisticato di quelli trascorsi. La mercificazione sessuale è innanzitutto un processo psicologico che porta le persone a interiorizzare l’ideologia capitalista, a identificarsi con essa (cioè con il concetto marxiano di “forma merce”) e quindi ad interiorizzare le sue dinamiche. E’ quindi evidente che nel momento in cui una persona ha interiorizzato a livello psicologico profondo il fatto di avere un valore di mercato (d’uso e di scambio), cioè di essere sostanzialmente una merce, vivrà e si relazionerà con gli altri secondo questa logica. E sappiamo benissimo che una merce (provvista di un valore d’uso e di scambio) non si dona ma si aliena per trarne il maggior profitto. Tradotto con un esempio pratico (che farà imbestialire le compagne che mi danno del reazionario, fascista seguace di Pillon e di Salvini, ma non ci posso fare nulla…) se una donna ha interiorizzato il concetto di essere una merce (e quindi una proprietà), non vivrà la sua relazione con gli altri all’insegna del dono, cioè della reciprocità e della spontaneità, ma all’insegna della razionalità strumentale, cioè dello scambio concettualmente (ma anche praticamente) mercantile. Ergo, come ragionerà questa donna? “Se vado con un top manager o comunque con un uomo socialmente affermato, vuol dire che valgo (cioè il mio valore d’uso e di scambio è molto elevato, perché la “merce” è preziosa), se invece vado con un operaio, un precario, un impiegato delle poste o uno spazzino, vuol dire che non valgo (cioè che il valore d’uso e di scambio è basso, cioè la merce vale poco…). Che ci piaccia oppure no, questo è il contesto in cui viviamo. Negarlo è come, a mio parere, negare l’acqua calda…
Ora passiamo all’ultimo aspetto, quello meno evidente (se non per nulla…), quello che viene rimosso nonostante sia evidentissimo ma deve essere negato per varie ragioni, sia dagli uomini (per vergogna), sia dal femminismo (per opportunismo) e sia, ovviamente, dal sistema dominante (sempre per opportunismo).
I destinatari finali di tutto questo processo sono innanzitutto gli uomini, ai quali si agita la carota davanti agli occhi (in mille modi diversi e ovunque, in tutti i luoghi sia fisici che virtuali…) per farli galoppare. Per la serie:”Se vuoi accedere al “bene” (che non è certo gratis) devi darti da fare, devi produrre, lavorare, cercare di affermarti, fare carriera, accumulare denaro, spendere, consumare, apparire, altrimenti il “bene” te lo puoi scordare…”. Quindi sono gli uomini i primi ad essere costretti a mettersi in vetrina per cercare di essere scelti, o meglio per far sì che la loro merce, cioè la loro capacità complessiva economica e sociale (il loro valore d’uso e di scambio) sia appetibile e spendibile sul mercato (della relazione con l’altro sesso). Del resto, vogliamo forse negare che non è certo un uomo considerato socialmente un perdente, un fallito, un subalterno (cioè la gran parte degli uomini secondo i modelli ormai parossistici dell’attuale società capitalista), l’oggetto del desiderio da parte femminile?
Quello testè descritto è un contesto che può andar bene ed essere funzionale solo ad una minoranza di uomini, quelli appartenenti alle elite sociali dominanti, non certo alla grande maggioranza degli altri che è costretta ad arrancare (spesso penosamente…) anche per avere uno straccio di vista sessuale e affettiva. Del resto, sempre volendo portare un esempio iperbolico ma credo efficace, immaginando di trovarci di fronte a due edifici – il primo è un luogo dove la merce viene donata (gratis, per il puro piacere di farlo) mentre l’altro è un supermercato dove la stessa merce viene venduta, anche a caro prezzo – quale scegliereste? La risposta è fin troppo ovvia…
Tutto questo per dire, appunto, in estrema sintesi, che la grande maggioranza degli uomini NON è affatto interessata alla mercificazione sessuale, e non lo è OGGETTIVAMENTE. Al contrario, la SUBISCE. Il femminismo deve negare tutto ciò, è evidente, perché deve negare ogni forma di corresponsabilizzazione delle donne con il sistema e l’ideologia capitalista. In questo senso (e non solo, ovviamente…), il femminismo, coprendo e deformando la realtà, agisce come vera e propria falsa coscienza necessaria (sempre in termini marxiani), cioè come depistaggio ideologico. Né può fare diversamente, perché se ammettesse quella corresponsabilizzazione di cui sopra (che riguarda anche gli uomini, sia chiaro, anche se in misura e forme diverse…) si squaglierebbe in un nano secondo come neve al sole. Sia chiaro, non ci sarebbe nulla di male ad ammettere quanto è evidente a qualsiasi persona di buon senso, anche perché, da marxisti, il punto ora non è di ordine etico-morale. Il punto è che il femminismo è fondato sull’a priori della difesa del genere a prescindere. Se viene meno questo a priori, il femminismo ancora una volta si quaglia in un nano secondo.
Ora pubblico uno stralcio di quel documento indirizzato a PaP che la compagna ha detto che è stato lasciato cadere perché del tutto simile a quello che potrebbe dire un Salvini o un Pillon), perché mi pare che sia molto chiaro:”
La tesi in base alla quale l’attuale società capitalista sarebbe anche patriarcale e maschilista, vuole, ovviamente, che gli uomini siano in una posizione di dominio sulle donne anche e soprattutto dal punto di vista sessuale. Ora, qualsiasi persona dotata di un briciolo di onestà intellettuale e di buon senso sa perfettamente che questo è completamente falso. Infatti, contrariamente ai luoghi comuni alimentati dal femminismo ma anche da una certa sottocultura pseudomachista (che in realtà è soltanto una modalità per camuffare o mal celare la propria condizione di dipendenza), i maschi vivono appunto una condizione di dipendenza dal punto di vista sessuale nei confronti delle femmine. Una dipendenza data da una condizione naturale (che attiene allo stato di natura, alla condizione ontologica degli uomini e delle donne) di asimmetria sessuale che pone gli uomini in una condizione di dipendenza nei confronti delle donne. Questa condizione viene naturalmente negata dal femminismo perché se l’ammettesse, dovrebbe necessariamente ammettere che le donne sono in effetti in grado di esercitare un dominio pressoché quasi assoluto sugli uomini nell’ambito di una sfera fondamentale quale è quella sessuale e quindi psicologica (i due aspetti non possono essere separati). Ma è evidente che dominare un individuo dal punto di vista psicologico significa dominarlo nella sua totalità. E naturalmente questo dominio produce tutta una serie di effetti anche dal punto di vista sociale ed economico. Gli uomini sono dunque chiamati a colmare questo gap di peso specifico che li pone nella condizione di chi deve chiedere nell’ambito di una relazione fondamentalmente dominata dalla logica della offerta e della domanda (relazione esaltata ed alimentata scientemente dal sistema capitalista), anche se da sempre naturalmente occultata o camuffata in primis dagli uomini ma anche naturalmente dalle donne (dall’amor cortese al romanticismo). E’ anche e soprattutto per questa ragione che oggi il sistema capitalista non sa che farsene del patriarcato. Ha anzi necessità di un femminile declinato secondo le sue logiche che sono quelle della razionalità strumentale (capitalista) e, per la verità, e questa è un’amarissima constatazione (dovrebbe, per la verità, in linea teorica rappresentare un tragico fallimento per il femminismo), fermo restando la grandissima capacità di condizionamento del sistema, c’è da dire che molte donne hanno sposato, consapevolmente o inconsapevolmente, quel modello che, pur producendo alienazione, le pone in una posizione di vantaggio per lo meno nei confronti della grande maggioranza degli uomini che non hanno nessun potere contrattuale e nessun peso specifico da mettere sul piatto della bilancia di quella “contrattazione mercantile non dichiarata” (se lo fosse crollerebbe il velo di Maya che la copre…) a cui è stata ridotta la relazione sessuale. Da qui il gigantesco processo di mercificazione sessuale che vede la grande maggioranza degli uomini (con l’esclusione dei maschi socialmente dominanti che sono provvisti e in grado di esercitare il loro peso specifico) in una condizione di “ricatto”, dipendenza e subordinazione (psicologica e sessuale). Il paradosso è che proprio questi ultimi vengono individuati come i responsabili del processo di mercificazione (indicativa in tal senso la criminalizzazione degli uomini che frequentano episodicamente o sistematicamente le prostitute o praticano sesso virtuale a pagamento tramite chat line e quant’altro) quando è evidente che non ne hanno oggettivamente alcun interesse. Qual è infatti l’uomo che preferirebbe pagare, direttamente o indirettamente, di fatto o metaforicamente, per ciò che potrebbe avere gratis e che certamente preferirebbe vivere in modo naturale, spontaneo, ludico e libero da qualsiasi legaccio o condizionamento, in special modo di natura economica? Nessuno, è evidente (per lo meno fra gli uomini di condizione sociale, piccola, media, bassa o medio bassa), oppure soltanto colui che è in grado di “pagare” o a cui non pesa in alcun modo pagare perché dispone di possenti mezzi e risorse oppure ancora perché il suo status lo pone nella condizione di trarre dei vantaggi da questa situazione e di marcare e rafforzare ancor più la sua posizione di dominio nella gerarchia sociale (in questo caso la relazione si capovolge ed è quella tipologia di uomini ad essere oggetto delle attenzioni femminili).
Quindi, come vediamo, anche e soprattutto in questo caso, la narrazione femminista ha operato uno stravolgimento (e un capovolgimento) totale della realtà. Ma non è un caso, ovviamente, perché nella società capitalista assoluta dove tutto deve essere sottoposto alle logiche di mercato, la sessualità non può certo restare come una sorta di oasi libera. Al contrario, in primis la sessualità deve essere mercificata, psicologicamente e concettualmente prima ancora che praticamente, perché la grande potenza e l’energia che è in grado di sviluppare deve essere necessariamente ingabbiata nelle logiche della razionalità mercantile e strumentale capitalista dominante. All’interno di queste logiche sono innanzitutto i maschi non appartenenti alle elite sociali dominanti a trovarsi in una posizione oggettivamente subordinata, perché privi di qualsiasi “potere contrattuale” nell’ambito di una relazione, come abbiamo già spiegato, totalmente mercificata.
Ciò che il femminismo deve altresì negare è che sono le donne stesse ad avere da sempre alimentato determinati modelli maschili, quelli appunto del maschio vincente, di successo, potente, socialmente affermato. Nessuna donna ha mai avuto come oggetto del desiderio un “perdente”, un “debole”, oppure un uomo di basso ceto sociale o comunque non socialmente affermato e in grado di rispondere a determinati requisiti che in primis le donne richiedono agli uomini. Qui dovrebbe essere indagato a fondo il ruolo delle madri, andrebbe aperta una riflessione sul ruolo del materno e sulla relazione simbiotica che molto spesso può sfociare in un rapporto perverso tra madri e figlie e figli. E invece anche in questo caso, il materno viene da sempre celebrato, in primis dagli uomini; e non è un caso, ovviamente, perché la “mamma” è e resta la “mamma”, e l’imprinting materno viene interiorizzato dagli uomini e proiettato sulle altre donne. Da qui anche la paralisi maschile e la estrema difficoltà da parte degli uomini ad affrontare un percorso di consapevolezza necessariamente doloroso che prevede un processo di distacco, di separazione emotiva. Un processo che dovrebbe essere attivato e facilitato appunto dalla figura paterna e che, attuato in condizioni “normali”, cioè in presenza di un paterno e di un materno in una posizione di equilibro, dovrebbe per lo meno in linea teorica non comportare conseguenze laceranti e nevrotizzanti in termini psicologici. In assenza invece dell’elemento paterno, o comunque con un paterno disconosciuto quando non criminalizzato, questo processo rischia di non inverarsi mai e quand’anche lo fosse, sarebbe inevitabilmente molto più faticoso e doloroso.
Ci rendiamo quindi conto di come il femminismo abbia rovesciato tutto ciò attribuendo interamente agli uomini la responsabilità di aver costruito e imposto determinati modelli che sono invece in larghissima parte dovuti a delle proiezioni di archetipi femminili (proiezioni delle donne, ovviamente). Potremmo anzi dire, capovolgendo il tutto, che sono gli uomini a trovarsi nella condizione di dover rincorrere quei modelli per poter essere appetibili nei confronti delle donne, per poter cioè essere scelti. Tutto ciò viene scientemente esaltato nella società capitalistica assoluta, dove tutto è sottoposto a mercificazione, pratica o concettuale. Possiamo quindi affermare che in questo contesto sociale i primi a “mettersi in vetrina”, i primi a fare mercimonio di loro stessi (un mercimonio fondamentalmente indotto), sono proprio gli uomini, prima ancora delle donne, le quali, avendo ormai interiorizzato le logiche e le dinamiche della ragione strumentale capitalistica dominante, vivono la relazione con gli uomini come intrinsecamente mercantile, e considerano la loro sessualità come una merce, una proprietà privata che in quanto tale ha un valore, in termini economici, concettualmente parlando, prima ancora che praticamente. E la proprietà non è qualcosa che si dona, bensì è qualcosa che si utilizza, si investe o tutt’al più che si aliena per trarne un profitto. E’ ovvio che tutto ciò non è manifesto, bensì abilmente camuffato sotto una grandissima coltre di ipocrisia che deve servire appunto a camuffare ciò che è stato ridotto ad uno scambio strumentale, anche se, come dicevamo poc’anzi (ma repetita iuvant) non dichiarato (se lo fosse, tutta questa impalcatura si sgretolerebbe), nella maggior parte dei casi”.
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