Esercito siriano, o la borsa o la leva
di FULVIO SCAGLIONE
Qualcuno si sarà chiesto come faccia l’ esercito siriano a essere ancora operativo dopo nove anni di guerra, le diserzioni dei soldati passati alla ribellione, la fuga di tantissimi giovani (11 milioni di siriani sono rifugiati o profughi) e, ovviamente, le perdite subite in combattimento. Certo, ci sono gli aiuti della Russia, che contribuisce soprattutto con armi e mezzi. Non poco, visto che questo era considerato un punto debole dell’ esercito siriano. Ma le ragioni più vere e profonde sono altre. La prima è che, a dispetto di ciò che si è detto in questi anni, una parte consistente (anzi, la più consistente) della popolazione siriana sta dalla parte del presidente Bashar al-Assad. Se così non fosse, in un Paese in cui il 75 per cento della popolazione è musulmana di culto sunnita, l’esercito avrebbe cacciato da molto tempo il presidente alawita-sciita, esponente di una piccola minoranza etnico-religiosa.
Ma c’è anche un’altra ragione che va tenuta presente. In questi anni l’esercito siriano è diventato l’oggetto di tutte le attenzioni del regime di Assad, che gli ha concesso uno status almeno pari a quello prima riservato alle forze di sicurezza e ai servizi segreti. L’ultima dimostrazione è arrivata in coincidenza con l’offensiva contro Idlib, roccaforte dei jihadisti sponsorizzati dalla Turchia. L’Assemblea del Popolo (il Parlamento unicamerale, eletto l’ultima volta nel 2016, in cui 200 seggi su 250 sono tenuti dal partito Ba’th) ha approvato un emendamento all’articolo 97 della legge 30 del 2007 per consentire «il sequestro senza preavviso dei beni» di coloro che non hanno prestato servizio di leva nell’esercito, e «il sequestro cautelativo» dei beni della moglie e dei figli nel caso in cui i beni sequestrati al marito, o padre, non siano sufficienti a coprire l’importo della “multa” prescritta dalla legge per coloro che sono sfuggiti al servizio militare.
La “multa” era stata fissata in una somma pari a 8 mila dollari già nel 2014. Ma prima dell’ultimo emendamento, il sequestro (che allora investiva sia i beni mobili sia quelli immobili) era solo cautelativo. Serviva, tale sospensione, a capire che cosa sarebbe successo dopo. La persona in questione poteva tornare in Siria e fare il servizio militare (cioè andare al fronte) oppure poteva tornare in Siria ed evitare la coscrizione pagando i famosi 8 mila dollari. Terza ipotesi: la persona non tornava in Siria e non pagava, lasciando così i propri beni (immobili, si presume) alla mercé del sequestro.
Ora il sequestro diventa immediato, senza preavviso ed effettivo. La ragione è chiara. Un laureato che, esauriti i rinvii per ragioni di studio, parte per la leva, entra nell’esercito con il grado e il salario del tenente. Nel 2007, quando la legge fu promulgata, la multa per non partire soldato era pari a 35 mesi di paga da tenente. Ora, dopo la guerra e la svalutazione della lira siriana rispetto al dollaro, a 132 mesi. Chi può permettersi un simile salasso? Così, ai giovani siriani, restano queste alternative: scappare, e mettere così a rischio i beni della famiglia; oppure andare al fronte. Lo Stato invece è garantito. Se il giovane parte militare, l’ufficio leva dell’ esercito siriano ha una recluta in più. Se non parte, l’ufficio giudiziario può procedere al sequestro esecutivo dei suoi beni e con quelli finanziare le campagne militari.
Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net
Fonte: http://www.fulvioscaglione.com/2020/03/12/esercito-siriano-o-la-borsa-o-la-leva/
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