Come non restare intrappolati nello scontro tra Usa e Cina
di LIMES (Alessandro Aresu)
Carta di Laura Canali – 2019.
L’offensiva di Pechino nella penisola ha innescato la controffensiva di Washington – un segno di debolezza. La ricerca del vincolo esterno è vana: rafforzare il nostro paese spetta a noi.
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La crescita del conflitto tra Stati Uniti e Cina fa emergere nuove scosse sul suolo europeo e sull’arena italiana.
La trappola di Tucidide riguarda soprattutto chi resta intrappolato. Come il cucciolo italiano. Possiamo leggere in questi termini l’ascesa dell’influenza cinese sul nostro territorio e la crescente irritazione di Washington.
Proviamo ad analizzare le forze in campo delle potenze del capitalismo politico in Italia.
L’afflato cinese è cresciuto di statura, fino a essere denominato “partito”. I suoi detrattori ne vedono l’estensione tra il Quirinale e il Vaticano. I gesuiti della Civiltà Cattolica, sulla base di rapporti secolari, sarebbero i portatori del verbo di Xi. A furia di “gesti di amicizia nello spirito di Matteo Ricci”, l’identità occidentale dell’Italia sarà scardinata, per accostarsi a un sistema autoritario. Esagerazioni, che tuttavia contengono un filo di verità: la convinzione crescente, da parte delle classi dirigenti italiane, della forza inevitabile di una Cina retta dal Partito Comunista Cinese da qui ai prossimi decenni. Chi ragiona in termini di secoli, è obbligato a farci i conti. Inoltre, la cultura ha un peso. Alcuni paesi, tra cui il nostro, tendono a dimenticarlo. Le imprese culturali, come gli studi giuridici italo-cinesi dell’Università La Sapienza, coinvolta in primo piano nel codice civile cinese, hanno un peso.
L’offensiva si gioca anche sul piano dell’immaginario e dell’informazione, sintetizzato dalla formula dell’Economist “La Cina sta vincendo?”, cui i fan di Pechino amano togliere il punto interrogativo, dimenticando le difficoltà strutturali sul piano militare, economico, demografico e dei rapporti col vicinato.
La controffensiva statunitense, tuttavia, è un segno di debolezza. Anche perché non è facile contrattaccare chi si presenta, nel momento del bisogno, attrezzato con una catena del valore di mascherine, guanti, tute e respiratori. Dalle colonne del Corriere della Sera Paolo Mieli invita i sindaci di Milano e Firenze e il segretario del Partito Democratico a espiare rispetto alla campagna antirazzista verso la Cina. Sono richieste all’Italia prese di posizione retoriche, come quelle di Macron e Merkel, che non cambiano di una virgola i loro affari con Pechino.
Quanto alla visione della Bild, nella sua lettera a Xi Jinping, è bene ricordare che si tratta di uno dei mezzi di informazione che più ha soffiato sul fuoco degli stereotipi europei dell’ultimo decennio. Inoltre, la visione della Bild rincorre ancora lo stereotipo della Cina intenta a copiare i prodotti dalle aziende occidentali. Invece, la prospettiva delle “vie della seta” digitali e sanitarie è legata proprio alle capacità innovative cinesi, che è eccessivo sopravvalutare, ma stupido sottovalutare.
Stando ai dati, gli Stati Uniti sono e restano la potenza imprescindibile non solo per la sicurezza italiana ma anche per i commerci. Dei quali, senza la prospettiva europea e statunitense, non rimane granché. Oggi tutto questo è meno visibile e non è compreso dalla popolazione italiana. Evidentemente, la proclamazione del “dato” non basta. In un paese in difficoltà sociale come il nostro il termine “democrazie liberali” ha poca efficacia. Per non parlare di “Occidente”.
Nel prosieguo della crisi del coronavirus potrebbero però avvenire altre mosse, ben più rilevanti. Ne elenchiamo alcune. Per esempio, una sponda più forte in termini di solidità finanziaria da parte degli Stati Uniti. O un adattamento dei rapporti con Mosca per concentrarsi sul vero avversario, anche se finora vale la volontà di Washington di combattere su due fronti, ben spiegata da Dario Fabbri. Ancora, un rilancio del progetto geopolitico del trattato commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti, nonché l’inserimento di “clausole Nato” più esplicite negli schemi di controllo e monitoraggio europei sugli investimenti esteri. E nuove imprese culturali italo-statunitensi, anche se non si vedono nuovi Bernard Berenson intenti ad aprire I Tatti. Forse ci sarà solo una dialettica più vicina agli europei, non corroborata dai fatti. Washington, in ogni caso, non lascerà l’arena italiana.
Cosa può fare l’Italia? È sempre vana la ricerca di un vincolo esterno. Valeva per l’idea, sconfitta dalla storia, che i problemi italiani sarebbero spariti una volta sublimati nello spazio europeo. Vale anche per i cinesi.
Rafforzare l’Italia è un compito che spetta a noi. Irrobustire la nostra capacità negoziale nell’ambito europeo, migliorare la traduzione in fatti delle politiche pubbliche, costruire ponti tra il risparmio e l’investimento per difendere il patrimonio industriale italiano. Un percorso sempre difficile, ma l’alternativa è essere intrappolati.
Le opinioni dell’autore sono personali e non impegnano enti di appartenenza pro tempore.
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