'Digerire' la decrescita
di Alessandro Bolzonello
È ufficiale l’Italia è in recessione.
Da qualche anno mi accompagnano i temi della decadenza e del declino; sono venuti chiaramente alla luce nel corso dell’estate 2008 durante un viaggio che mi ha portato ad attraversare l’Europa: al confronto con gli altri paesi l’Italia appariva ferma, immobile, alla deriva. Una condizione che si è trascinata fino alla seconda metà del 2011. Poi, sotto i colpi dell’opinione pubblica, soprattutto internazionale, è svanita l’illusione del paese benestante, dei ristoranti pieni, della fatica a prenotare un posto sugli aerei, abbattuta a suon di spread e delegittimazioni.
Ora il modo di affrontare le questioni è cambiato, ma la sostanza rimane la medesima. Che cosa succederà?
Probabilmente non precipiteremo come la Grecia, ma permane il rischio di ritrovarci progressivamente nella medesima situazione.
È evidente che stiamo vivendo un passaggio epocale: ci sarà un prima e un dopo questa fase.
Accanto all’inadeguatezza della classe politica italiana ad affrontare l’emergenza, accanto alla supplenza dei ‘professori’ che accolgo con sollievo, registro la cecità e la tolleranza degli italiani.
Se oggi corruzione ed evasione vengono rappresentati da tutti come l’origine di tutti i mali, non bisogna scordare che fino a 100 giorni fa noi italiani ci siamo fatti rappresentare da persone indagate per corruzione e che hanno ripetutamente legittimato l’evasione. Non possiamo fare finta che tutto questo non sia esistito, come non possiamo registrare il perdurare della vana speranza di aver già raggiunto il fondo e che non resti che la risalita.
La realtà viene negata il più possibile, accolta solo qualora risulti ineludibile, inoppugnabile.
In questa situazione quale è la funzione di Mario Monti? Rimettere l’Italia e – come riporta il Time – l’Europa sui binari della salvezza? Oppure accompagnare gli italiani a ricollocarsi in basso, in una logica di riduzione del danno?
Non mi preoccupa la decrescita, piuttosto se e come saremo in grado di affrontare questo transito che, come ripetutamente è successo nella storia, potrà condurci alla deriva ovvero aprire una nuova fase, e non solo economica.
Dover retrocedere, fare passi all’indietro, significa ridimensionare i progetti, rivedere gli stili di vita, abbassare le aspettative; ma rappresenta anche l’occasione per selezionare e scegliere ciò che è importante rispetto a ciò che lo è meno, provare quindi a tracciare nuove strade. Non ci resta che ciò; approfittiamo di questa opportunità.
L'articolo sfiora molti punti. Decadenza e declino dell'Italia sono da tempo sotto gli occhi di tutti coloro che vogliano e sappiano guardare in profondità. Forse non è nemmeno necessario visitare altri paesi. Non tanto, infatti, da tempo – io credo due decenni – l'Italia non migiorava in uno o altro settore (e non parlo della sfera economica intesa in senso stretto) ma peggiorava e pian piano sprofondava.
Nell'articolo il termine decrescita è utilizzato, per così dire, in senso oggettivo e proprio, come decrescita del pil rispetto all'anno precedente. Ciò dispiacerà ai teorici della decrescita, che vorrebbero riservare questa parola alla designazione di una teoria (della decrescita) o comunque di uno slogan, se si crede che una teoria coerente non sia stata ancora eleborata. Tuttavia, se è comprensibile segnalare il carattere ormai polisemico della parola, non è possibile negare il significato proprio o originario. Se quando il pil cresce rispetto all'anno precedente, si dice che c'è stata crescita, non si riuscirà mai ad impedire che, per designare il fenomeno inverso – ossia che il pil decresce rispetto al'anno precedente – si dica che c'è stata decrescita.
Sono anche d'accordo che, in linea di principio – sottolineo in linea di principio – non dovrebbe preoccupare troppo la "decrscita" (intesa in senso oggettivo). Tuttavia se essa, come credo, è l'inizio di un declino economico e quindi se essa anticipa disoccupazione e povertà – e quindi violenza -, dobbiamo preoccuparci.
Infatti Alessandro precisa che probabilmente non crolleremo come la grecia, ma c'è il rischio di ritrovarci progressivamente in quella situazione. Io non sono nemmeno sicuro che non crolleremo come la Grecia. Credo che la previsione peggiore che finora è stata fatta, quella del Fondo Monetario Internazionale, che prevede una "decrescita" del pil del 2,2% sia ottimistica. Penso, invece, che la decrescita sarà tra il 3 e il 4%, per il concorrere di una serie di fattori ai quali ho accennato spesso. Penso anche che, per invertire la rotta, siano necessarie politiche espansive e che, siccome esse dovrebbero essere concordate al livello europeo – e non è dato sperare che ciò accada – anche negli anni successivi avremo una "decrescita", magari riuscendo ad essere, in qualche anno, stazionari.
Il governo Monti è il meno indicato per invertire la rotta. Perché non proporrà in europa l'applicazione di politiche espansive. E non arriverà nemmeno a minacciare il recesso dai trattati europei, i quali precludono l'adozione di politiche espansive ai singoli stati.
Dissento, invece, sul giudizio relativo a Monti e ai professori. Prevedo che il consenso di cui gode il governo decrescerà progressivamente e che già a luglio sarà ad un livello molto più basso di quello attuale.
Il governo Monti, non soltanto non arresterà la decrescita economica ma anzi la alimenterà; ma, soprattutto, non sarà in grado di arrestare il declino. Il declino dipende in gran parte dall'esterofilia che attanaglia da venti anni l'Italia; dalla sudditanza culturale verso istituti stranieri dei quali proprio questo ceto di professori (non tutti i professori) ha perorato l'introduzione; dall'accoglimento di principi e scelte di fondo estranei alla tradizione italliana e spesso mistificati, contrastanti con la nostra costituzione e sovente (anche quando erano accettabili) impiantati nel nostro ordinamento in modo automatico, senza vagliarne la compatibilità con la restante parte dell'ordinamento.
In dicembre, caro Alessandro, controlleremo le nostre previsioni, che in buona parte coincidono ma in parte no.
Nonostante il percorso di studi, non sono un economista. Non faccio alcuna previsione econonomica. Mi limito a registrare quello che vedo e, soprattutto, quello che sento. In questo caso mi soffermo sul – uso appositamente un termine diverso da decrescita – ridimensionamento in atto.
In altre parole non ritengo di avere gli strumenti per poter dare un giudizio, una valutazione economica, piuttosto ho la presunzione di fissare dei fenomeni, provare a coglierne istanze e connotazioni, attratto come sono dalla discontinuità, dall'emergente … con tutti i rischi e le possibilità.
Vedo, altresì, il valore dell'affrontare rispetto a quello del divagare … che non significa agire in ogni caso; del farsi carico rispetto al tergiversare … che non significa necessariamente non attendere.
Io mi limito a muovermi dentro tale perimetro … nulla di più.