Fossi
I fossi sono, per la realtà della pianura padana, una ricchezza importante. La prima funzione che assolvono è portare acqua da fiumi e irrigare terreni altrimenti poco produttivi. Sappiamo che dovunque ci sia acqua in questo pianeta c'è vita. Proprio per questo i fossi si offrono come stupefacente microcosmo che sostiene persone, animali e piante mentre nutre cultura, conoscenze e sentimenti.
Possono avere aspetti molto differenti. Pur mantenendo la stessa funzionalità possono essere riorganizzati da fonte di risorse per il contadino ad autentica perla di progettazione giardini, con tappeto erboso stile inglese con qualche salice piangente e piante di calla dal carnoso fiore bianco ad imbuto sparse intelligentemente sul pendio del fosso che costeggia la villa.
La flora che li abita varia. Si va dal semplice tappeto erboso ricco di ogni varietà (vero esempio di biodiversità) ad argini variamente adorni di alberi o giunchi. Ma rimane il salice il vero dominatore incontrastato di quell'habitat creato dall'uomo. Prendiamo ad esempio il salice rosso: il suo apparato radicale esteso e profondo è capace, ad un tempo, di resistere allo sradicamento durante le piene del fiume e di garantire un sufficiente assorbimento durante i periodi di magra oltre che tollerare lo scarso contenuto di ossigeno quando l’acqua ristagna. Il tronco e i rami poi sopportano un innalzamento del livello dell’acqua anche di 2 metri e si oppongono all’impeto della corrente con la loro flessibilità. Le stesse piene che riescono a distruggere manufatti umani come i ponti, non sconvolgono più di tanto la vita di un modesto salice.[1]
I fossi dalle mie parti sono facilmente riconoscibili nel piatto panorama agreste dalle file di quelle piante capitozzate in inverno (si lascia solo un paio di metri di tronco mentre tutti i rami vengono tagliati) e ricche di lunghi e sottili rami gialli zeppi di foglie lanceolate che d'estate si espandono come verdi zazzere.
A cosa servono quei rametti gialli? Sono lo “spago di campagna” che permette, ad esempio, di legare i tralci delle viti ai sostegni o legare le fascine. Ma non solo: da quei rametti opportunamente essiccati e poi messi in ammollo si ricava il vimini, risorsa importante per le generazioni passate che costruivano in casa gerle, ceste e canestri a costo zero.
Non è tutto. La corteccia di salice ha proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie che erano conosciute fin dai tempi degli antichi egizi, e vennero di seguito descritte anche da Ippocrate. Nel XVIII secolo il reverendo inglese Edward Stone scoprì le proprietà antifebbrili della corteccia di salice. Il secolo successivo venne isolata per la prima volta la salicina allo stato puro (il principio attivo contenuto nella corteccia del salice). Ben prima dell'invenzione e del commercio dell'aspirina (acido acetilsalicilico) l'uomo aveva trovato nel salice un alleato per curare i suoi malanni. Oggi possiamo testare i diversi comportamenti dei due principi: feroce con il nostro stomaco l'aspirina, senza effetti collaterali la salicina. Forse perchè abbiamo da millenni ottimi rapporti con i salici, mentre abbiamo da pochi decenni pessimi rapporti con Big Pharma e relativi prodotti di sintesi. Almeno io la vedo così.
Un'ultima nota a margine: in veneto i salici si chiamano salgàri. Wiki ci informa che il veronese Emilio Salgari (quello di Sandokan) possedeva cognome fitonimico, derivante cioè dal nome di una pianta: il salgàro, appunto. Sbagliato quindi l'accento sdrucciolo. Non Sàlgari ma Salgàri.[2]
Torniamo ai fossi. Purtroppo avendo sempre vissuto all'interno della cintura urbana non ho mai avuto veramente la possibilità di conoscere da vicino tutte le risorse che offrivano (e in parte ancora oggi offrono). Il recente racconto di un amico coetaneo mi ha dato parecchio da pensare. Mi raccontava come da bambino (siamo a metà degli anni '60) assieme ad i suoi amichetti si divertisse a pescare nel fosso vicino casa, avendo la fortuna di abitare in campagna. Le cose erano straordinariamente semplici: prendevano una rete qualsiasi, anche un pezzo di rete in ferro da conigliera, sufficientemente larga da occupare tutto il fosso e la si poneva trasversalmente al fosso stesso. Due bambini tenevano ferma la rete da una parte all'altra del fosso. A monte rispetto alla rete un altro bambino batteva con un bastone gli argini, spaventando i pesci che per tentare di scappare si incastravano nella rete. Poi ci pensava la mamma o la nonna a cucinarli.
Non era raro trovare nella rete dei gamberi di fiume (o di fosso, più precisamente). Se pensate che i gamberi imperiali e le mazzancolle siano una delizia dovreste provare almeno una volta i gamberi di fiume. Di aspetto sono simili a piccoli astici e come tutto il pescato di fiume hanno carne molto più delicata. Recentemente però si stanno moltiplicando nei nostri fossi i cosiddetti gamberi killer: tanto per cambiare vengono dagli USA e sono estremamente aggressivi. I gamberi nostrani, così, soccombono ulteriormente all'avanzata degli americani. [3]
Comunque tutta questa pacchia di pesci gratis durò fin che non vennero costruite e messe in funzione le prime fabbriche, dice il mio amico. Da quel momento in poi sparirono pesci e gamberi, inghiottiti dai processi moderni che usano fossi e fiumi come discariche industriali. Dove c'è industria l'ecosistema subisce sempre brutte batoste. Pochi decenni sono sufficienti a cancellare millenni di meravigliosi adattamenti.
Infine i fossi hanno da sempre rappresentato dei confini. Famoso è Fosso Bergamasco che segnava il confine tra il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Oppure il Fosso Reale che in realtà è un fossato, ovvero un'opera difensiva che separava le mura fortificate di Livorno dalla campagna circostante. A questo punto si potrebbe anche parlare di Ivano Fossati, ma mi sembra decisamente esagerato.
“Saltare il fosso” identifica quindi l'operazione di valicare d'un balzo dei confini. Anche quelli della divina sapienza nel nome dello spazio vitale di cui parla, con la sua consueta potenza, Alda Merini.
Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.
Alda Merini, da "Vuoto d'amore"
[1]http://www.alpiweb.it/aw/flyfriends/golene/golene3.htm
[2]http://it.wikipedia.org/wiki/Emilio_Salgari
[3]http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori2002/fedeli/identikit/scheda.htm
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