I nuovi soldi
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Federico Nicola Pecchini)
Quasi trentatré anni fa, la celebre rivista The Economist, presieduta allora nientemeno che da Sir Evelyn de Rothschild, pubblicava un articolo in cui si profetizzava l’avvento, di lì a trent’anni, di una nuova valuta mondiale:
Tra trent’anni, americani, giapponesi, europei e i cittadini di molti altri paesi […] faranno probabilmente i loro acquisti pagando tutti con la stessa moneta. I prezzi non saranno più espressi in dollari, yen o marchi, ma in una valuta che potremmo chiamare “fenice”. L’adozione della fenice imporrà rigidi vincoli ai governi nazionali. Non esisterà più, ad esempio, una politica monetaria nazionale. L’offerta mondiale di fenice sarà fissata da una nuova banca centrale, discendente forse dal FMI. […] La fenice inizierà probabilmente come un cocktail di valute nazionali […] Col tempo, però, il suo valore rispetto alle valute nazionali cesserà di avere importanza, perché la gente la sceglierà per la sua comodità e per la stabilità del suo potere d’acquisto. […] Segnatevi la fenice per una data intorno al 2018 ed accoglietela quando arriverà.
Oggi i trent’anni son passati senza che, almeno in apparenza, la profezia si sia avverata. Ma è davvero così?
Già nel 2010 un report del Fondo Monetario Internazionale consigliava l’adozione di una moneta globale. Poi, sul finire del 2017, proprio allo scadere del termine prefissato dall’Economist, l’allora presidente dell’FMI Christine Lagarde ventilò la possibilità che una valuta digitale emessa dall’FMI potesse rimpiazzare il dollaro come valuta di riserva mondiale, una volta che “la situazione geopolitica fosse diventata propizia”. Nello stesso periodo un nuovo, sorprendente fenomeno finanziario finiva sotto le luci della ribalta: Bitcoin.
Bitcoin è una moneta digitale basata sulla rivoluzionaria tecnologia blockchain, inventata nel 2008 da un misterioso personaggio chiamato Satoshi Nakamoto. Tra luglio e dicembre 2017 le sue quotazioni esplosero letteralmente sul mercato valutario, decuplicando il loro valore fino a raggiungere un tasso di cambio di circa 20.000 dollari a bitcoin. Poco dopo, a inizio 2018, il CEO di Twitter Jack Dorsey fece molto scalpore quando dichiarò pubblicamente:
Infine il mondo avrà una moneta unica, Internet avrà una moneta unica. Personalmente credo che sarà Bitcoin.
Jack Dorsey
Dorsey azzardò perfino una previsione riguardo alle tempistiche, dicendo che Bitcoin si sarebbe affermato “probabilmente in 10 anni, forse prima”.
Nei mesi successivi però il valore dei Bitcoin si ridimensionò parecchio, tornando sui 3.000 dollari. Inoltre cominciarono ad emergere alcuni problemi strutturali, come una scarsa scalabilità (il sistema decentralizzato di Bitcoin è molto più lento e inefficiente rispetto ai circuiti di pagamento tradizionali come VISA) ed una preoccupante vulnerabilità agli attacchi hacker. In risposta a queste perplessità, verso fine 2018 cominciò a girar voce che Facebook si preparava a lanciare la sua criptovaluta.
Il progetto fu annunciato ufficialmente a giugno 2019, con il nome di Libra. Nel white paper si parlava apertamente di nuova “valuta globale” digitale. A differenza di Bitcoin, il valore di Libra sarebbe legato ad un “paniere di valute legali” emesse da banche centrali stabili, in modo da ridurne la volatilità. Le similitudini con la “fenice” sono a questo punto fin troppo ovvie. Sarebbe Libra, quindi, la nuova moneta mondiale predetta dell’Economist e destinata a rimpiazzare le valute nazionali? La profezia si è dunque avverata?
Di tale avviso sembra essere il Governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, che in una conferenza tenutasi appena due mesi dopo, nell’agosto 2019, ha fatto intendere che una nuova forma di valuta digitale sul modello Libra potrebbe essere “la risposta al predominio destabilizzante del dollaro nel sistema monetario globale di oggi”. Carney ha parlato di una “valuta sintetica egemonica”, ancorata ad un paniere di valute nazionali affidabili, e ha sottolineato come questa valuta potrebbe essere emessa direttamente da “un network di banche centrali”.
L’idea di una “moneta digitale emessa da banca centrale” (CBDC) non è, come abbiamo visto, del tutto nuova e aleggia nei circoli finanziari almeno da qualche decennio. Fino ad oggi però solo poche nazioni avevano effettivamente cominciato una sperimentazione a riguardo (tra queste la Cina, la Svezia ed l’Uruguay). Nel 2018 la Banca dei Regolamenti Internazionali, detta anche “la banca delle banche centrali”, aveva ufficialmente definito il concetto di CBDC, di fatto spianando la strada ad un’implementazione su grande scala. Ora, come diceva Lagarde, bastava solo che la situazione geopolitica diventasse propizia.
Ecco allora arrivare il 2020, e con esso la famigerata “pandemia” da coronavirus. In pochi mesi, l’intera economia mondiale è stata messa in ginocchio. La crisi è drammatica: secondo le stime della Banca Mondiale, si tratterà della peggior recessione dai tempi della seconda guerra mondiale. Il debito globale aumenterà fino a raggiungere livelli inauditi, mentre un miliardo e mezzo di persone rischiano di perdere il posto di lavoro e oltre cento milioni di essere ridotte in povertà assoluta.
Le tenui speranze di una ‘ripresa a V’ si sono presto scontrate con la realtà dei fatti: il virus è qui per rimanere, ne avremo ancora almeno per un altro anno. Il secondo ciclo di lockdown, che pare ormai inevitabile, darà il via alla temuta ondata di bancarotte, e questo a sua volta potrebbe innescare un pericoloso effetto domino sul mercato finanziario. I settori più esposti saranno il private equity (specialmente chi ha investito in bar, ristoranti e retail), il mercato immobiliare commerciale (i locatari di centri commerciali, uffici, ecc.), le assicurazioni (molte attività vorranno chiedere i danni), ma anche banche e mercati obbligazionari che hanno fatto prestiti che non torneranno più indietro. Se la crescita non riparte, saranno le banche centrali a doversi sobbarcare tutto il peso dell’economia mondiale per evitarne il collasso. Probabilmente riprenderanno ad inondare il mercato di liquidità con i loro programmi di allentamento quantitativo, anche se in questa fase di stagnazione gli effetti sull’economia reale saranno limitati. Di certo terranno i tassi d’interesse bassi o addirittura negativi, per favorire i prestiti.
Ma la politica monetaria non basta più. Quello che serve è una politica fiscale, mirata, per aiutare direttamente le categorie in difficoltà. Tradizionalmente sarebbero gli stati a doversene occupare, ma visto che gli stati oggi sono pesantemente indebitati e con gravi deficit di bilancio, le banche centrali dovranno inventarsi formule creative di finanziamento a fondo perduto, magari nella forma di superbond a cent’anni che non vengono più ripagati. Rimane però il problema della proverbiale lentezza e inefficienza della macchina statale. In Europa come in America, i governi devono sempre fare i conti con i limiti imposti dalle costituzioni nazionali e dal dibattito politico. Ecco quindi che una nuova “pazza” idea ha cominciato a fare capolino: in agosto, due importanti economisti americani hanno proposto di depositare direttamente nelle tasche dei cittadini un reddito di emergenza sotto forma di crediti digitali. In questo modo le banche centrali potrebbero letteralmente bypassare governi e sistema bancario creando una linea diretta di finanziamento per tutto il tempo necessario.
A fine settembre, la presidente della Fed di Cleveland Loretta Mester ha annunciato ufficialmente una proposta di legge a riguardo. Il 2 ottobre la BCE ha annunciato a sua volta che condurrà una sperimentazione sull’Euro Digitale di qui a metà 2021. La settimana dopo, un simile annuncio è stato rilasciato dalla Banca del Giappone: insomma, le banche centrali stavolta fanno sul serio. Se il piano dovesse concretizzarsi, questo significherebbe un completo reset del sistema finanziario internazionale. Non a caso, lo scorso 15 ottobre l’attuale presidente dell’FMI Kristalina Georgieva ha parlato di “un nuovo momento Bretton Woods”.
Bretton Woods era stato l’accordo, firmato nell’estate 1944, in cui si erano poste le basi dell’attuale sistema monetario dollaro-centrico. Parlare di un “nuovo Bretton Woods” equivale dunque a mettere in discussione l’egemonia del dollaro come valuta di riserva mondiale. Dobbiamo quindi aspettarci a breve una rovinosa caduta in disgrazia del biglietto verde? Probabilmente no, dato che le valute nazionali si manteranno ancora per qualche anno seppur in versione digitale, e che la nuova criptovaluta globale fungerà inizialmente solo da standard internazionale nel mercato interbancario. Ma nel medio-lungo termine, le ore del dollaro sono contate.
Questo reset finanziario è funzionale ad un più grande progetto di reset socioeconomico incentrato sul cosiddetto “Green New Deal” e sulla quarta rivoluzione industriale. Abbiamo già parlato del piano generale in un articolo precedente. Quello che ci rimane da capire adesso è come questa rivoluzione monetaria impatterà le nostre vite, e come potremo rispondere.
Il paese che è più avanti nell’adozione delle CBDC è la Cina. La Banca Popolare Cinese ha iniziato le sperimentazioni con la popolazione già lo scorso aprile, e pochi giorni fa il governo ha annunciato un disegno di legge dove per la prima volta lo Yuan Digitale godrà di statuto legale. Lo Yuan Digitale sarà programmabile e tracciabile al 100% dal governo, che potrà così monitorare nel dettaglio i flussi di capitale ed imporre a piacimento limitazioni o condizioni all’uso della valuta. Come se non bastasse, già lo scorso gennaio in ambienti accademici cinesi si parlava della possibilità di combinare la nuova valuta digitale con il sistema di crediti sociali già in vigore.
In occidente questa deriva orwelliana sarà forse meno sfacciata ma ci sarà. L’emergenza sanitaria sta abituando le masse ad una “nuova normalità” in cui incertezza e paura saranno sempre più alla base della nostra esistenza quotidiana. Valori come l’indipendenza economica, la privacy e la libertà di espressione saranno progressivamente sostituiti da un’ideologia collettivista, tecnocratica e totalitaria. Che fare? Alcuni consulenti finanziari “alternativi” consigliano di investire in oro e in bitcoin: il primo rimane il bene rifugio per eccellenza, ed è possibile che almeno in un primo momento le nuove monete virtuali saranno garantite da un gold standard; il secondo è una criptovaluta decentralizzata, e una volta raggiunto il limite di 21 milioni di bitcoin in circolazione potrebbe anch’esso diventare un bene rifugio. Il mio consiglio però, per chi non intenda partecipare al sistema che viene e voglia davvero costruirsi un rifugio, è invece quello di tornare alla terra. Formare comunità autonome ai margini della società, dove coltivare oltre che il cibo anche una nuova cultura umana: in un mondo sempre più distopico, mi sembra l’unica speranza che ci resta.
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