di PIERLUIGI BIANCO (FSI-Riconquistare l’Italia Lecce)
Il liberalismo, più che un’ideologia, è da sempre il tentativo di cristallizzare in forma dottrinale la guerra che i “ricchi” hanno dichiarato ai “poveri”. Ed il suo capolavoro è stato quello di portare i membri delle classi subalterne ad immaginare sé stessi non più come membri di una classe sotto attacco, ma come singoli individui, ricchi in potenza, chiamati ad essere partecipi dell’accumulazione di ricchezza che, lungi dall’essere un qualcosa di cui qualcuno si appropria a scapito della collettività, si trasforma in un bene che viene ben volentieri condiviso con chi è in grado di meritarsela.
Il giudice del merito è il “mercato”, arbitro eterno ed imparziale chiamato a legittimare l’accumulazione di ricchezza secondo quella che Weber chiamava la “teodicea della felicità”, ovvero il bisogno, per chi detiene la ricchezza (e quindi il potere), di giustificare il fatto di “averne diritto”.
In questo modo il “mercato” diviene la fonte di legittimazione dell’accumulazione di ricchezza privata, e parallelamente sanziona la povertà in seno alla società liberale come inevitabile, proiettando la responsabilità della povertà sui poveri stessi che non hanno nemmeno più il diritto di protestare e lamentarsi… in nessuna forma possibile e immaginabile… pena la scomunica… o magari un TSO.
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