Nell’onda lunga delle reazioni a quanto accaduto ai piedi del Campidoglio il 6 Gennaio, un posto particolare se l’è guadagnato Giorgio Gori, sindaco Dem di Bergamo, renziano pentito e oggi vicino a Bonaccini, che si è sentito di descrivere così, su twitter, i partecipanti ai Capitol Riots:
“Guardo e riguardo queste persone sfilare. Chi sono? Proletari, mi verrebbe da dire. Poveracci poco istruiti, marginali, facilmente manipolabili, junk food e fake news, marionette nelle mani di uno sciagurato che li ha usati per il suo potere. È così che si diventa fascisti?”
Oltre all’immancabile richiamo al fascismo, il tono sprezzante e classista non è sfuggito ai più, l’accusa di radicalchicchismo è partita in automatico come pure le critiche (bipartisan) per una sinistra che, un tempo, trattava e considerava molto diversamente il proletariato.
Ma non avevamo in effetti bisogno del tweet di Gori per renderci conto che la sinistra si è allontanata forse irrevocabilmente da certe posizioni e che, forse senza accorgersene, ha dismesso persino il linguaggio di quelli che Gori definisce “proletari” e che sono, semplicemente, le vittime della globalizzazione.
La sinistra non parla più la loro lingua perché anzitutto ha rinunciato a una reale identità locale e nazionale, preferendo quasi sempre l’adesione ad agende altrui. La vocazione internazionalista e no border, in un mondo globalizzato e ipermercantile, ha significato poi di fatto l’approvazione anche di quei dogmi liberisti e ultraliberisti che vedono negli Stati, nel migliore dei casi, degli inutili e fastidiosi limiti.
Peccato che proprio quegli Stati garantiscano (o dovrebbero in teoria garantire) l’attenzione a ciò che è fuori dal mercato. La sinistra, che un tempo arrivava (e resisteva) dove non arrivava il mercato, ora ha i confini segnati delle consegne rapide di Amazon o dalle ZTL. Dove né lo Stato né il mercato garantiscono i servizi essenziali, un tempo c’erano le sezioni e le parrocchie, oggi non c’è quasi mai niente. E la gente che abita la periferia di questo impero global non sempre accetta di fare semplicemente fagotto e trasferirsi a vivere a Londra, Milano o Berlino. Rimane, sopravvive, e si incazza verso uno Stato e un mercato che non portano nulla o quasi di quello che promettono. Quindi al posto loro arriva qualcun altro, chiunque, a cercare di riempire quel vuoto.
A volte sono nuovi soggetti politici, che hanno gli strumenti culturali ovvero il linguaggio di parlare a queste persone dimenticate da Stato e mercato, e ai quali promettono (non sempre mantenendo) ascolto, rappresentanza, soluzioni. Si tratta proprio del caso di Trump in America, che ha saputo parlare a quella parte di America che tra l’altro non è affatto “proletaria” (l’elettore medio di Trump ha un reddito superiore all’elettore medio democratico), ma che è caduta tra gli sconfitti della globalizzazione.
Altre volte, invece, a riempire quel vuoto sono improvvisazioni localistiche e volontarie, o peggio ancora fondamentalisti politici o religiosi, o peggio ancora criminalità organizzata o, infine, semplicemente nessuno. Lo vediamo in Italia (e nel mondo) col fenomeno delle mafie, stati ufficiosi che spesso proliferano proprio nell’assenza colpevole dello Stato ufficiale; lo vediamo in tutta Europa (e nel mondo) col fenomeno dell’islam radicale, Chiesa nello Stato che spesso raccoglie, istruisce (all’odio) e dà un’identità (violenta) nell’assenza colpevole di istruzione e servizi sociali, ovvero di identità culturale, religiosa, spirituale o nazionale.
Coloro che restano fuori dalla luce del mercato, dunque anche dei media, e dello Stato, dunque anche dei servizi, non sono “poveracci manipolabili”, ma semplicemente dei dimenticati e degli ignorati che avrebbero la necessità più di altri di essere “integrati”, per usare un termine brutto, ma comprensibile al PD.
Il problema per certa sinistra è semplicemente non rendersi conto che i dimenticati da Stato e mercato non possono e non vogliono, per condizioni culturali, geografiche, tradizionali, omologarsi al linguaggio globalista. Così quella stessa sinistra cerca di parlar loro con twitter. È la stessa sinistra che non si rende conto che non è la cattiva rappresentanza, ma l’assenza di rappresentanza, a generare caos, risentimento, scollamento sociale; la sinistra che è quindi felice che scompaia (ma non scomparirà…) dalla scena Trump, convinta che con lui spariranno anche tutti quelli a cui ha dato voce.
FONTE: https://www.barbadillo.it/95729-il-caso-del-sindaco-di-bergamo-gori-quando-la-sinistra-non-capisce-piu-i-proletari-li-chiama-fascisti/
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