Il ricattatore
di LUCA RUSSI (FSI-Riconquistare l’Italia Arezzo)
Una cosa aiuta più di qualsiasi altra a capire a chi il Presidente della Repubblica (con il consenso praticamente unanime delle forze politiche italiane) ha deciso di affidare i destini del Paese in uno dei periodi più bui della sua storia recente, più ancora del fatto che c’era proprio Mario Draghi ad occupare il posto di Direttore generale del Tesoro negli anni 1997-1998, quando il Governo Prodi stipulò la prima tranche di derivati che assieme alla seconda degli anni 2003-2005 (Governo Berlusconi) costò allo Stato italiano una cifra-monstre per complessivi 24 miliardi di euro; e riguarda ancora una volta Silvio Berlusconi, cioè quell’individuo senza ombra di dignità alcuna che oggi si spella le mani per applaudire l’incarico di governo affidato allo stesso uomo che, da presidente della Bce in pectore, firmò assieme al Presidente allora in carica, il francese Trichet, la famigerata lettera con cui il suo governo fu costretto alle dimissioni sotto il ricatto dei mercati, con lo spread che volava oltre i 350 punti base.
Quella lettera descrive molto bene quello che ci aspetta, perché, come emerse di lì a poco, in essa si chiedeva il pareggio di bilancio anticipato dal 2014 al 2013, il raggiungimento del deficit pubblico pari all’1% del Pil addirittura già nel 2012 con una manovra di tre punti di prodotto interno lordo (una cinquantina di miliardi di euro in un solo anno) che fece tremare le vene ai polsi di Tremonti, la necessità di rendere più severi i criteri per ottenere le pensioni di anzianità e di allungare l’età pensionabile delle donne nel settore privato in modo da avere risparmi di bilancio già nel 2012, e l’opportunità di ridurre “significativamente” il costo degli impiegati pubblici rafforzando le regole sul turnover e, “se necessario, riducendo gli stipendi”.
Infine, per “accelerare la crescita dell’economia”, Trichet e Draghi richiamarono esplicitamente l’esigenza di rivedere le norme sulle assunzioni e i licenziamenti dei lavoratori nelle imprese applicando l’intesa del 28 giugno tra la Confindustria e i sindacati, “che si muove già in questa direzione”, oltre alla “piena liberalizzazione” degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali, prevedendone la “privatizzazione su larga scala”.
Tutte queste misure si sarebbero dovute inserire in un decreto legge da varare il prima possibile in Parlamento in quanto “essenziali” per rafforzare l’affidabilità dei titoli di Stato italiani. Sappiamo come andò a finire: fu un ricatto dei “Mercati” in piena regola, che si concluse con le dimissioni del nano di Arcore, con la caduta del suo governo senza passare neppure dalla sfiducia del Parlamento, e con la nascita del Governo Monti, di gran lunga il peggiore della storia della Seconda Repubblica, dato che conseguì un crollo del Pil che costituisce il peggior risultato degli ultimi anni (battuto solo da quello generato dalla fallimentare gestione dell’emergenza covid19 ad opera di Conte), 400.000 disoccupati in più (all’epoca il peggior risultato in tutta l’UE), – 4% di produzione industriale e peggioramento del debito pubblico.
Ora la storia si ripete. Al governo ci sono nuovamente loro: i Mercati.
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