Finzione educativa
da: Il Blog di Simplicissimus (Anna Lombroso)
Non occorre essere De Rita per sapere che il mercato della contraffazione prospera perché chi non può permettersi le griffe famosi si accontenta delle copie, ma anche perché le grandi firme, alcune delle quali sono sospettate di immettere sul mercato le loro stesse imitazioni, gradiscono che il marchio circoli grazie a una diffusione capillare quanto illegale.
Ed è lecito pensare che non abbia funzionato la repressione dei reati di falsificazione, indirizzata a colpire vu’ cumprà più che i “produttori” di tarocchi, attivi nei circuiti della criminalità organizzata, anche per via dell’indulgenza con la quale si guarda alle forme di sedazione dell’invidia sociale, in modo che non sfoci in collera e ribellione.
Ma chi poteva immaginare che l’imitazione in forma seriale, sconfinasse dalla riproduzione artistica e commerciale a tutta la società? Qualche indizio c’era stato, impossibile non capire che quelli che venivano esibiti sui social non fossero i profili autentici del popolo digitale, ma le desiderate “seconde vite” parallele più benevoli e gratificanti, opportunamente ritoccate, ringiovanite, abbellite grazie a fotoshop applicati alle immagini e alla narrazione della propria esistenza insoddisfacente.
Invece tutto si è esasperato e accelerato grazie al Covid: così un brand pandemico sta avendo un gran successo commerciale, quello della simulazione della normalità e della copia non proprio conforme della realtà, riprodotta in casa.
Succede con il lavoro agile, con la didattica a distanza che da subito si sono rivelati penose patacche del lavoro e dell’istruzione, non foss’altro che per il fatto non marginale che la rivoluzione digitale a detta di un suo apostolo in veste di ministro dell’innovazione, meno della metà dei cittadini e delle famiglie è “in rete”, la banda larga è un attrezzo ideale nel bric à brac delle cerchie progressiste e l’accesso ai servizi che dovrebbero essere a disposizione di tutti è disuguale e inefficiente.
Ma siccome c’è ancora chi crede i questi prodigi informatici e soprattutto c’è chi ne trae qualche beneficio, fin dal primo lockdown, fin dagli esordi di quella rivisitazione della didattica e della pedagogia nella simpatica confezione apri e chiudi, le “sfide” della digitalizzazione si sono combinate con i canoni della società-spettacolo e hanno investito la scuola e il consumo culturale.
Così pare sia molto in auge la conversione delle gite scolastiche, cruccio e pena per famiglie e docenti, ma dovizioso business per tutto un mercato di operatori specializzati, in tour virtuali, organizzati per condurre scolaresche in pigiama davanti al pc in itinerari di rilevanza culturale, in quelli che i cretini bipartisan di tutti i governi hanno chiamato i nostri giacimenti, lasciandoli ciononostante in stato di colpevole abbandono e di criminale trasandatezza o offrendoli in generoso comodato a sponsor avidi e determinati a sfruttarne i vantaggi pubblicitari e commerciali.
A primavera poi, sarebbe da sempre la stagione più appropriata e il cambiamento climatico che sta riproducendo un freddo da gennaio non ne compromette l’esecuzione, le iniziative si moltiplicano: a Firenze, a Urbino, in Umbria o nel Lazio è un fervore di “Codytrip”, così si chiamano, le “gite culturali che premettono di viaggiare anche quando non si può”.
A cercare notizie in rete, dove è stata confinata pure l’indagine e l’investigazione giornalistica da prima del Covid, prefigurando una informazione agile e a distanza, seduti davanti al desk, si capisce che la trovata potrebbe essere nata proprio nella ventosa Urbino, meta di uno dei più propagandati pellegrinaggi dalla cameretta coi letti a castello, grazie all’impegno di un’organizzazione, Codemoc net, nata per offrire – mica pizza e fichi- “supporto ad una rete di insegnanti interessati ad incrementare e condividere le proprie competenze ed esperienze nell’ambito delle applicazioni didattiche del pensiero computazionale” anche in classe e attraverso “la pratica del coding” e di nuovi strumenti di cambiamento dal basso.
Ecco adesso avete sicuramente capito di cosa si tratta e potrete essere grati a questo circuito che agisce sotto l’ombrello della locale Università, per la determinazione con cui intende promuovere “l’innovazione partendo dalle competenze”, dando vita “ad una comunità di apprendimento e di pratica che ad oggi coinvolge più di 30.000 insegnanti e, per loro tramite, a centinaia di migliaia di ragazzi”, fortunati, c’è da dire, tanto da essere equipaggiati dell’attrezzatura negata alla maggioranza degli studenti.
E siccome il cambiamento nasce dal basso, i promotori dei Codytrip, incoraggiati dall’esempio degli “operatori culturali”, direttori di museo che hanno scoperto le magnifiche sorti e progressive del coinvolgimento di influencer per lanciare l’utenza virtuale delle loro gallerie, non garantiscono solo apprendimento e conoscenza, ma anche aspetti più ludici e goderecci, in modo che la messinscena della realtà trasferita sullo schermo sia più congrua con i paradigmi della fiction pura.
E chissà se prima o poi si riuscirà a replicare odori e sapori via app, in modo che siano ancora più coinvolgenti partecipazione e apprendimento. Intanto però gli organizzatori dei Codytrip si sono portati avanti: gli alunni “invitati” a “interagire” nei luoghi natali di Raffaello, grazie al prodigarsi virtuale di un docente hanno effettuato qualche “visita” nei negozi “per l’acquisto di souvenir”, e come tutte le gite che si rispettino non è mancato l’aspetto gastronomico. Già qualche giorno prima tutti i ragazzi avevano ricevuto un filmato su come, in un ristorante tipico, vengono fatti la crescia e i passatelli di Urbino, per metterli in condizione di realizzare a casa loro “un menu tutto urbinate”.
E non basta, per esempio agli alunni che effettueranno il Codytrip al Museo Marino Marini di Firenze verrà fornito dalla mensa scolastica un “pranzo al sacco” da consumare durante l’utenza della gita guidata online in modo da “rendere l’esperienza il più verosimile possibile”.
E dire che fino a un anno fa scrupolosi insegnanti lanciavano l’anatema su genitori che lasciavano per ore i pargoli a balia di Tv e Pc, e dire che fino a un anno fa genitori ancora più scrupolosi portavano dagli psicologi i figli addict di internet.
E dire che da mesi gli addetti ai lavori lanciano l’allarme sugli effetti del confinamento sui minori, sulla loro percezione della realtà travolta dalla condanna all’isolamento, al solipsismo, ai rituali anormali imposti alla quotidianità, preoccupati per il futuro di monadi digitali, costretti fin da piccoli a dimorare dentro i confini segnati per prepararli a un domani di solitaria servitù.
Fonte: https://ilsimplicissimus2.com/2021/04/15/finzione-educativa/
Commenti recenti