I cookie? Pronti per la pensione: il futuro si chiama “zero-party data”
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Chiara Merico)
Rispondono al simpatico nome di “cookie”, biscotti, ma per la maggior parte degli utenti di internet sono una seccatura non da poco: si tratta di piccoli file di testo che i browser utilizzano per tenere traccia delle visite, raccogliendo dati preziosi e facilitando in questo modo il monitoraggio dei comportamenti online. Con più di un dubbio sulla privacy: i dati raccolti dai cookie aiutano le aziende a capire meglio qual è la tipologia di cliente con cui hanno a che fare, e quindi a proporre offerte mirate. Ma questa personalizzazione ha un costo: i consumatori si chiedono sempre più spesso chi raccoglie i loro dati, fino a che punto il loro comportamento viene monitorato e cosa fanno in realtà le aziende con queste informazioni. Un report di Pew ha svelato che il 79% degli utenti statunitensi è preoccupato per l’uso che le aziende fanno di questi dati, e uno su sei ritiene, con una certa dose di rassegnazione, che nel mondo attuale non si possa fare a meno di condividere informazioni personali con aziende ed enti governativi.
- Gavin Roberts/PC Plus Magazine via Getty Images
Il problema sta assumendo proporzioni sempre più ampie, tanto che un lavoro dell’Harvard Business Review rivela che i cookie vengono usati con sempre minore frequenza. Il 41% dei consumatori in Usa li cancella regolarmente, e il 30% ha installato programmi come gli adblocker. La sfiducia è tale che le autorità regolatrici in tutto il mondo stanno provando a correre ai ripari: in Europa già dal 2019 il regolamento Gdpr (General Data Protection Regulation) prevede la sottoscrizione del consenso attivo per abilitare i cookie; e a febbraio di quest’anno l’EDPS – European Data Protection supervisor, la massima autorità continentale in materia di privacy, ha chiesto espressamente ai legislatori di “considerare un divieto totale per le pubblicità online basate su attività di tracking pervasive, oltre alla restrizione delle categorie di dati che possono essere processati per questo genere di attività promozionali”.
Negli Usa gli Stati della California e della Virginia hanno adottato di recente legislazioni più restrittive sull’uso e la condivisione dei dati, mentre un gigante come Google ha già fatto sapere che dal 2022 il suo browser Chrome non supporterà più i cookie di terze parti. Per i “biscottini” raccogli dati si avvicina quindi la pensione, ma questo non significa che le società rinunceranno alla personalizzazione.
- Alexander Hassenstein/Getty Images
In futuro, spiega la HBR, prenderà sempre più piede un nuovo approccio per la raccolta e l’utilizzo dei dati dei clienti: il cosiddetto “zero-party data”. “A differenza dei ‘third-party data’, che vengono raccolti passivamente dai cookie, le informazioni reperite con questa nuova modalità vengono condivise proattivamente dai consumatori attraverso meccanismi come sondaggi, quiz, giochi a premi e storie interattive sui social”. Questo approccio “da un lato consente agli utenti di avere un maggior controllo sui dati che condividono, e dall’altro fa sì che le società offrano una personalizzazione estremamente più efficace”. Ai consumatori infatti piace, e molto, ricevere offerte che si adattino bene ai loro gusti e alle loro esigenze: quello che non vogliono è che i loro dati vengano raccolti in modalità opache o poco sicure, e venduti al miglior offerente.
La modalità “zero-party data” viene già usata frequentemente, ed è destinata a sostituire i “vecchi” cookie: secondo un recente studio di Forrester, un direttore marketing su quattro prevede di mettere a punto programmi di questo genere entro la fine dell’anno. Non si tratta solo di una nuova opzione per gestire le campagne pubblicitarie, ma di una profonda trasformazione del modo in cui le aziende interagiscono – e mostrano rispetto – per i loro più importanti stakeholder: i clienti.
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