Fiammata delle materie prime in arrivo: è il cigno nero del Covid? No, è il solito capitalismo T-Rex
di LUCA RUSSI (RI Arezzo)
Dunque, la notizia sarebbe questa: come se non bastasse il covid, un altro elemento sta per scuotere fortemente l’intera economia mondiale, ed è l’aumento generalizzato delle materie prime. Stiamo parlando di tutte le materie prime, vale a dire non solo di quelle che servono a produrre – che so – i microprocessori (anche se è bene ricordare che i microprocessori non servono solamente per far funzionare i computer, ma anche, tanto per dirne una, per l’industria automobilistica, il che ha già portato al fermo produttivo di alcuni stabilimenti in Europa): no, sono aumentate proprio tutte le materie prime, lo zinco, il ferro, il legno, eccetera eccetera.
Ora, come è normale che sia, questo aumento delle materie prime si sta per riverberare sui costi di un sacco di settori. Per parlare del mio (che è affine all’edilizia), si incomincia a sentir parlare di aumenti fino al 20% del costo del materiale per fare i cappotti termici delle case, per esempio; oppure sull’acquisto (e dunque a cascata: sul noleggio) dei ponteggi, i cui costi stanno aumentando perché come detto sale il prezzo della materia prima usata per fabbricarli (e il tutto, sia detto anche qui per inciso, si ripercuoterà anche sul discorso dell’ ecobonus del governo, sapete no, la possibilità di portare in detrazione il costo dei lavori di ristrutturazione)…
Bene. Cioè, male. Comunque questo aumento generalizzato è dovuto ad una serie di fattori concomitanti. Da una parte, i lockdown praticati in diverse parti del mondo hanno certamente avuto un ruolo nella misura in cui lo stop and go delle attività, con il suo grado di incertezza, ha mandato in tilt un po’ tutti i produttori, che ad un certo momento non hanno più capito come gestire la situazione.
Dall’altra parte c’è un altro fattore, legato (tanto per cambiare) alle Borse: pare infatti che la bolla dei costi sia stata in parte generata anche da una bolla speculativa, a sua volta determinata dal fatto che tutta la liquidità accumulata in questo ultimo decennio di crisi nera dal famoso 1% della popolazione mondiale (rappresentato dai grandi fondi di investimento, dalle compagnie assicurative, dalle banche, dai rentiers, in una parola: dai ricchi), liquidità che non sapeva più dove andare perché con i tassi di interesse ai minimi storici non c’è mai nulla di sufficientemente redditizio per gente che guadagna speculando in Borsa anziché lavorando come tutti noi comuni mortali, ha incominciato a riversarsi proprio sulle scommesse dei cosiddetti futures delle materie prime.
Naturalmente, come accade spesso alla gente di cui sopra (che è gente a cui in fondo piace vincere facile), la profezia si è rivelata auto-avverante e quindi la scelta vincente, tanto più che con assoluta sicurezza si poteva contare sulla ripartenza a breve della Cina, che effettivamente adesso in parecchi settori sta facendo letteralmente incetta delle materie prime che gli servono proprio per ripartire (ed ora la ripresa cinese sta per essere seguita a ruota anche da quella degli Stati Uniti), cosa questa che, come è ovvio, già da sola sarebbe bastata ad innescare la fiammata di cui stiamo parlando.
Insomma, cortocircuito. Ed ecco qual è il punto: siamo sicuri che quello a cui siamo di fronte sia il famoso “cigno nero”, espressione che rimanderebbe ad un evento inaspettato capace di determinare conseguenze talmente rilevanti che sono in grado di cambiare il corso della Storia? Ovvero, siamo sicuri che si possa parlare in questi termini a proposito del Covid?
Mi spiego. Come detto, la teoria che porta il nome di questo animale viene chiamata in causa tutte le volte che si verificano eventi assolutamente imprevisti, che però dovrebbero possedere anche una seconda caratteristica: quella di essere estremamente divergenti rispetto alla norma, cosa che però non gli impedirebbe di giocare un ruolo molto più importante della massa degli eventi ordinari. Ora, questo si può dire per la cosiddetta “pandemia” di Covid19, e della crisi economica da essa generata? Sicuramente sulle prime parecchie persone risponderebbero di sì, ma a ben vedere è davvero così?
Proviamo a ragionare. Incominciamo dall’elemento di ordine strettamente sanitario. Ebbene, lasciate perdere per un momento il vostro vissuto di cittadini del XXI sec. abituati a vivere consumando serenamente immersi in un eterno presente; ma, se è pur vero che nel 2019 un evento simile non se lo sarebbe aspettato nessuno, a mente fredda dovremmo riconoscere che tutto questo casino non lo sta provocando il povero virus, che non è neppure lontanamente paragonabile non dico alla epidemia di peste bubbonica che nel Trecento uccise almeno un terzo della popolazione del continente europeo e più del 10% della popolazione mondiale, ma neppure alla spagnola, che in termini assoluti uccise molte più persone, ma a causa dell’aumento della popolazione non arrivò neppure alla metà di quella percentuale.
Già, perché la prima causa del dramma che stiamo vivendo va ravvisata nella sciagurata gestione dell’emergenza da parte di governi che hanno completamente perso la bussola, dato che continuano a cercare di fermare i contagi con misure inefficaci come le chiusure, il coprifuoco, e con dei vaccini sperimentali che anche secondo la stessa Aifa non servono allo scopo (il che equivale a cercare di fermare le onde piantando chiodi sul bagnasciuga), anziché fare qualcosa che sarebbe immediatamente alla nostra portata: potenziando la risposta sul fronte delle terapie di cura, da adottare tempestivamente prima che le persone si aggravino e vengano ospedalizzate in condizioni ormai critiche (e varrà la pena di ricordare una volta di più che le terapie, delle varianti del virus – a differenza dei vaccini – se ne fregano, nel senso che ad oggi non sono state riscontrate minori percentuali di efficacia del plasma o dell’eparina rispetto alla variante inglese, brasiliana o indiana).
Ciò detto e tornando alla crisi economica, adesso forse apparirà più chiaramente quello che cercavo di dire, e cioè: vi sembra che quello a cui stiamo assistendo a latere di una emergenza sanitaria che avremmo potuto affrontare in maniera diversa e senz’altro più razionale, sia una dinamica divergente rispetto alla massa degli eventi ordinari, capace di cambiare il corso della Storia?
Oppure, lasciando perdere i discorsi su una Quarta Rivoluzione Industriale che punti sulla digitalizzazione e sulla «sostenibilità» ambientale (che altro non è se non la scusa per dare una verniciata di verde ad un settore che risente profondamente della crisi dei consumi come quello dell’automotive), non è che l’ennesimo cortocircuito a livello produttivo di un sistema (quello del finanz-capitalismo neoliberista) in cui siamo nuovamente immersi fino al collo oramai da più trent’anni, e che funziona con queste modalità (cioè male) da sempre, in quanto di per sé stesso estremamente vulnerabile ad ogni scossone, basato così com’è basato sulla massima libertà di circolazione di merci e capitali e sul profitto fine a sé stesso?
E il bello – si fa per dire – è che qualcuno a distanza di 100 anni ancora pretende di dipingerlo come Progresso, o meglio come l’unico sistema possibile (“è la Globalizzazione neoliberista, signora Tina, non ci sono alternative”)… Non proprio un cigno nero questa crisi, insomma; piuttosto il solito mostro assetato di sacrifici umani, più simile ad un Moloch o a un T-Rex.
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