Perché la scienza non può e non deve sostituirsi alla politica
di CRITICA SCIENTIFICA (Enzo Pennetta)
Le decisioni politiche non possono essere prese dalla scienza, le separa un invalicabile limite epistemologico.
Il governo degli scienziati era stato teorizzato da Francis Bacon nella Nuova Atlantide, il racconto utopico pubblicato postumo nel 1627 nel quale essi sarebbero stati sacerdoti laici in abito bianco e illuminati dispensatori della scienza, sotto di loro l’umanità avrebbe conosciuto una nuova Età dell’Oro.
Su quell’idea venne poi realizzata la Royal Society che nacque dopo tre decadi, nel 1660, un’istituzione che avrebbe dovuto guidare l’Inghilterra e il mondo intero verso una nuova era.
A quell’idea e a quella istituzione, anche se inconsapevolmente, si deve la pretesa di molti che a governarci debba essere “la scienza”, anche se a questo termine non si sa cosa debba esattamente corrispondere.
La scienza della Nuova Atlantide e dei giorni nostri appare come il principio che anima quel Leviatano che Thomas Hobbes descrisse efficacemente nel 1651, Hobbes finì poi per essere escluso dalla nascente Royal Society probabilmente per i suoi contrasti con Robert Boyle, altro grande protagonista di quell’epoca.
La scienza sperimentale si basa sulla possibilità di fare misurazioni, cioè quelle operazioni nelle quali la mente confronta tra loro delle grandezze quantificabili, fare una misura è dare una quantità ad una qualità, ad esempio volume, lunghezza o peso, sono qualità che noi possiamo quantificare con un’unità di misura, che a sua volta è una quantità nota presa per fare il confronto stesso.
Del resto anche il concetto di “razionale” esprime in matematica qualcosa che può essere espresso con una frazione n/m dove “n” ed “m” sono quantità intere e quindi esattamente determinabili.
La parola “mente” stessa deriva dall’indoeuropeo “MA”, che significa appunto misurare.
Il limite della scienza sperimentale è nel fatto che la realtà non sempre è misurabile e che spesso le “qualità” non sono confrontabili, ad esempio posso dire che un Kg di patate è il doppio di 500 gr di patate ma non posso dire che sia il doppio di 500 gr di carciofi.
Dove il confronto non è quantificabile deve intervenire il “giudizio”, stabilire con quante patate posso scambiare 500 gr di carciofi è una questione di giudizio che può variare nel tempo in base a fattori anch’essi non quantificabili.
L’esempio più comune di giudizio che permette di confrontare due qualità incommensurabili è il concetto di “prezzo”, ogni giorno noi confrontiamo cose incommensurabili attribuendo a ciascuna di loro un prezzo e poi confrontando quelli ottenuti.
Dare un prezzo è attribuire un valore e il valore di qualcosa (termine che deriva da “vis”, in latino “forza”) è letteralmente la forza che attribuisco a qualcosa nel confronto con un’altra, al riguardo è interessante notare come il peso sia in fisica una forza e quindi il giudizio di valore è anche in senso figurato un riportare qualcosa di incommensurabile ad una misura, i piatti della bilancia che non posso usare per confrontare patate e carciofi in base alla loro “forza peso” tornano come misurazione della loro “forza valore” che posso esprimere come quantificazione economica.
Ma l’immagine della bilancia che pone a confronto il contenuto dei due piatti è anche fortemente legata alla giustizia, nelle aule dei tribunali di tutto il mondo possiamo trovare questa raffigurazione del giudizio della legge.
Quale degli argomenti presentati dai due contendenti prevarrà non può essere stabilito con un algoritmo, non esiste un modo per attribuire un numero agli elementi di un processo, nessuna formula e nessun computer potrà sostituire un giudice perché questi non possono lavorare su qualcosa che non è esprimibile come quantità.
Come sappiamo non solo esistono qualità non confrontabili fra loro, i carciofi e le patate, ma esistono anche qualità non quantificabili al loro interno, non è ad esempio possibile fare un confronto fra due “amori”, stabilire con una misurazione se si voglia più bene ad una persona o ad un’altra, non si può misurare un sentimento e neanche la bellezza, una competizione musicale o un concorso di bellezza richiedono una giuria.
Analogamente ci sono questioni che riguardano la vita sociale che non sono commensurabili e quindi richiedono l’intervento di un “giudizio” che in questo caso è di tipo politico.
Prendendo il caso della pandemia non è un procedimento corretto prendere come elemento di valutazione il numero delle vittime giornaliero a scapito di altre considerazioni come il danno economico e le sofferenze psichiche che non posso quantificare allo stesso modo, nel momento in cui “la scienza” tramite i suoi esperti compie questa valutazione ha compiuto un puro atto politico dando più peso alla mortalità che agli altri elementi, la presunta scientificità dei provvedimenti è viziata da un errore di origine che vede una decisione politica su cosa abbia più valore precedere la presunta oggettività scientifica.
Una politica che si affida alla “scienza” tradisce unicamente l’incapacità di assumere le proprie decisioni che vengono quindi demandate ad una presunta quanto impossibile oggettività scientifica che nella sua inconoscibilità finisce col diventare esattamente come quelle sentenze divine dalle quali la scienza stessa aveva avuto l’ambizione di svincolarci, i giudizi della scienza diventano così giudizi di una volontà divina, il diritto si ricongiunge con “Ious” il nome romano di Giove dal quale G. B. Vico faceva derivare il termine “Ius”.
Il giudizio della scienza diventa così un giudizio divino di tipo materialista, è la scienza che viene elevata a divinità non discutibile che parla nella persona dei suoi sacerdoti eletti mediaticamente fra i tanti e che non possono essere contraddetti, di fatto è la realizzazione della Nuova Atlantide.
Ma è una realizzazione che non mette realmente al comando gli scienziati in realtà è espressione di un potere che si cela dietro gli scienziati che a loro volta influenzano la classe politica, sottraendosi alle responsabilità che proprio dall’esercizio del potere derivano.
La scienza divinizzata finisce così per somigliare all’immagine dipinta dal Signorelli, quella del falso Cristo che parla con le parole che gli vengono sussurrate nell’orecchio dal vero autore di quelle parole.
Mentre la classe politica si rivolge alla scienza per ascoltarne le verità rivelate e ripararsi dalle conseguenze delle proprie azioni, la “scienza” stessa si mostra come un simulacro dietro il quale agisce il vero potere, che è quello di chi detiene i media e i mezzi di comunicazione, un potere che si nasconde dettando cosa debba essere detto e creduto e quindi fatto.
Link al video di CCS su Rumble https://rumble.com/vh1u4z-cose-che-la-scienza-non-pu-dire.html
FONTE: https://www.enzopennetta.it/2021/05/perche-la-scienza-non-puo-e-non-deve-sostituirsi-alla-politica/
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