Dalla Russia alla Libia, vi spiego l’alleanza Uk-Italia. Parla il ministro della Difesa Wallace
di FORMICHE (Gabriele Carrer)
Intervista esclusiva con il ministro della Difesa britannico Ben Wallace a bordo della portaerei HMS Queen Elizabeth, prima dell’incontro con l’omologo Guerini. Regno Unito e Italia impegnati “fianco a fianco” in diversi teatri. Eurofighter e Tempest esempi di “forte legame”. La Russia? “Minaccia numero uno”. La Cina? “Battiamoci per i nostri valori”. Theresa May alla guida della Nato? “Sarebbe un candidato eccellente ma è ancora presto”
Augusta (Siracusa). “La Russia è la minaccia numero uno”, scandisce Ben Wallace, ministro della Difesa britannico, mentre passeggia sul ponte di volo della HMS Queen Elizabeth, la più grande portaerei della flotta di Sua Maestà, attraccata nei giorni scorsi nel porto di Augusta. Il ministro, un esponente di punta del Partito conservatore in Scozia, cita casi di spionaggio, attacchi cibernetici ma anche manovre sotto i mari da parte della Russia.
E lo fa poco prima di un incontro con l’omologo italiano, Lorenzo Guerini, avvenuto a bordo della portaerei Cavour, attraccata anch’essa nello scalo siciliano, poco distante dalla nave britannica (qui il nostro reportage da bordo). Le parole di Wallace assumono un significato ancor più forte se si pensa al caso di Walter Biot, ufficiale della Marina italiana arrestato nelle scorse settimane a Roma, colto sul fatto mentre passava documenti riservati a un funzione dell’ambasciata russa.
“In Afghanistan, Sahel, Libia i nostri due Paesi sono impegnati fianco a fianco”, dichiara il ministro Wallace a Formiche.net citando poi l’Eurofighter Typhoon e il programma Tempest come esempi di un “forte legame” tra Regno Unito e Italia anche nell’industria della difesa.
Parlando tra alcuni esemplari di F-35B, il ministro rivela l’imminente arrivo del collega turco Hulusi Akar per un trilaterale a bordo della HMS Queen Elizabeth, la portaerei partita da Portsmouth il 22 maggio alla guida una flotta di nove navi, il Carrier Strike Group, per un viaggio di sette mesi e mezzo attraverso Mediterraneo, Medio Oriente e Indo-Pacifico. Una missione anti Cina? “Non sono d’accordo”, ribatte Wallace, sottolineando l’importanza della missione per esercitazioni e interoperabilità tra alleati. “Questa nave è diretta nell’Indo-Pacifico ma non è un atto ostile: non abbiamo nulla da nascondere visto che seguiamo il diritto internazionale”.
Ma il tempismo non appare del tutto casuale: infatti, proprio mentre parliamo, a Carbis Bay, in Cornovaglia, iniziano ad arrivare i leader per il G7 che si concluderà domani, lasciando spazio, lunedì, al primo summit Nato di Joe Biden da quando è diventato presidente degli Stati Uniti. Due occasioni, a cui si somma il vertice con i leader europei, in cui l’inquilino della Casa Bianca appare deciso a definire un fronte comune delle democrazie contro le autarchie. E con la nuova Carta atlantica siglata giovedì dal presidente Biden e dal primo ministro britannico Boris Johnson, Washington e Londra sono impegnate assieme in questa direzione.
Ministro, lei ha descritto la Queen Elizabeth come “una dimostrazione di soft e hard power britannico” in chiave Global Britain dopo la Brexit. Ci può spiegare entrambi gli aspetti?
Più tardi io e il mio amico, il ministro italiano, ospiteremo a bordo di questa portaerei il nostro omologo turco per un incontro trilaterale per affrontare questioni come l’immigrazione, la Libia, l’Afghanistan, zone in cui abbiamo interessi condividisi: non si tratta soltanto di impegno militare ma anche della capacità di utilizzare la diplomazia per risolvere i problemi. Inoltre, questa nave è una proiezione economica: è costruita in Gran Bretagna, ospita gli F-35 realizzati in Italia, nel Regno Unito, negli Stati Uniti. Per questo, rappresenta anche una dimostrazione della forza e delle opportunità anglo-italiane. Non da ultimo, è un asset per la Nato e gli alleati che non hanno certe capacità di difesa. Per questo dico che è molte cose, non soltanto hard power.
Quest’anno il Regno Unito è presidente di turno del G7 e ha deciso di invitare al summit, in qualità di ospiti, Australia, Corea del Sud e India. È giunto il momento di allargare il club?
Ci sono sempre nazioni ospiti al G7. Il G7 è qualcosa di dinamico come altri formati simili. Fondamentalmente però rappresenta le maggiori economie ma anche i Paesi che credono in valori comuni, democratici e di libero mercato. E penso che questo sia molto importante.
Alcuni membri del suo partito hanno criticato la Integrated Review, il documento di marzo con cui il governo britannico ha esposto le sue linee guida di politica estera, difesa e cooperazione dopo la Brexit. Sostengono sia troppo morbida sulla Cina. Come risponde?
Non possiamo pretendere che la Cina non sia un attore globale. Siamo realisti: è una grande economia. Quando però si muove contro i diritti umani o la proprietà intellettuale dobbiamo essere in grado di muoverci di conseguenza. In Europa molti Paesi stanno cambiando le loro leggi per proteggere la proprietà intellettuale e la ricerca accademica. Noi crediamo nei nostri valori e ci batteremo a difesa di essi che sia a Hong Kong o per gli uiguri perseguitati in Cina.
Lunedì si terrà il vertice Nato ed è già partito il totonomi per la successione di Jens Stoltenberg, in scadenza nel 2022 dopo due mandati, alla guida dell’Alleanza. Circola il nome dell’ex primo ministro britannico Theresa May. Che cosa ne pensa?
Il Regno Unito è uno dei principali contribuenti della Nato, il Paese in Europa che spende di più. Ovviamente vogliamo sempre giocare un ruolo fondamentale nell’Alleanza. Ma ci sono molte altre nazioni e ciò che è importante per la Nato è di lavorare all’unanimità. Theresa May è stata un fantastico primo ministro in tempi davvero difficili, ho lavorato con lei come ministro della Sicurezza. Sarebbe un candidato eccellente. In questo momento il governo britannico non ha ancora proposto un candidato. Credo che per ora siano soltanto indiscrezioni. Abbiamo molto da lavorare, come sull’Afghanistan, prima di pensare a questo.
Parlando di interessi comuni tra Italia e Regno Unito, c’è possibilità di convergenza tra il programma Tempest, che vede i nostri due Paesi impegnati assieme alla Svezia sul caccia di sesta generazione, e quello franco-tedesco Future Combat Air System?
Il Regno Unito e l’Italia hanno lavorato incredibilmente bene sul progetto Typhoon, è un aereo di grande successo che ha visto coinvolti anche tedeschi e spagnoli. Vogliamo replicare quel tipo di collaborazione con i nostri partner, l’Italia e la Svezia. Una delle chiavi di questo tipo di collaborazioni è di tipo industriale: di fatto ci sosteniamo a vicenda, lavoriamo assieme dalla produzione all’assemblaggio e condividiamo la proprietà intellettuale. Sono molto felice che l’Italia partecipi, perché i nostri due Paesi hanno una storia di successi assieme. Dobbiamo partire dalle cose che funzionano e lavorare su quelle.
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