Martin Kulldorff – Perché ho parlato contro i lockdowns. Sulla necessità di sfidare il senso comune sul Covid
di La Fionda (Martin Kulldorff)
Nota introduttiva a cura della Redazione de La Fionda
Dall’inizio dell’epidemia di Sars-Cov-2, abbiamo assistito all’amplificarsi e all’imporsi di un approccio e di una dinamica politica, mediatica e scientifica, che ha fatto della censura e della politicizzazione di dubbi argomentati, di opinioni, posizione scientifiche autorevoli o addirittura di farmaci e protocolli terapeutici, una forma di gestione di ciò che nel discorso pubblico e nello spazio sociale delle democrazie occidentali, può esser considerato legittimo e dicibile, e di ciò che invece deve essere rifiutato come fake. Si tratta di un metodo di controllo o, per meglio dire, di governo della pubblica opinione e del suo spazio di accettabilità e di legittimità: metodo che era già radicato e praticato nell’era pre-Covid, rispetto, ad esempio, a temi riguardanti l’Unione Europea, le questioni economiche e monetarie, o ancora i rapporti geo-politici tra gli Stati o i problemi legati all’immigrazione, ma che ha fatto dell’epidemia e della questione sanitaria il nuovo campo d’azione e di delimitazione del discorso pubblico.
Questo metodo di governo della pubblica opinione, così come delle posizioni scientifiche, ha sostanzialmente racchiuso le maggiori questioni problematiche riguardanti l’epidemia, delimitando il campo del discorso considerato legittimo perché certificato da autorità politiche, TV, giornali e social media come vero, e costruendo, al tempo stesso, una cappa di indicibilità su chi ha sollevato dubbi e interrogativi capaci di mettere in discussione quella narrazione ufficiale. La sola possibilità di espressione libera che non incorra né nel meccanismo di delegittimazione pubblica e mediatica, né nella conseguente censura, consiste nel presentare le tesi opposte alla narrazione certificata e vera, come delle pure ipotesi senza alcuna pretesa veritativa.
Diversi e rilevanti sono i temi su cui è calata questa cappa di indicibilità: dall’origine animale o artificiale del virus, sulla quale nuovi dubbi e ipotesi sono stati formulati nelle ultime settimane proprio dalla rappresentazione mediatica mainstream, ribaltando così una tesi, quella della fuoriuscita accidentale del virus dai laboratori di Wuhan, che era stata immediatamente classificata come complottista, quando un anno fa era stata sollevata da autorevoli scienziati; al problema della gestione politico-sanitaria dell’epidemia, dell’efficacia delle misure di sicurezza, di limitazione dei diritti e delle libertà personali e costituzionali, ovvero delle misure non farmacologiche come i lockdowns e il coprifuoco, o sull’uso delle mascherine all’aperto, rispetto al quale lo stesso Antony Fauci ne negava inizialmente l’utilità, come emerge nei suoi scambi email pubblicati nei giorni scorsi negli Stati Uniti grazie alla legge sul Freedom of Information Act; o ancora sui conflitti d’interesse tra le aziende farmaceutiche, le autorità politico-sanitarie nazionali, medici e membri dei comitati tecnico-scientifici; sulla scelta dei protocolli terapeutici, l’interdizione di alcuni farmaci e sulle politiche vaccinali; sulla mercantilizzazione dei prodotti farmacologici e vaccinali; e infine, sulle conseguenze della riduzione dei finanziamenti dei sistemi sanitari nazionali, dei posti di terapia intensiva, della sanità territoriale, delle terapie domiciliari, del numero del personale medico ospedaliero e di base.
Proprio su alcuni di questi temi principali, l’epidemiologo e biostatistico svedese, professore di medicina all’Università di Harvard, Martin Kulldorff, ha pubblicato lo scorso 4 giugno un articolo sulla rivista britannica Spiked, dal titolo esemplificativo Why I spoke out against lockdowns. On the necessity of challenging the Covid consensus. In questo testo Kulldorff ricostruisce non semplicemente la cronologia di alcuni dei principali momenti dei sedici mesi di Covid, dal suo inizio sino ad oggi, ma la narrazione, politica, mediatica e sociale, ovvero il senso comune costruitosi intorno alla gestione politico-sanitaria dell’epidemia.
I due elementi che Kulldorff sottolinea e denuncia riguardano, da un lato, il rovesciamento a cui si è assistito fino ad oggi del rapporto tra la narrazione mediatica dell’epidemia e il dibattito scientifico; dall’altro, la delegittimazione pubblica e la censura di quegli autorevoli scienziati che hanno sollevato dubbi scientificamente fondati e argomentati sulla gestione in atto dell’epidemia, proponendo soluzioni differenti.
Se dalla letteratura e dal dibattito scientifico non traspare un consenso rispetto all’effettiva efficacia dei lockdowns e dei coprifuoco nel contenimento dell’epidemia, ma anzi i maggiori studi pubblicati propendono per una loro inefficacia, a fronte del successo di misure selettive di contenimento, la trasposizione mediatica tende a ridurre questa pluralità e complessità del dibattito alla rappresentazione di una Scienza univoca e in cui domina un universale consenso sulle misure applicate dalle autorità politiche. La stessa dinamica emerge, secondo Kulldorff, rispetto all’uso dei vaccini d’emergenza approvati con riserva dalle autorità di controllo nei paesi occidentali e, in particolare, rispetto alla loro somministrazione nei giovani e negli adolescenti.
Allo stesso modo, Kulldorff osserva come l’aver denunciato l’inefficacia dei lockdowns e i danni arrecati da questi sulla salute pubblica, e proposto nella Great Barrington Declaration, redatta insieme a due altri epidemiologi delle università di Oxford e di Stanford, a fronte di un incontro promosso dall’American Institute for Economic Research (AIER), think tank libertarian che promuove il libero mercato, un approccio differente definito di Protezione Focalizzata, lo abbia immediatamente esposto sia agli insulti e alle accuse di complottismo e Trumpismo da parte di molti colleghi, sia a meccanismi di censura e ban applicati nei suoi confronti da TV, giornali e social media.
Al di là della condivisione o meno delle tesi scientifiche espresse da Kulldorff, rispetto alle quali non possediamo capacità di analisi e di valutazione dei dati, se non la nostra comune intelligenza, tuttavia, ciò che egli denuncia nel riduzionismo mediatico del dibattito scientifico, nella sua polarizzazione e nella costruzione di meccanismi di delegittimazione pubblica e di censura, costituisce una dinamica reale e un problema che osserviamo, sui quali più volte abbiamo posto la nostra attenzione, e di cui avvertiamo qui la necessità di condividerli.
È per questa ragioni che proponiamo una traduzione integrale del testo di Kulldorff, consapevoli che l’impossibilità di sollevare dubbi, di porre interrogativi, di formulare ipotesi e tesi che vadano in direzione opposta alla narrazione comune delle cose, costituisca un impedimento al dibattito, tanto scientifico quanto politico, a conoscere, a superare ostacoli e a progredire collettivamente per migliorare le condizioni del vivere di tutti.
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Perché ho parlato contro i lockdowns. Sulla necessità di sfidare il senso comune sul Covid
Non avevo altra scelta che parlare contro i lockdowns. Come scienziato della salute pubblica con decenni di esperienza di lavoro sulle epidemie di malattie infettive, non potevo rimanere in silenzio. Non quando i principi fondamentali della salute pubblica sono buttati fuori dalla finestra. Non quando la classe dei lavoratori è stata tradita. Non quando gli avversari del lockdown sono stati dati in pasto ai lupi. Non c’è mai stato un consenso scientifico riguardo ai lockdowns. Quella bolla doveva essere fatta scoppiare.
Due fatti chiave del Covid mi sono stati subito ovvi. In primo luogo, con i primi focolai in Italia e Iran, questa è stata una grave pandemia che alla fine si sarebbe diffusa nel resto del mondo, causando molti decessi. Questo mi ha reso nervoso. In secondo luogo, sulla base dei dati di Wuhan, in Cina, c’era una drammatica differenza nella mortalità per età, con una differenza di oltre mille volte tra giovani e anziani. È stato un enorme sollievo. Sono un padre single con un adolescente e due gemelli di cinque anni. Come la maggior parte dei genitori, tengo più ai miei figli che a me stesso. A differenza della pandemia di influenza spagnola del 1918, i bambini avevano molto meno da temere dal Covid che dall’influenza annuale o dagli incidenti stradali. Potevano andare avanti con la vita illesi, o almeno così pensavo.
Per la società in generale, la conclusione era ovvia. Dovevamo proteggere le persone anziane e ad alto rischio mentre gli adulti più giovani a basso rischio facevano muovere la società.
Ma non è questo che è successo. Al contrario, le scuole hanno chiuso mentre le case di cura non sono state protette. Perché? Non aveva senso. Quindi, ho preso una penna. Con mia grande sorpresa, non ho potuto interessare i media statunitensi con la mia opinione, nonostante la mia conoscenza ed esperienza delle epidemie e delle malattie infettive. Ho avuto più successo nella mia nativa Svezia, con editoriali sui principali quotidiani e, alla fine, con un pezzo su Spiked. Altri scienziati che la pensano allo stesso modo hanno incontrato ostacoli simili.
Invece di comprendere la pandemia, siamo stati incoraggiati a temerla. Invece della vita, abbiamo il lockdown e la morte. Abbiamo avuto diagnosi di cancro ritardate, esiti peggiori delle malattie cardiovascolari, deterioramento della salute mentale e molti più danni collaterali alla salute pubblica dovuti alle chiusure. I bambini, gli anziani e i la classe lavoratrice sono stati i più colpiti da quello che può essere descritto soltanto come il più grande fiasco di salute pubblica della storia.
Per tutta l’ondata primaverile del 2020, la Svezia ha mantenuto aperti gli asili nido e le scuole per ciascuno dei suoi 1,8 milioni di bambini di età compresa tra uno e 15 anni. E lo ha fatto senza sottoporli a test, maschere, barriere fisiche o distanziamento sociale. Questa politica ha portato precisamente a zero morti Covid in quella fascia di età, mentre gli insegnanti avevano un rischio Covid simile alla media delle altre professioni. L’Agenzia svedese per la sanità pubblica ha riportato questi fatti a metà giugno, ma negli Stati Uniti i sostenitori del blocco hanno ancora spinto per la chiusura delle scuole.
A luglio, il New England Journal of Medicine ha pubblicato un articolo sulla “riapertura delle scuole primarie durante la pandemia”. Sorprendentemente, non ha nemmeno menzionato le prove dell’unico grande paese occidentale che ha tenuto aperte le scuole durante la pandemia. È come valutare un nuovo farmaco ignorando i dati del gruppo di controllo placebo.
Con difficoltà di pubblicazione, ho deciso di utilizzare il mio account Twitter per lo più dormiente per spargere la voce. Ho cercato tweet sulle scuole e ho risposto con un link allo studio svedese. Alcune di queste risposte sono state ritwittate, il che ha prestato una certa attenzione ai dati svedesi. Ha ricevuto anche a un invito a scrivere per Spectator [N.d.R. settimanale britannico di politica, cultura e attualità, tra i più antichi al mondo]. Ad agosto, ho finalmente fatto irruzione nei media statunitensi con un editoriale alla CNN contro la chiusura delle scuole. Conosco lo spagnolo, quindi ho scritto un pezzo per la CNN-Español. La CNN-Inglese non era interessata.
C’era chiaramente qualcosa che non andava con i media. Tra i colleghi di epidemiologia delle malattie infettive che conosco, la maggior parte preferisce la protezione mirata dei gruppi ad alto rischio invece dei lockdowns, ma i media hanno fatto sembrare che ci fosse un consenso scientifico generalizzato intorno alla strategia delle chiusure e dei lockdowns.
A settembre ho incontrato Jeffrey Tucker all’American Institute for Economic Research (AIER), un’organizzazione di cui non avevo mai sentito parlare prima della pandemia. Per aiutare i media a comprendere meglio la pandemia, abbiamo deciso di invitare i giornalisti a incontrare epidemiologi di malattie infettive a Great Barrington, nel New England, per condurre interviste più approfondite. Ho invitato due scienziati a unirsi a me, Sunetra Gupta dell’Università di Oxford, uno dei più eminenti epidemiologi di malattie infettive del mondo, e Jay Bhattacharya della Stanford University, un esperto di malattie infettive e popolazioni vulnerabili. Con sorpresa dell’AIER, noi tre abbiamo anche deciso di scrivere una dichiarazione sostenendo una protezione mirata anziché il lockdown. L’abbiamo chiamata la Grande Dichiarazione di Barrington (GBD).
L’opposizione al lockdown era stata ritenuta non scientifica. Quando gli scienziati si sono espressi contro le chiusure, sono stati ignorati, considerati una voce marginale o accusati di non avere credenziali adeguate. Abbiamo pensato che sarebbe stato difficile ignorare qualcosa scritto da tre epidemiologi senior di malattie infettive di quelle che erano tre autorevoli università. Avevamo ragione. Si è scatenato l’inferno, il che era un buon segnale.
Alcuni colleghi ci hanno lanciato epiteti come “pazzo”, “esorcista”, “assassino di massa” o “Trumpista”. Alcuni ci hanno accusato di prendere posizione per soldi, anche se nessuno ci ha pagato un centesimo. Perché una risposta così feroce? La dichiarazione era in linea con i numerosi piani di preparazione alla pandemia prodotti anni prima, ma questo era il punto cruciale. Senza buoni argomenti di salute pubblica contro la protezione mirata, hanno dovuto ricorrere a una caratterizzazione errata e alla calunnia, oppure ammettere di aver commesso un terribile errore mortale nel loro sostegno ai blocchi.
Alcuni sostenitori del lockdowns ci hanno accusato di aver costruito un argomento fantoccio, una rappresentazione distorta, poiché i lockdowns avevano funzionato e non erano più necessari. Solo poche settimane dopo, gli stessi critici hanno lodato la reimposizione dei lockdowns durante la molto prevedibile seconda ondata. Ci è stato detto che non avevamo specificato come proteggere il vecchio, anche se avevamo descritto le idee in dettaglio sul nostro sito Web e negli editoriali. Siamo stati accusati di sostenere una strategia del “lascia fare”, anche se la protezione mirata è l’esatto opposto. Ironia della sorte, i lockdowns sono una forma trascinata di una strategia del “lascia fare”, in cui ogni fascia di età viene infettata nella stessa proporzione.
Quando abbiamo scritto la dichiarazione, sapevamo che ci stavamo esponendo agli attacchi. Può essere spaventoso, ma come ha detto Rosa Parks: «Ho imparato nel corso degli anni che quando si decide, questo diminuisce la paura; sapere cosa si deve fare elimina la paura». Inoltre, non ho preso personalmente gli attacchi giornalistici e accademici, per quanto vili. La maggior parte proveniva da persone di cui non avevo mai sentito parlare prima. In ogni caso, gli attacchi non erano rivolti principalmente a noi. Avevamo già parlato e continueremo a farlo. Il loro scopo principale era quello di scoraggiare altri scienziati dal parlare apertamente.
Quando avevo vent’anni, ho rischiato la vita in Guatemala lavorando per un’organizzazione per i diritti umani chiamata Peace Brigades International. Abbiamo protetto contadini, lavoratori sindacalizzati, studenti, organizzazioni religiose, gruppi di donne e difensori dei diritti umani minacciati, assassinati e rapiti da squadroni militari della morte. Mentre i coraggiosi guatemaltechi con cui ho lavorato hanno affrontato molti più pericoli, una volta gli squadroni della morte hanno lanciato una bomba a mano nella nostra casa. Se potevo fare quel lavoro allora, perché ora non dovrei correre rischi molto più piccoli per le persone qui a casa? Quando sono stato falsamente accusato di essere un uomo di destra finanziato da Koch, ho semplicemente alzato le spalle – comportamento tipico sia dei servitori dell’establishment che dei rivoluzionari da poltrona.
Dopo la Grande Dichiarazione di Barrington, non è più mancata l’attenzione dei media sulla protezione mirata come alternativa al lockdown. Al contrario, le richieste sono arrivate da tutto il mondo. Ho notato un contrasto interessante. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, i media erano amichevoli con le domande sul softball o ostili con le domande trabocchetto e gli attacchi ad hominem. I giornalisti nella maggior parte degli altri paesi hanno posto domande dure ma pertinenti ed eque, esplorando ed esaminando criticamente la Dichiarazione di Great Barrington. Penso che sia così che dovrebbe essere fatto il giornalismo.
Mentre la maggior parte dei governi ha continuato con le loro politiche di lockdown fallite, le cose si sono mosse nella giusta direzione. Sempre più scuole hanno riaperto e la Florida ha respinto le chiusure a favore di una protezione mirata, in parte basata sui nostri consigli, senza le conseguenze negative causate dai lockdowns.
Con i fallimenti del lockdown sempre più evidenti, gli attacchi e la censura sono aumentati anziché diminuire: YouTube di proprietà di Google ha censurato il video di una tavola rotonda con il governatore della Florida Ron DeSantis, in cui io e i miei colleghi abbiamo affermato che i bambini non hanno bisogno di indossare maschere; Facebook ha chiuso l’account GBD quando abbiamo pubblicato un messaggio pro-vaccino sostenendo che le persone anziane dovrebbero avere la priorità per la vaccinazione; Twitter ha censurato un post quando dicevo che i bambini e quelli già infetti non hanno bisogno di essere vaccinati; e i Centers for Disease Control (CDC) mi hanno rimosso da un gruppo di lavoro sulla sicurezza dei vaccini quando ho discusso che il vaccino Johnson & Johnson Covid non dovrebbe essere negato agli americani più anziani.
Twitter ha persino bloccato il mio account per aver scritto che:
«Ingenuamente ingannati a pensare che le maschere li avrebbero protetti, alcune persone anziane ad alto rischio non hanno preso le distanze sociali in modo corretto e alcuni sono morti di Covid a causa di ciò. Tragico. I funzionari/scienziati della sanità pubblica devono essere sempre onesti con il pubblico».
Questo aumento della pressione può sembrare controintuitivo, ma non lo è. Se ci fossimo sbagliati, i nostri colleghi scienziati avrebbero potuto avere pietà di noi e i media sarebbero tornati a ignorarci. Essere corretti significa che abbiamo messo in imbarazzo alcune persone immensamente potenti della politica, del giornalismo, della grande tecnologia e della scienza. Non ci perdoneranno mai.
Non è questo che importa, però. La pandemia è stata una grande tragedia. Un mio amico di 79 anni è morto di Covid, e pochi mesi dopo sua moglie è morta per un cancro che non è stato rilevato in tempo per iniziare il trattamento. Mentre le morti sono inevitabili durante una pandemia, l’ingenua ma errata convinzione che i lockdowns avrebbero protetto le persone anziane significava che i governi non hanno implementato molte misure di protezione mirate standard. La pandemia trascinata ha reso più difficile per le persone anziane proteggersi. Con una strategia di protezione mirata, il mio amico e sua moglie potrebbero essere vivi oggi, insieme a innumerevoli altre persone in tutto il mondo.
In definitiva, i locckdowns hanno protetto i giovani professionisti a basso rischio che lavorano da casa – giornalisti, avvocati, scienziati e banchieri – sulle spalle dei bambini, della classe lavoratrice e dei poveri. Negli Stati Uniti, i lockdowns sono il più grande assalto ai lavoratori dalla segregazione e dalla guerra del Vietnam. Fatta eccezione per la guerra, ci sono poche azioni del governo durante la mia vita che hanno imposto più sofferenze e ingiustizie su così vasta scala.
Come epidemiologo delle malattie infettive, non avevo scelta. Ho dovuto parlare. Se no, perché essere uno scienziato? Molti altri che hanno parlato con coraggio avrebbero potuto tranquillamente rimanere in silenzio. Se lo avessero fatto, sarebbero state chiuse ancora più scuole e il danno collaterale per la salute pubblica sarebbe stato maggiore. Sono a conoscenza di molte persone fantastiche che combattono contro questi blocchi inefficaci e dannosi, scrivono articoli, pubblicano sui social media, realizzano video, parlano con gli amici, parlano alle riunioni del consiglio scolastico e protestano per le strade. Se sei uno di loro, è stato davvero un onore lavorare con te in questo sforzo insieme. Spero che un giorno ci incontreremo di persona e poi balleremo insieme. Danser bis !
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