In Etiopia è sempre più crisi umanitaria
di IL NODO DI GORDIO (Elvio Rotondo)
L’Etiopia è un paese continentale ed è il secondo più popoloso e povero dell’Africa con circa 115 milioni di abitanti. La popolazione è composta da un gran numero di gruppi etnici differenti (più di 80), soltanto due di questi superano la quota del dieci per cento, si tratta degli Oromo (34,5%) ed degli Amhara (27%) che insieme costituiscono oltre i 3/5 degli abitanti di questa Nazione. Seguono poi i Tigrini che rappresentano il 6,22% della popolazione e si trovano nel nord del paese. La religione ortodossa etiope (43,5%) è la fede più professata, seguita dall’islamismo (34%) e dal protestantesimo (18,5%).
L’Etiopia, dallo scorso novembre, è alle prese con una guerra interna, nella regione del Tigray.
La guerra ha aggravato le tensioni etniche e creato un’immensa crisi umanitaria e politica che coinvolge i paesi vicini e potrebbe destabilizzare l’intero Corno d’Africa. Secondo fonti delle Nazioni Unite, più di 5 milioni di persone, la grande maggioranza della popolazione del Tigray, hanno urgente bisogno di assistenza. Si stima che migliaia di persone siano state uccise, che circa 1,7 milioni di persone siano sfollate dalle loro case e che più di 63.000 siano fuggite in Sudan. Nel Tigray, più di un milione e mezzo di persone dipendevano dagli aiuti anche prima della guerra.
Secondo l’ufficio del portavoce delle Nazioni Unite, il WFP (World Food Programm) ha osservato che lo scoppio del conflitto nel Tigray, lo scorso novembre, ha coinciso con il periodo di picco del raccolto, con conseguente perdita di occupazione e reddito, i mercati sono stati scompigliati, i prezzi del cibo sono aumentati e l’accessibilità a denaro e cibo è stata limitata.
Il capo del Programma alimentare mondiale (WFP) ha lanciato un appello il 10 giugno scorso per l’accesso immediato nella regione con lo scopo di fornire assistenza salvavita alla popolazione etiope del Tigray, dove i continui combattimenti tra governo e forze regionali hanno messo a rischio di carestia circa 350.000 persone. L’accesso ai servizi vitali e alla necessaria assistenza alimentare è essenziale per evitare una catastrofe. Gli aiuti devono essere estesi ben oltre le grandi città e devono raggiungere le persone in disperato bisogno ovunque si trovino, con un’assistenza adeguata e senza ritardi.
Secondo le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie, i bambini muoiono di malnutrizione, gli aiuti alimentari vengono saccheggiati dai soldati e agli operatori umanitari è stato impedito di raggiungere le aree più colpite. Le autorità federali potrebbero anche aver valutato che consentire gli aiuti offrirebbe alle forze del Tigray la possibilità di rifornirsi e quindi prolungare i combattimenti. Nel Tigray occidentale, decine di migliaia di persone sono state cacciate dalle loro case dalle milizie di etnia Amhara nell’ambito di quella che gli Stati Uniti hanno definito una campagna di pulizia etnica.
Il NYT riporta che i motivi che avrebbero portato alla guerra vanno ricercati anche nella condotta del primo ministro, Abiy Ahmed, impegnato a contrastare il potere del TPLF (Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray), che in precedenza guidava il governo centrale. Abiy ha cercato di consolidare il potere nel governo federale creando un unico partito politico, incarcerando importanti rivali politici ed eliminando i partiti dell’opposizione. Il TPLF e il Tigray hanno resistito apertamente a questo cambiamento. Lo scorso settembre, il Tigray ha sfidato il primo ministro andando avanti con le elezioni parlamentari regionali, che il governo federale aveva ordinato di rinviare a causa della pandemia di coronavirus. I legislatori etiopi a ottobre hanno votato per tagliare i fondi alla regione.
Nella notte del 3-4 novembre, le forze armate del TPLF hanno attaccato una base militare federale nel Tigray e hanno tentato di rubarne le armi. Il TPLF ha affermato di aver colpito preventivamente mentre le forze federali si preparavano ad attaccare il Tigray. Ore dopo, Abiy ha ordinato l’offensiva militare nel Tigray, le comunicazioni Internet e telefoniche sono state interrotte e il suo governo ha dichiarato lo stato di emergenza di sei mesi nella regione.
Il tentativo di Abiy di centralizzare l’autorità, mettendo a disagio diverse fazioni regionali ed etniche, ha minacciato di erodere il potere rimanente del TPLF. Funzionari del Tigray hanno detto che molti elementi di etnia tigrina dell’esercito etiope hanno disertato per entrare nel TPLF. Abiy ha rafforzato le sue forze schierando combattenti della milizia di Amhara, a sud del Tigray che hanno invaso il Tigray occidentale, con accuse di attacchi ai civili.
L’esercito ha preso il controllo del Tigray occidentale, interrompendo la tradizionale linea di rifornimento del Tigray, in tempo di guerra, attraverso il Sudan orientale e si è fatto strada nelle principali città come Shire, Adwa e Axum a nord-ovest di Mekelle, prima di prendere la capitale regionale il 28 novembre .
Il governo dell’Eritrea ha unito le forze con Abiy, invadendo il Tigray dal nord. Secondo quanto riporta la BBC, le forze eritree che si sono unite al conflitto sono state accusate di saccheggio diffuso e, insieme all’esercito etiope, di bruciare i raccolti, distruggere le strutture sanitarie e impedire ai contadini di arare la loro terra. Le forze federali e i loro alleati hanno preso rapidamente il controllo della capitale del Tigray, Mekelle, e di altre città principali, ma il TPLF e i suoi sostenitori armati sono fuggiti nelle zone rurali e montuose, dove sono proseguiti sporadici combattimenti. Il governo etiope avrebbe limitato la presenza dei giornalisti nella regione, rendendo difficile valutare la situazione.
Il governo etiope è ora alle prese anche con focolai di violenza etnica in altre parti del paese. Gli scontri tra Oromo e Amhara hanno causato 18 morti ad aprile, mentre circa 100 persone sono state uccise negli scontri di confine tra le comunità somale e afar. L’Oromo Liberation Army (OLA) ha dichiarato che si sarebbe impegnato in una “guerra totale” dopo che il governo di Abiy l’aveva designato nel mese di maggio gruppo terroristico, insieme al TPLF.
Per quanto riguarda l’Eritrea, nell’aprile scorso, l’ambasciatrice eritrea alle Nazioni Unite, Sophia Tesfamariam, aveva scritto che “poiché la grave minaccia incombente è stata ampiamente sventata, l’Eritrea e l’Etiopia hanno concordato – ai più alti livelli – di intraprendere il ritiro delle forze eritree e il simultaneo ridispiegamento dei contingenti etiopi lungo il confine internazionale”. Ma, al momento tutto ciò non è ancora avvenuto e appare improbabile che possa avvenire a breve scadenza e soprattutto senza aver sconfitto completamente le forze tigrine.
Nonostante i grossi problemi nel paese, Abiy starebbe portando avanti le ambiziose riforme economiche tra cui la prevista creazione del primo mercato azionario etiope e la privatizzazione del settore delle telecomunicazioni dominato dallo stato. Ma, secondo The Africa Report, i risultati della leadership di Abiy, tre anni dopo il suo insediamento, sarebbero disastrosi. Ha promesso unità, solidarietà e indulgenza, ma l’Etiopia non è mai stata così divisa.
L’Etiopia dovrebbe tenere le elezioni il prossimo 21 giugno, nonostante l’escalation delle tensioni tra i suoi maggiori gruppi etnici. Primo test elettorale per il primo ministro Abiy da quando si è insediato. Le elezioni erano originariamente previste per agosto 2020 ma sono state ritardate, a causa della pandemia Covid-19.
Gli elettori eleggeranno 547 membri del parlamento federale e il leader del partito vincitore diventerà primo ministro. Le ultime elezioni generali si sono svolte nel 2015. Le elezioni non si terranno nel Tigray, dove i combattimenti continuano nonostante Abiy abbia dichiarato vittoria nel novembre 2020.
Il primo ministro, Abiy Ahmed, ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2019 per la pacificazione con l’Eritrea. Nel mese di novembre scorso, il comitato del premio Nobel, che raramente esprime opinioni sulle azioni dei precedenti premi Nobel, si sarebbe detto preoccupato. In una nota si legge: “il Comitato norvegese per il Nobelsegue da vicino gli sviluppi in Etiopia ed è profondamente preoccupato”.
Dal punto di vista internazionale, sebbene non ci si aspetti alcun conflitto armato, le relazioni tra Etiopia ed Egitto sono tese, poiché il presidente egiziano al-Sisi rifiuta di accettare la Grande diga etiope sul Nilo Azzurro. Come riportato in un articolo su Analisi Difesa, il paese è venuto alla ribalta anche per la vicenda della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) dal costo di 4,5 miliardi di dollari – una volta completata sarà la più grande centrale idroelettrica dell’Africa, con un bacino idrico enorme – è diventata un tormento nazionale per entrambi i paesi, alimentando patriottismo, paure profonde e persino voci di guerra. Il Nilo, il fiume più lungo del mondo, attraversa 11 paesi percorrendo 4.000 miglia, dai fiumi equatoriali che alimentano il Lago Vittoria fino alla sua foce finale nel Mar Mediterraneo. L’Egitto, paese prevalentemente desertico, di 100 milioni di abitanti, fa affidamento sul fiume per il 90 per cento del suo fabbisogno di acqua dolce. Con un’economia in crescita ma altrimenti povera di risorse, l’Etiopia è desiderosa di sviluppare il suo vasto potenziale di produzione di energia idroelettrica per diventare un hub regionale delle esportazioni di energia elettrica.
Viene da se che se l’Etiopia non riuscirà a trovare una soluzione e un accordo politico, assicurando le misure fondamentali di giustizia e sicurezza, potrebbe essere lacerata da un ulteriore conflitto che provocherà una massiccia e destabilizzante crisi dei rifugiati, passando così direttamente da una situazione di crisi/emergenza umanitaria a una catastrofe.
FONTE: https://nododigordio.org/breaking-news/in-etiopia-e-sempre-piu-crisi-umanitaria/
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