NADEF 2021: vera Conversione o solito Bluff?
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Dopo il rigore forsennato, si cresce a debito e senza tanti investimenti
Sembra una svolta radicale: nella NADEF 2021, la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza per l’anno in corso che è stato appena approvata dal Consiglio dei Ministri, la riduzione del rapporto debito/PIL viene ostentatamente perseguita con una politica di bilancio espansiva, volta ad incrementare strutturalmente la crescita economica, e non attraverso il consueto contenimento delle spese pubbliche e con l’aumento delle entrate fiscali come si è fatto per decenni, con risultati sconfortanti.
La cura del rigore forsennato, quello che vedeva protagonisti i mercati finanziari che ci bastonavano facendo schizzare alle stelle lo spread tra i titoli del debito pubblico italiano rispetto al Bund è iniziata nel 1992: dopo la svalutazione della lira e la mini-patrimoniale sui conti correnti bancari, la politica di bilancio perseguì la riduzione del rapporto debito/PIL attraverso una costante riduzione del deficit, accollando alle entrate fiscali una quota consistente della spesa per gli interessi.
Ininterrottamente dal 1992 al 2019, con l’eccezione di due soli anni (il 2009 ed il 2010 per via della crisi finanziaria americana) il deficit annuale di bilancio dell’Italia è servito solo per pagare la quota degli interessi sul debito che non si riusciva ad accollare alle entrate tributarie: ci siamo indebitati solo ed esclusivamente per questo, per ragioni finanziarie, e non stimolare la crescita economica.
I risultati sono stati sconsolanti. L’economia italiana è stata massacrata per pagare interessi altissimi sul debito accumulato: ben 773 miliardi di euro nel solo periodo 2009-2019, nonostante gli interventi eccezionalmente accomodanti della BCE, che ha abbassato i tassi e ridotto lo spread con il Qe a partire dal 2013.
Nel 2019, alla vigilia della crisi sanitaria, abbiamo registrato allo stesso tempo il peggior risultato in termini di crescita, con il PIL reale aumentato appena dello 0,3%, ed il miglior risultato in termini di deficit, che era stato infatti ridotto appena all’1,5% del PIL. La spesa per gli interessi sul debito, pari al 3,4% del PIL, era stata finanziata per la gran parte con le tasse: l’avanzo primario era arrivato infatti all’1,8% del PIL.
La cura del rigore, perseguita senza sosta, aveva ridotto la crescita economica al lumicino: in pratica, la politica di bilancio era strutturalmente recessiva. L’obiettivo del pareggio strutturale, previsto dal Fiscal Compact, era ormai a portata di mano, ma quello della riduzione del rapporto debito/PIL, previsto nel medesimo Trattato, rimaneva invece un miraggio. Se il PIL cresce in percentuali bassissime, il rapporto debito/PIL non si riduce per via dell’aumento del denominatore della frazione, ma solo con rimborsi netti di tasse. Una follia!
Nella NADEF appena varata, sembra che la strategia sia cambiata: il PIL del 2021 è stato rivisto in crescita, al 6%. Il deficit, che arriverebbe al 9,4% del PIL, viene destinato al pagamento di tutta la spesa per interessi (3,4% del PIL) ed al sostegno dell’economia per la quota restante (6% del PIL): il saldo primario tra le entrate e le spese al netto degli interessi è stato infatti negativo (6% del PIL).
Il PIL reale crescerà, secondo lo scenario programmatico, del 4,7% nel 2022, del 2,8% nel 2023 e dell’1,9% nel 2024. Parallelamente, il deficit scenderà dal 9,4% di quest’anno al 5,6% nel 2022, poi al 3,9% nel 2023 ed ancora al 3,3% del 2024. In tutti questi anni, il saldo primario rimarrà negativo: il deficit servirà per pagare tutta la spesa per interessi e per la quota restante a sostenere l’economia.
Ma quella che sembra ancora più strana è la dinamica degli investimenti, del cui rilancio tanto si parla. Testualmente, nella NADEF si scrive: “Il gap di investimenti pubblici originato a seguito della crisi economico-finanziaria risulterà completamente colmato alla fine dell’orizzonte previsto. Nel 2024, la spesa per investimenti fissi lordi a legislazione vigente valutata a prezzi costanti tornerà, infatti, a collocarsi su di un livello superiore a quello del 2009. Il rapporto tra investimenti pubblici e PIL sarà, tuttavia, circa 0,2 punti percentuali inferiore al picco del 3,7% raggiunto nel 2009, per effetto di un livello atteso del PIL nettamente superiore“.
Il contributo del Recovery Fund europeo (RRF) sarà davvero misero: in percentuale sul PIL, il totale delle spese correnti finanziate da sovvenzioni (trasferimenti europei da non rimborsare) sono pari allo 0,1% nel 2021, allo 0,2% nel 2022 e nel 2023, ed ancora allo 0,1% nel 2024. Il totale delle spese in conto capitale finanziato con sovvenzioni sarà pari allo 0,2% del PIL nel 2021, allo 0,5% del PIL nel 2022, allo 0,6% del PIL nel 2024 ed allo 0,4% del PIL nel 2024. Per quanto riguarda le spese in conto capitale finanziate invece con prestiti europei (somme che sono dunque da rimborsare), ammontano allo 0,4% del PIL nel 2021, allo 0,6% nel 2022, allo 0,8% nel 2023 ed all’1,4% nel 2024.
Nonostante le chiacchiere, le lodi sperticate e le fanfare, gli enormi investimenti pubblici di cui tanto si parla e che dovrebbero sostenere la ripresa non ci sono proprio.
La crescita prevista dalla NADEF 2021 si fonda:
- sull’aumento strutturale del deficit di bilancio;
- sul fatto che non ci sarà più il drenaggio di risorse fiscali per pagare gli interessi, visto che il saldo primario sarà sempre negativo;
- sulla riduzione del peso degli interessi sul PIL, pari ad un punto percentuale in meno tra il 2019 ed il 2024.
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