Perché non mi recherò alle urne
di MATTEO COTUGNO (RI Reggio Calabria)
Confesso di essere stato molto combattuto sul da farsi riguardo alle regionali in Calabria. Ho scartato da subito l’ipotesi del voto sulla base delle diverse conoscenze personali che figurano tra i candidati, nonostante il sincero affetto che mi lega a questi, perché per me la politica è una cosa seria, ed è molto difficile per me agire a dispetto delle mie idee.
Conseguentemente, deciso nonostante tutto a votare, ho considerato la logica del male minore. Il male minore per me era De Magistris, forse perché l’unico non appartenente alle aree dei grandi partiti nazionali, quelli che difatti con minime sfaccettature divergenti su questioni marginali costituiscono dall’avvento della Seconda Repubblica il partito unico liberale. Non lo avrei fatto con convinzione, né tantomeno con contentezza. Risuonavano in me le parole di Hannah Arendt che mi è capitato di leggere in rete alcune settimane fa: “Chi sceglie un male minore, dimentica ben presto di aver scelto un male”.
Così, forse inconsapevolmente deciso a ridestarmi, ho cercato in rete l’opinione di De Magistris sul green pass, che io considero un’aberrazione sul piano giuridico con scarsissima valenza scientifica, considerata la (solo) parziale protezione dei vaccini dalla trasmissibilità e dalla possibilità di infettarsi, peraltro decrescente già dopo pochi mesi dall’inoculazione. Per non parlare del rapporto rischi-benefici sui giovanissimi. Basti pensare che, mentre la Gran Bretagna e tanti altri paesi sviluppati sconsigliavano la somministrazione agli under 15, all’opposto in Italia entrava in vigore un decreto che di fatto obbligava surrettiziamente alla vaccinazione di tutti gli over 12, pena l’esclusione da attività sportive, attività ricreative al chiuso, ristoranti, cinema ecc.: pena, insomma, l’esclusione sociale.
Addirittura il decreto prevede che nel caso in cui in una classe tutti siano vaccinati, la scuola può prevedere di non far indossare le mascherine agli studenti. Immaginate la pressione emotiva, per non parlare di bullismo indotto, esercitata sugli alunni non vaccinati da parte di compagni e insegnanti. Siamo a livelli di perversione sadica da parte del legislatore, che nonostante la mia visione disincantata sul mondo, non avrei neppure potuto immaginare fino a un anno fa. Tutto questo, ricordo, per un trattamento sanitario che non è comunque obbligatorio per legge. Questa perversione, l’assenza totale di esitazione e la spasmodica fretta da parte di chi decide in questo Paese, o per questo Paese, dovrebbe far comprendere la natura squisitamente politica del green pass e mi permette di glissare su questo argomento che non è lo scopo principale di questo post.
Ho appreso da un articolo di Napolitoday che per De Magistris il green pass è una “scelta intelligente che scoraggia chi non vuole vaccinarsi”. Ho trovato, in fondo quello che forse inconsciamente speravo di trovare. Mi son liberato in quell’attimo dal retaggio di ore di educazione civica alle scuole medie e conferenze in Aula Magna al Liceo che ti introiettano il mantra per cui il “voto è un dovere civico”, “qualora anche non vi piaccia nessuno scegliete il meno peggio”, oppure “è come se lasciaste ad altri la scelta”.
Però a scuola non ci insegnano che chi governa una Regione in Italia viene immediatamente catturato da tre dispositivi, o quantomeno a scuola non insegnano dell’esistenza del primo.
Il primo dispositivo, quello più grande, è la sovrastruttura istituzionale della UE, dei Trattati, del pareggio di bilancio in Costituzione, del Patto di Stabilità e Crescita, delle centinaia di condizionalità del Recovery Fund che riducono all’osso la possibilità di autodeterminazione dell’Italia, figuriamoci la discrezionalità di un politico locale.
Il secondo dispositivo è quello partitico-nazionale, che è dagli anni ’90 emanazione diretta del primo, cui ha scelto di legarsi attraverso il vincolo esterno. Questa emanazione va dalla Lega al centro-sinistra, senza distinzione alcuna.
Il terzo dispositivo è quello clientelare-ndranghetistico che si pone a disposizione dei partiti e verso cui i partiti si pongono a disposizione.
Se non ci si libera del dispositivo che sta in alto, si può fare ben poco. Se non ci si libera da una sovrastruttura irriformabile e concepita per essere quello che è, con buona pace delle illusioni di chi sogna un’altra Europa, non si può mettere in discussione nulla, neppure la possibilità di sconfiggere il fenomeno mafioso, che per mantenere la propria presa sul territorio sguazza e trae linfa dalla disoccupazione, dalla deindustrializzazione e dalla scarsità di risorse dovuta a 27 anni di avanzi primari. Liberarsi del dispositivo è condizione necessaria ma non sufficiente, certo, e non sarà né facile né indolore. Ma tanto basta per non credere più a chi non lo mette in discussione.
Le alternative sono pochissime, forse solo una: Riconquistare l’Italia, di cui faccio parte da alcuni mesi. È un partito neosocialista e, in quanto tale, per la riconquista della sovranità nazionale: pieno di intelligenze straordinarie, un partito di mille anime, ancora troppo poche ma, come avrete capito, a me interessa molto più l’aderenza alle mie idee. Cresceremo perché la Storia ci ha già dato ragione e la realtà degli eventi si schianterà in faccia a molti altri nei prossimi anni.
Lungi da me, allora, affermare che il cambiamento profondo sia possibile per via apolitica. Semplicemente, visto lo schieramento attuale di partiti politici, non è possibile con un voto, sebbene questo costituisca uno dei momenti più alti della vita sociale della Repubblica.
Militiamo allora, studiamo, prendiamo posizione, ché ci sono mille altri modi di prendere posizione e di fare politica al di fuori di una cabina elettorale. Perché siamo immersi nella politica. E a forza di incensare ipocritamente il voto come strumento, ci si dimentica che quello è solo il culmine di un processo. E non ci si lava la coscienza se si fa politica solo con una matita in mano chiusi dentro una cabina, per poi essere semplicemente consumatori il resto dei giorni.
Parafrasando Pasolini: si fa politica anche nelle strade, nelle piazze, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi, e la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti. Allora anche la mia scelta, presa oggi nell’intimo della mia coscienza, è politica. È molto più politica di chi oggi ha scelto un male minore e dimenticherà ben presto di aver scelto un male.
E chi oggi dice che non andare a votare in Calabria vuol dire delegare la scelta ad altri non sa di cosa parla: la scelta, semplicemente, non esiste.
Con il Font color grigio da cell si legge poco, forse nero sarebbe meglio.
La scelta c’è sempre… basta cercarla..
poi se nemmeno FSI VA BENE…
RI (Riconquistare l’Italia) sarebbe il nuovo nome di FSI. Evidentemente in Calabria non ci sono stati i numeri sufficienti per candidarsi.