I giovani sono vecchi
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Claudio Chianese)
Silvia entra in aula senza green pass e i compagni… chiamano la polizia. Sui ventenni obbedienti (tanto da odiare chi non obbedisce), incapaci di sfida, di sprofondare nelle rivolte velleitarie, belle
Pasolini prevedeva il futuro. O forse è solo che il mondo non migliora mai – altra verità pasoliniana – e dunque le sue intuizioni valgono per l’Italia di sempre. Ci sono dei versi, in particolare, quelli che descrivono gli studenti in rivolta a Valle Giulia – versi schietti, antipoetici, persino crudeli:
“Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio
goliardico) il culo. Io no, cari.Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.”
Versi che ritornano in mente leggendo, per esempio, questo titolo di Open: “la studentessa senza green pass torna in aula, gli studenti chiamano la polizia”. Perché si è chiuso il cerchio: dagli universitari criptoborghesi che facevano a botte con la polizia, agli universitari postborghesi che chiamano la polizia se qualcuno protesta. Pasolini lo sapeva, li aveva visti in faccia oltre il velo di retorica del Sessantotto, e infatti è finita così. È finita che sembrano normali i ventenni pro-governo, pro-green pass, pro-UE, pro-scienza, pro-tutto, quelli che sono d’accordo, hanno fiducia, angioletti panglossiani passati dall’infanzia direttamente a una soddisfatta, adulta età produttiva che inizia col profilo su LinkedIn e finisce con la morte – saltando la giovinezza, quel concetto sospettosamente romantico, assoluto e assurdo, per niente razionale, così dannunziano che i fascisti ci hanno fatto una canzone.
La vicenda è piuttosto semplice: alla facoltà di Filosofia di Bologna una ragazza di nome Silvia entra in aula senza green pass, rifiuta di andarsene, la lezione viene interrotta, gli altri studenti la insultano e la minacciano – la professoressa del corso dice che non è vero, io non le credo ma ne riporto la dichiarazione per amor di equità. Comunque sia, non è questo il punto. Il punto non è il green pass, non è il Covid, non è nemmeno la politica: parliamo di estetica. E già qui c’è una sottile volontà eversiva, perché il nostro è un tempo di numeri. La scienza e la tecnica ci hanno abituato a pensare il mondo come una somma di quantità, un sistema circolare di eventi replicabili, ci hanno insegnato a sminuire l’irripetibile, la sensazione, la parola – e dunque qualcuno, magari Jacques Ellul o Wendell Berry, potrebbe dire che la scienza e la tecnica sono doni avvelenati.
Il dibattito di questi giorni è molto brutto: è brutta l’unanimità filogovernativa della grande stampa, ma è brutta anche la confusione ideologica degli antagonisti; è brutto che alcuni filosofi abbiano scritto mezza pagina svogliata di risposta ad Agamben rispondendo solo alla superficie del suo discorso, ma è brutto anche che esista questa superficie fragile, fatta di reductio ad Hitlerum e melodrammi, a coprire quello che di interessante Agamben ha detto su biopolitica e sovranità, e se esiste è colpa di Agamben stesso. Colpa di tutti, però, se mentre ci si scorna per decidere se il green pass è più una patente di guida o un certificato di pura razza ariana scompare nell’approssimazione dei paragoni la società del controllo deleuziana, questa peculiarità repressiva delle moderne democrazie tecnologiche, oltre il totalitarismo, che è la vera lezione politica della pandemia.
Comunque sia, in mezzo a questa collezione di brutture la piccola storia ignobile di Silvia e dei suoi compagni continua a sembrarmi la peggiore. Perché le riassume tutte, eppure resta unica. C’è la ferocia, un abilismo da bullo di scuola, con cui vengono trattati ovunque i non vaccinati, colpevoli della differenza che per la massa è sempre un tabù, in senso freudiano. Lo sappiamo. Questi però sono ventenni e già obbediscono al punto di odiare chi non obbedisce. Non vogliono smontare il mondo, rivoltare le ipotesi più ragionevoli. Non hanno tempo da perdere con le cose che non passano a lezione, con tutto l’altrimenti: chiamano la polizia. Qualcosa non torna: dovrebbero disobbedire, almeno loro. Non soppesando la ragione e il torto, noiosa operazione da adulti, ma anche solo per passare al bosco, alla maniera di Jünger, rifiutare l’automatismo della società che funziona. Ecco la perversione: gli abbiamo insegnato a funzionare sempre, e invece c’è qualcosa di innegabilmente bello nel non saper vivere, nelle rivolte velleitarie, in coloro che cadono e tramontano, dice Zarathustra. E magari se ti sei iscritto a Filosofia dovresti anche sapere che le indagini di mercato e i pregiudizi del nostro tempo hanno già deciso che vali pochissimo – fatti salvi i pochi miracolati che finiscono in cattedra – e quindi hai solo da ribellarti. Anzi, dovresti esserti iscritto proprio per quel motivo.
Poi certo, ci sono di mezzo i vaccini, e non dico che siano una cattiva idea: ma di sicuro non sono il fulcro della faccenda. Il green pass è soprattutto l’attestato che serve per sedersi dalla parte della ragione, dove i posti sono sempre tutti occupati. Dalla parte del torto c’era, questa volta, Silvia col suo sgradevole lessico fusariano, che comunque è parola e quindi meglio del numero: se davvero niente è buono finché il mondo non cambia – sempre Brecht – Silvia ha, non dirò la speranza perché speranza non c’è, ma almeno l’allucinazione di cambiarlo. I suoi compagni niente. Da quell’aula di Bologna il Requiem per gli studenti di Agamben esce svergognato: che c’era da salvare, in questa università? A distanza, in presenza, con o senza tessere, l’università non ha comunque sradicato – e io credo abbia fomentato – la vocazione del gauleiter. La condizione di minorità, accettata e attivamente imposta agli altri, è l’obolo che quasi tutti sono disposti a pagare per tornare al mondo di prima, orrendo esattamente come prima: non è la “confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà” del governo Draghi ad averli fatti immondi e atroci. Aspettavano solo l’occasione.
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/giovani-vecchi-silvia-green-pass/
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