Astensione: no buono…
di MARCO TROMBINO (RI Genova)
Ai ballottaggi delle ultime amministrative del 17/18 ottobre l’astensione al voto ha raggiungo livelli altissimi, superando spesso il 50% degli aventi diritto e, in alcuni quartieri delle grandi città, toccando punte del 70%. Alcuni esponenti politici, tra cui Letta e Salvini, hanno espresso il loro rammarico su questa mancata partecipazione più per rito che per convinzione, perché in fondo il voto per loro sarebbe valido anche se andasse a votare il 1% del corpo elettorale.
Si leggono in rete commenti entusiasti di alcuni simpatizzanti di area neosocialista, sovranista o alternativa al liberismo che considerano l’astensione dal voto un evidente sintomo di insoddisfazione nei confronti dell’attuale classe politica. Bisogna purtroppo osservare che non è così, e che le notizie sulle percentuali di affluenza ai seggi non sono per niente confortanti.
Una porzione difficilmente quantificabile ma sicuramente maggioritaria dei cittadini astenuti non sono persone insoddisfatte dell’attuale sistema economico o sociale, pronti a correre verso i seggi qualora si presentasse un partito promotore dello stato sociale e del diritto al lavoro. Una grossa fetta di questo mancato elettorato è composto da cittadini che hanno disgusto della politica in quanto tale, delle elezioni in quanto tali e delle istituzioni repubblicane in quanto tali.
Rappresentano quella massa disillusa, che se vede un banchetto di un nuovo partito con istanze nuove si limita a commentare “non credo più a nessuno” (come se un partito fosse una specie di idoletto pagano alla quale credere acriticamente) e, naturalmente, è una massa che non fa nulla per organizzarsi al fine di cambiare le cose.
Certo, una cattiva informazione e cattivi media hanno senz’altro contribuito a diffondere questo senso di nausea fra il pubblico, ma l’inazione non è una soluzione a nessun problema e anche il cittadino più scettico deve convincersi di fare parte di un sistema politico e soprattutto economico.
Chi afferma di essere insoddisfatto della situazione sociale ma non si batte in alcun modo per cambiarla contribuisce in realtà a conservare il sistema di cui si lamenta, e su questo punto bisogna essere chiari e fermi. La battaglia culturale per cambiare la mentalità di cittadini disimpegnati è altrettanto importante rispetto ad ogni battaglia elettorale, ed anzi ne è propedeutica.
Riportare i cittadini alla politica è la vera sfida in Italia oggi, supportata dal precedente storico dalle grandi partecipazioni di massa del trentennio ’50/’80 che, nel bene e nel male, hanno sviluppato il benessere di cui in parte – ma sempre meno – ne stiamo ancora godendo gli effetti.
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