Il ramo segato e Gramsci
di ROSSANO FERRAZZANO (FSI Varese)
La questione ha tenuto banco in area sovranista sin dalla sua nascita, formulata dal più famoso (poi dimostratosi il meno lineare) dei suoi esponenti, Alberto Bagnai, che ha reso luogo comune l’immagine secondo cui con l’austerità imposta a tutta l’area euro “la Germania sta segando il ramo sui cui è seduta”. La Germania cioè, imponendo tramite i Trattati UE politiche deflazionistiche ai paesi europei finiti dentro la gabbia dei vincoli di bilancio dell’UE e sotto il lucchetto della minaccia di blocco della liquidità della BCE, finirebbe per danneggiare sé stessa, privandosi dei suoi mercati di sbocco naturali, e questo farebbe crollare il sistema da sé. Motivo per cui non ci sarebbe che da aspettare.
Bagnai sono quasi dieci anni che seguendo questa ipotesi dà per “imminente” il crollo del sistema europeo, che dovrebbe deflagrare tramite i meccanismi di mercato, quelli guidati dalla famosa “mano invisibile”, a partire dall’implosione dell’euro. E sono dieci anni che la realtà spiega a chi abbia occhi per vedere che riducendo la politica all’economia anche i più intelligenti non riescono a capirci un bel niente.
Infatti sono anni che la Germania gestisce gli andamenti critici che affliggono l’economia europea con la diversificazione dei mercati esteri (qualcosina fuori dall’UE c’è pure…) e soprattutto tramite la gestione della propria politica interna. Poiché la matrice con cui sono stati scritti i trattati europei è il modello tedesco, la Germania è infatti sempre libera di manovrare le proprie (possenti) leve a tutela del proprio interesse nazionale.
Oggi, in maniera del tutto imprevista per via dell’epidemia che sta accelerando i meccanismi della crisi, siamo ad un punto di svolta. Le crisi hanno sempre fatto il gioco della Germania, ma a condizione che si potessero diluire i loro effetti nel lungo periodo, secondo il teorema della c.d “rana bollita”, e che si potesse puntare un solo paese alla volta, stile “dieci piccoli indiani”. Ora invece va in crisi tutto insieme, non solo il blocco europeo ma addirittura l’intera economia globale, e in maniera violenta. Quindi molti pensano che questa volta sarà inevitabile, se fra i paesi dell’area germanica prevarrà lo spirito di intransigenza finalmente si avvererà l’antica profezia: prendendo gli ultimi vigorosi colpi di sega tutti assieme, il ramo lungamente segato finalmente si spezzerà, mandando a gambe all’aria l’aquila grassa appollaiata da tre decenni in cima all’albero comunitario.
Ma facciamo attenzione, se la Germania vince il braccio di ferro con il fronte dei paesi mediterranei (che pare cerchino di fare timidamente sponda ora a Londra, ora a Washington, ora a Mosca, ora a Pechino, con una incertezza di visione poco promettente) e tiene duro sulle condizionalità per l’erogazione degli aiuti finanziari ai paesi periferici, da un punto di vista economico si realizzerebbe una situazione addirittura ideale per la Germania.
Diverrebbe infatti la padrona indiscussa dell’intera industria europea e realizzerebbe proprio in virtù del crollo del potere di acquisto dei cittadini europei un balzo in avanti clamoroso in termini di competitività industriale globale. Meno potere d’acquisto significa costo del lavoro più basso, e quest’ultimo maggiore competitività di prezzo nei confronti delle merci degli altri grandi paesi esportatori, Cina in testa. E’ l’assioma di lungo periodo su cui si è sviluppata l’UE.
Inoltre, prendendo il controllo delle infrastrutture, che sono l’altro principale obiettivo delle condizionalità, diverrebbe l’unico interlocutore continentale per chiunque abbia mire di pianificazione strategica nel mondo. E la geopolitica di qualsiasi potenza globale passa per forza per l’Europa.
Dunque, tornando alle condizionalità.
Una volta concessa ai paesi periferici la liquidità minima indispensabile per superare l’emergenza, vincolandoli così alle condizionalità che permettono la demolizione dello stato sociale e la spoliazione completa delle ricchezze nazionali, non ci sarebbe però bisogno nella loro attuazione di un approccio distruttivo come accadde in Grecia nel 2015. In quell’occasione si volle aprire una finestra di Overton che abituasse all’idea che la mattanza alla greca è una possibilità del reale, verificare un modello operativo e soprattutto dare un ammonimento alle popolazioni europee: siamo dei criminali senza scrupoli, abbiate terrore di noi.
In questo caso invece le finalità sarebbero diverse, quindi diverse sarebbero anche le modalità.
Poiché si tratterebbe di traghettare ad un’economia di sussistenza permanente l’intera area periferica dell’euro, bisognerebbe curare la sostenibilità della transizione. A tale scopo sarebbe sufficiente modulare con gradualità le misure previste dalle condizionalità, e lasciare alle economie dei Paesi commissariati dal MES il modo di adattarsi nel tempo alle nuove condizioni, e parallelamente all’industria tedesca di adeguare al nuovo scenario la propria produzione e la relativa allocazione a livello globale. Cioè, ancora e sempre la rana bollita, ma posticipata.
Dunque il rischio per la tenuta del modello tedesco non sta nel lato economico, bensì in quello politico; e soprattutto non sta in Germania, ma sta nei paesi periferici, il maggiore dei quali è l’Italia. Se la Germania terrà la posizione intransigente che abbiamo visto fino ad ora ed imporrà le condizionalità previste dai trattati anche per i fondi necessari per fare fronte all’epidemia, sarà ben difficile che gli attuali governi dei paesi periferici si mostreranno capaci di opporre la ferrea resistenza che sarebbe necessaria ad evitare il peggio, e quello italiano non pare destinato a fare eccezione, anzi.
I partiti della maggioranza si disporranno con ogni probabilità ad accettare i prestiti con le condizionalità previste dai Trattati Europei, MES in testa. I partiti della minoranza si sono già posizionati per fare la guerra non alla Commissione Europea e alle condizionalità bensì a Conte, con l’intenzione di sostituirlo con Draghi, Lega in testa. Come non c’è stata nessuna possibilità di reale rappresentanza politica lungo tutta la Seconda Repubblica, non ci sarà nemmeno ora. Dunque spetta al popolo.
Se non ci sarà reazione popolare veemente per l’uscita senza condizioni dall’UE da parte dei popoli periferici, e in particolare dell’Italia, la Germania trionferà sulle nostre macerie. Ma il popolo non può far valere i propri interessi se è priva di soggetti capaci di rappresentarne la sua volontà politica. Come accadde agli Italiani di esattamente cento anni fa, siamo chiamati a rispondere alla più dura aggressione alla democrazia del nostro tempo.
Era il 1° maggio 1919, e Antonio Gramsci scriveva così:
Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza.
Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo.
Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.
Organizzatevi. Organizzarsi significa aderire ad un partito politico. Questo è il momento. Ognuno decida da che parte stare, se con la classe dirigente tedesca a fianco di quella italiana che ci ha condotti qui, oppure con il popolo italiano, a costruirne una nuova, tutti insieme, per noi e per i nostri figli. Presto non sarà più il tempo per le mediazioni. Presto sarà il tempo di organizzarsi.
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