Quante volte può morire una repubblica?
di LORENZO D’ONOFRIO (RI Pescara)
La notizia di oggi (purtroppo prevedibile e prevista) è che la peggior classe politica della storia repubblicana, nelle ultime 4 elezioni del capo dello stato, non è riuscita a trovare al suo interno più due persone ritenute degne del ruolo. Certo, tutti questi grandi presidenti non li abbiamo mai avuti, come dimostra il fatto che in molti rimpiangono un ingenuo e ambiguo come Pertini.
Ma è innegabile che da un certo momento in poi, che stranamente ha coinciso con la firma del Trattato di Maastricht da un lato, e con l’inizio della Seconda Repubblica dall’altro (avvenimenti tutt’altro che scollegati), qualcosa è cambiato, anche nel ruolo del presidente, che da garante più o meno passivo della Costituzione, è diventato sempre più spudoratamente complice del sacrificio della nostra Carta fondamentale sull’altare di un nuovo modello economico sociale, ma prima ancora politico.
L’evento epocale è stato certamente la morte dei partiti, che progressivamente ci ha consegnato nelle mani di una classe dirigente sempre più inconsistente e facile preda dei desideri del capitale, degna espressione di un popolo, sempre più smarrito e disinteressato, che ha esaurito il suo ruolo politico con il suicidio referendario che ha cancellato il sistema elettorale proporzionale.
L’avvento del maggioritario ha scardinato tutti gli equilibri di un impianto costituzionale che fino a quel momento aveva resistito anche alla strategia della tensione, e a almeno un paio di tentativi di golpe. Tutto è saltato, sia nel rapporto fra i poteri, che nel sistema di contrappesi che avrebbe dovuto garantire la lecita operatività degli organi costituzionali.
Venute meno le distinzioni fra i partiti, reciso ogni loro aggancio ai valori socialisti, democratici e patriottici, si è aperta la strada delle riforme, le più gravi consacrate nella legislazione di rango costituzionale. La nostra Costituzione, resa oggi irriconoscibile, è sempre più sofferente e il bis del capo dello stato, neanche ipotizzato dai Costituenti e per ovvie ragioni mai azzardato prima del secondo Napolitano, con Mattarella diviene anomala prassi, non più solo pericolosa, ma mortale.
Non è un caso che siano stati loro, più di tutti gli altri, ad adoperarsi per promuovere o avallare, con le parole e con la firma di atti costituzionalmente irricevibili, l’annientamento della “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e il confino della nostra sovranità, spedita sempre più lontana dal Popolo cui dovrebbe appartenere.
Non dubito che anche questo “nuovo” presidente sarà in grado di far peggio, anche se le umiliazioni democratiche di cui è stato complice il suo predecessore negli ultimi due anni rendono veramente arduo il compito, ma probabilmente, messo definitivamente da parte il Parlamento, fratturato socialmente, economicamente e anche geograficamente il Paese, il sistema è ben avviato verso una indegna sepoltura di quel poco che resta dell’impianto costituzionale.
La buona notizia è il dato anagrafico: gli esponenti di spicco di quella generazione neoliberale che, da Andreatta in poi, è stata capace di scardinare la Repubblica nata dalla Resistenza, si stanno esaurendo senza lasciare un ricambio all’altezza, visto che i loro eredi non vanno oltre il misero livello di un Letta, mentre Draghi, in meno di un anno, non è riuscito a smentire chi lo inquadrò come non più di “vile affarista”.
Non saremo noi, probabilmente, a fare fuori (politicamente) gli insulsi e inetti neoliberali oggi al potere, ma toccherà a noi formare nuove generazioni di politici di valore, neosocialisti e quindi realmente democratici, antieuropeisti, preparati, combattivi, pronti ad ogni sacrificio, che abbiano come obiettivo della vita quello di ricostruire la Repubblica come disegnata nella nostra originaria Costituzione e, quindi, di realizzare una vera giustizia sociale.
A noi spetta il compito di dare l’esempio e costruire le basi per Riconquistare l’Italia.
[post del 28.1.2022]
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