Essere parte o essere pezzi?
di STEFANO ROSATI (RI Rieti)
Uno dei meccanismi principali, se non il meccanismo principale, di edificazione dell’Unione Europea è stato il rinvio pregiudiziale, ossia la rimessione alla Corte di Giustizia europea da parte dei giudici nazionali di questioni (cd. pregiudiziali) sulla conformità del diritto interno col diritto europeo. Sulla base di questo meccanismo è infatti stato elaborato dalla Corte di Giustizia il principio di prevalenza del diritto europeo su quello nazionale, anche costituzionale. L’integrazione europea si fonda su un principio – la prevalenza del diritto europeo su quello nazionale, anche costituzionale – non scritto in nessun Trattato dell’Unione Europea ma affermato dalla Corte di Giustizia.
Noi invece lo abbiamo addirittura costituzionalizzato con la modifica del titolo V (art. 117 Cost.), ossia proprio con la cosiddetta modifica ‘in senso federalista’ della Repubblica che ha anche previsto l’ignobile autonomia differenziata. Principio di prevalenza del diritto europeo, disintegrazione dello Stato, disgregazione dell’unità e della solidarietà nazionale stanno insieme.
Restando nell’Unione Europea, l’unico modo per preservare la propria autonomia politica è cercare di impedire che i giudici nazionali diventino alfieri della sopraffazione ‘morbida’ da parte di poteri e interessi economici stranieri raggruppati sotto la formula riassuntiva “Unione Europea”. Questa era pressappoco la via tentata dalla Polonia. Una via perdente, siamo chiari. O si rimane, e si subisce, o si recede dai Trattati.
La prevalenza del diritto europeo su quello nazionale richiede infatti che ci sia un giudice nazionale che disapplichi il diritto nazionale e applichi sentenze e norme europee. In questo sistema i giudici funzionano come braccio armato della disintegrazione dell’ordinamento nazionale. Il dispotismo illuminato si avvale sempre di tecnici. E non è secondario che si disapplichi una legge, espressione della volontà popolare, per volontà di un giudice lontano, affinché si applichi una certa norma europea sulla lunghezza delle banane.
Per capire gli effetti che il meccanismo del rinvio pregiudiziale e della prevalenza del diritto europeo su quello nazionale possono determinare sulla capacità di un popolo di darsi un indirizzo, di fare una scelta, può essere utile un esempio. Il testo unico n. 218 del 1978 prevedeva che il 30% degli appalti pubblici dovessero essere riservati dalle pubbliche amministrazioni alle imprese industriali ed artigiane stabilite nel territorio del mezzogiorno. Era una norma chiaramente contraria ai principi di concorrenza propri dell’economia di mercato prevista dai Trattati ma che favoriva le imprese ‘locali’ per creare lavoro in zone depresse.
Fino al 1990 i giudici riconoscevano la legittimità di questa disposizione che “pur essendo effettivamente di privilegio, si propone di realizzare fini sociali tutelati dalla stessa costituzione” (T.A.R. Veneto Sez. I, 10/06/1987, n. 616). Era una giurisprudenza pacifica. Tuttavia, dopo il settembre 1990 i giudici cominciarono a dichiarare illegittime le gare che prevedevano la riserva a favore di imprese stabilite nel meridione semplicemente perché una sentenza della Corte di Giustizia diceva che era contraria alla concorrenza e quindi ai trattati. La legge nazionale restava in vigore ma veniva disapplicata dai giudici mentre in suo luogo veniva applicata la disciplina europea.
Il fatto che la norma nazionale realizzasse fini sociali tutelati dalla Costituzione è divenuto irrilevante dall’oggi al domani. Eppure quella disposizione era uno strumento con cui lo Stato cercava di assorbire l’eccesso di manodopera presente al sud, insomma cercava di creare lavoro, come suo dovere previsto dalla Costituzione che il popolo si è dato.
C’è un’enorme differenza tra i famosi fondi europei (o il PNRR) e questa norma. Il meccanismo dei fondi, rispettando il principio di concorrenza non garantisce, anzi non gli interessa proprio, che i soldi spesi per quell’intervento vadano a imprese e artigiani locali, per il diritto europeo devono poter partecipare anche di altri Paesi. Ed è un meccanismo che generando debito (estero) perpetua il vincolo esterno.
Al meccanismo concorrenziale che disgrega lo Stato e la solidarietà nazionale non interessa risolvere il problema di un’area. Preferisce che a spostarsi siano i lavoratori. È un meccanismo che si fonda sull’abbandono. Di terre, amici, famiglie e antichi lavori. La disposizione prevista dal testo unico 219/1978 invece non crea debito, e tutela la piccola e media impresa artigiana, crea un regime particolare per tutelare e proteggere i propri cittadini dalle logiche folli del capitalismo. Protegge le persone e la vitalità di un territorio perché sono parti dello Stato. Lo fa, peraltro, senza creare debito ulteriore, una norma di buon senso, che tutela il lavoro e la dignità dei suoi cittadini, altrimenti costretti ad andare a mendicare lavoro all’estero. Una norma come ce ne erano tante durante la prima Repubblica che dobbiamo semplicemente reintrodurre liberandoci dai Trattati UE.
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