Risiko – parte 2
di IL BLOG DI SABINO PACIOLLA (Giovanna Ognibeni)
Questione di bon ton.
Ci sono singolari ed inquietanti – o consolanti, chissà – coincidenze tra gli schieramenti, le motivazioni, financo le simpatie che dividono la gente sulla questione pandemia-vaccini e la guerra Russia-Ucraina. La prima, che dovrebbe balzare agli occhi, sta proprio nell’approccio alla questione; abbiamo già notato come per poter avere diritto ad obiettare sulla gestione della pandemia (se dici ‘epidemia’ è già come annodarti il tovagliolo al collo) sino alla questione vaccini, effetti collaterali, green pass, tu debba dichiarare d’essere vaccinato e solo allora potrai dire la tua, prima d’essere spernacchiato. Se non lo sei, la Gruber e Mentana manco ti invitano, e tu porterai questo rimpianto nella tomba.
Ora, questa ‘patente’ per parlare è cosa di rara idiozia, e dico così perché sono una signora, perché la solidità di un’argomentazione dovrebbe dipendere solo dalle cose che dici e dalla loro logica intrinseca e non dalla tua posizione preliminare. Ma tant’è. Allo stesso modo, prima di ragionare sulla guerra, devi dire che Putin ha fatto una gran vaccata.
Ci sono due piani che si intersecano ma che tuttavia son ben distinti, e sono quello dell’analisi di una scelta politica, strategica e tattica, che può essere sbagliatissima, e quello della guerra vissuta dalle persone. Per quanto riguarda il piano delle ragioni e dell’opportunità, direi che tutto l’Occidente ha perso un’ottima occasione di tacere. Non entro neppure nel merito della questione, poiché è di tale palmare evidenza che per negare la malizia della posizione occidentale bisogna essere in malafede o particolarmente stupidi.
Putin può aver sbagliato il tempo – troppo tardi o troppo presto – non aver esperito altri mezzi, che tuttavia avrebbero trovato la vipera sorda del Salmo 58. Non è riuscito a motivare il suo attacco come una guerra di difesa preventiva. E dire che c’era riuscito Colin Powell, a difendere gli Stati Uniti e la civiltà a distanza di quasi 10.000 chilometri, e solo sventolando una provetta.
Comunque chiedo se ci sia qualcuno che possa citare un singolo caso, di uno stato o di un’eminente personalità politica, che non abbia avuto l’intenzione, espressa o tacita, di un’espansione del proprio potere, della propria influenza o perlomeno di conservazione degli stessi. Quando raggiunge una certa ampiezza, tale attitudine chiamasi imperialismo. Ghandi non fa testo perché appunto non era un politico. Ricordiamo cosa rispose Gesù a Pilato: ” […] se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto, perché non fossi consegnato ai Giudei, ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv, 18, 36).
Poi, certo, c’è la guerra che brucia esistenze, e Dio non voglia che i nostri prodi guerrieri, i nostri Matamoros da salotto televisivo non ce la facciano provare dal vero.
Bene: che il mondo, come avrebbe detto la Chiesa una volta, vada dietro ogni vento di moda è cosa risaputa.
Ma la cosa interessante è analizzare come si collochino gli uomini di fede sul tema della guerra, i cristiani ma specialmente i cattolici, che ultimamente sgomitano parecchio per superare i protestanti nella corsa all’estinzione, tutti dietro al Pifferaio della modernità.
Parlo da profana, sapendo pochissimo di teologia, ancor meno di biblistica e confondendo sistematicamente un’enciclica con un’altra, ma non di meno cercando di rendere ragione della speranza che è in me. Andando oltre alle dispute sulla natura della Bibbia, di libro storico, letterario, mitologico e della prevalenza di uno di questi aspetti, o di altri, è giusto interrogarsi perché in quel preciso luogo e momento l’autore biblico dica certe cose, racconti gli eventi in quel modo.
All’inizio ci dice che dalla originale disobbedienza a Dio, la pace è infranta, il cuneo della diffidenza e dell’astio si insinua nell’alleanza tra l’uomo e la donna, “verso di lui sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà” (Gen. 3, 16). Dalla stessa linea di frattura scaturisce l’uccisione di Abele, nata anch’essa dall’opporsi di Caino al disegno di Dio. Da lì, sono discesi tutti i delitti e le ingiustizie della nostra storia, in un apocalittico franare. Fu aperta una breccia, e mai più richiusa.
La pace, Shalom, per gli Ebrei è affine in qualche modo alla Pax romana: entrambe nascono dall’ordine instaurato che deve regolare azioni e rapporti, coincidono infine con tale ordine, stabilito nel primo caso da Dio e nel secondo dal potere romano. Non certo l’esangue irenismo che abbiamo visto capitolare in un secondo di fronte all’imperativo più stringente che ci si pone di fronte, salvare la nostra pura esistenza fisica.
Gli strumenti che Dio fornisce per ottenere la pace, come le tuniche di pelle che dà ai progenitori per coprirsi, sono i Dieci Comandamenti e tutta la Legge. I comandamenti sono dieci, non solo il quinto, ma non vengono osservati. Pensare di eliminare la guerra è come pensare di eliminare l’adulterio, e neppure Dio ha messo mano a un così vaste programme. E allora:
Punto primo
Nella Bibbia non c’è una condanna della guerra in quanto tale. Anche perché gli Ebrei con e dopo Mosè c’hanno dato dentro con Amorrei, Filistei, Moabiti, Amaleciti e via in ordine sparso su comando del Signore: dal punto di vista tecnico, sono stati invasori puri e duri, eletti forse, ma comunque invasori. Chiedetelo appunto agli Amorrei e agli altri.
Potremmo quasi dire che la guerra è agli occhi di Dio nient’altro che la simultaneità di tutti i mali, di tutte le ingiustizie, di tutte le oppressioni che quotidianamente i singoli uomini perpetrano e da cui sono afflitti. Ma Egli non pretende che noi camminiamo lesti e sicuri per un sentiero diritto, attende che vengano spianati i luoghi impervi.
Per tema di scandalizzare le nostre animucce sensibili, oggi vale tanto la chiave di lettura allegorico- simbolica, che trasforma la lotta col nemico fisico nella lotta con il peccato, le passioni eccetera, ma la Bibbia non è un racconto allegorico, né una raccolta di massime morali.
Al disordine primo del peccato originale segue il male in noi e nella natura, reso attuale e feroce ogni volta che noi ci abbandoniamo ad esso. Nel salmo 68, Dio si lamenta: ”Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire; / Israele, se tu mi ascoltassi!”. E poi: “Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, / Israele non mi ha obbedito. / L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore, /che seguisse il proprio consiglio”.
Il male è entrato nel mondo, e non certo per la distrazione di una sventata Pandora quanto per una nostra scelta, per il nostro peccato, e per il nostro indurirci in esso. È il mistero della permissione del male, e tutti i nostri pur lodevoli tentativi di sondarlo sono come gettare la lenza nell’oceano.
Tornando alla guerra in fondo, signori miei, per ognuno di noi è già pronta la granata che stroncherà la sua vita, sia essa il cancro, un ictus, un incidente in macchina o nella vasca da bagno, la vecchiaia con i suoi accidenti. Per me che scrivo probabilmente l’ultima scala su cui salirò incurante dell’età. Lo nascondiamo a noi stessi e quando ci succederà saremo pianti con discrezione. La guerra, come la pandemia, ci sbatte in faccia il nostro destino e questo ci rende isterici.
Chiedo perdono per questo improvviso accesso di teologia creativa, e passo oltre.
Punto secondo
Circa trenta secoli fa, il grande re David è fedele all’alleanza con Dio, ma nell’esercizio del suo potere-mandato incorre in una spiacevole disavventura: si accende per la bella Betsabea, la mette incinta e per sistemare la cosa non trova di meglio che sistemare il marito di lei, Uria l’Hittita, facendolo soccombere con altri commilitoni in un attacco militare artatamente scriteriato (e già qui sorgono dubbi sulla minor gravità dei peccati sotto la cintura!).
Stranamente per noi, Dio non punisce questa azione ripugnante di David con la perdita del trono, come aveva fatto con Saul per una trasgressione che ai nostri occhi sembra meno grave. Gli lascia il regno perché David è uomo secondo il Suo cuore, è leale verso di Lui, realizza la missione affidatagli.
Non gliela fa passare liscia, la spada non si allontanerà mai dalla casa del re, inimicizie e uccisioni tra i suoi figli, e David dovrà assistere al tradimento ed alla morte del figlio prediletto Assalonne: “Assalonne figlio mio! Figlio mio Assalonne!”, tuttavia rimane il Re per eccellenza, e Gesù che discende da Lui ne compie la vera Regalità.
Punto terzo
Facciamo ora un salto in avanti di più di mille anni ed assistiamo, per così dire, al sogno di Costantino la notte prima della battaglia di Ponte Milvio contro il rivale al trono Massenzio. È una leggenda, e quindi secondo l’etimologia è da leggersi, cioè è importante.
Costantino è un generale spregiudicato e un accorto politico, decide che il rischio val bene la candela e si appoggia ad una setta, chiamiamola pure così, che solo dieci anni prima era ferocemente perseguitata e che comunque costituiva solo il 10% della popolazione.
Perché fu scelto lui e non Massenzio? Non certo perché Costantino fosse buono e Massenzio no; il grande imperatore pochi anni dopo avrebbe fatto uccidere il suo collega Licinio (eravamo ai tempi della Tetrarchia), il suo stesso figlio Crispo e la seconda moglie Fausta, più altra gente qua e là. Condusse la guerra civile contro gli altri pretendenti eliminandoli uno ad uno, e la guerra germanico-sarmatica, insomma la pace non sapeva neppure dove stesse di casa.
Perché dunque venne scelto? Perché accettò di fatto di appoggiare il Cristianesimo e di appoggiarvisi, sogno o non sogno, labari con l’emblema della Croce o meno (ma comunque vinse la battaglia con metà delle forze su cui poteva contare il rivale)? Per la sua lealtà verso il Dio che non conosceva? Vallo a sapere, sta di fatto che lo storico e Vescovo Eusebio di Cesarea lo paragonò, vedi caso, proprio al re David.
Conclusione
Non voglio affermare che Putin sia il Costantino dei nostri giorni, ma in sé la cosa non mi scandalizzerebbe.
Gli antichi, tanto più saggi di noi, praticavano in questi casi l’epoché, la sospensione del giudizio. Io devo ammettere che, visto il fronte opposto e la qualità di esso, di media e politici, compatto nel combattere la buona battaglia dei nostri principi democratici e dei nostri valori, una qualche simpatia per l’orso russo non riesco a frenarla.
Autocrate Putin? E i nostri, quelli che, tratti fisiognomici a parte – dobbiamo a Lombroso delle scuse -, ci hanno tolto diritti e dignità in questi ultimi due anni? Quelli che, non eletti da nessuno, traggono autorità dal fatto che l’Europa sa ciò che è meglio per noi?
Qualcuno avrebbe il coraggio di affermare che, cambiassero i parametri del pensiero come dire abituale, consuetudinario, costoro avrebbero remore ad imporci dei soggiorni in cliniche psichiatriche per rieducarci, come i dissidenti dell’Urss? Si comincia sempre con un bonus psicologo, facilmente convertibile da fabbrica di lavatrici in produzione di cannoni come appunto accadeva nell’Unione Sovietica. Già hanno invitato alla delazione i vicini di casa, nella migliore tradizione della germanica Stasi.
Tutto sommato se l’azione di Putin avesse come effetto il porre un inciampo o un freno allo scellerato progetto del forum di Davos di renderci felici togliendoci tutto, perfino il nostro Breil, o anche spingere il Papa a rivedere la sua agenda consacrando la Russia al Cuore Immacolato di Maria, beh: gli avvenimenti troverebbero un po’ di senso.
La prima parte di questo articolo la potete leggere qui.
FONTE: https://www.sabinopaciolla.com/risiko-parte-2/
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