Le sanzioni alla Russia? Un ritorno del gold standard “mascherato” da materie prime
di LA FIONDA (Fabrizio Russo)
Ora, parlando di cose serie, a proposito di sanzioni è facile accorgersi in primis che l’Ucraina non può staccare la spina al gas russo senza farsi male. In primo luogo, ciò complicherebbe le relazioni Ucraina-UE in un momento in cui l’Ucraina ha bisogno dell’Europa come alleato contro la Russia. In secondo luogo, il gas naturale che l’Ucraina sta pompando dall’Ungheria e dalla Polonia e dalla Slovacchia è essenzialmente gas russo pompato al contrario, quindi l’Ucraina non sarebbe in grado di importare gas se chiudesse i suoi gasdotti a Gazprom. L’Ucraina dipende, infine, dalla Russia non solo per il gas naturale, ma anche per il carburante delle sue quattro centrali nucleari, che rappresentano la metà della produzione nazionale di energia. Anche le sanzioni contro le banche russe si ritorcerebbero contro poiché quattro delle 11 maggiori banche ucraine sono di proprietà russa. Queste sono le filiali locali di Sberbank, VTB e Alfa, oltre a Prominvestbank.
In un’ottica più ampia, è poi opportuno considerare che le sanzioni rischiano di fallire se non vi sarà una cooperazione quasi universale da parte di altri stati. Nel caso dell’embargo americano di Cuba, ad esempio, pochi altri stati hanno collaborato: lo stato cubano e la popolazione cubana potevano ottenere risorse da molte fonti diverse dagli Stati Uniti. Le sanzioni guidate dagli Stati Uniti contro l’Iran hanno, invece, avuto più successo: un gran numero di stati-chiave ha collaborato. Secondo alcuni osservatori è probabile che le sanzioni russe siano in posizione intermedia “tra Cuba e Iran”. Una seconda ragione per cui le sanzioni hanno elevata probabilità di fallire è che il nazionalismo, una forza potente specie nelle aree est-europee, tende a spingere le popolazioni sanzionate a sostenere maggiormente il regime quando vengono minacciate. Come ha notato Robert Keohane, anche in situazioni non di crisi, il nazionalismo può essere una fonte generale di forza per uno stato, poiché il nazionalismo può unificare le popolazioni dietro il regime.
Sino ad ora abbiamo però parlato solo di “aperitivi”, i piatti forti, i “main course” sono altri. In particolare, il mondo è rimasto scioccato quando le potenze occidentali hanno annunciato l’utilizzo dell’opzione “economica nucleare” contro la Russia come rappresaglia per la sua invasione dell’Ucraina: in quello che un avvocato di Washington ha descritto a Reuters come il ” più grande martello nel deposito degli attrezzi”, i governi del G7 e dell’Unione Europea hanno infatti bloccato l’accesso di alcune banche russe al sistema di pagamento internazionale SWIFT e sono anche andati oltre alle più diffuse aspettative, paralizzando circa la metà dei 630 miliardi di dollari di valuta estera e riserve auree della banca centrale russa. In tal modo, l’Occidente ha minato la capacità di Mosca di difendere il rublo – che ha perso oltre un quarto del suo valore in solo qualche seduta – e di ricapitalizzare le banche sanzionate mentre affrontano le nascenti corse agli sportelli. In effetti, come in diversi hanno esplicitamente ammesso, l’intenzione dell’Occidente era proprio quella di innescare corse agli sportelli e far crollare il sistema finanziario russo dall’interno.
Gli Stati Uniti hanno già attivato in passato l’esclusione dallo SWIFT, il sistema di regolazione delle transazioni globali che gli Stati Uniti controllano efficacemente utilizzando il dollaro, usandolo quindi come un bastone. Nel 2014 e nel 2015, l’amministrazione Obama hanno escluso diverse banche russe da SWIFT dopo il deterioramento delle relazioni tra i due paesi. Sotto Trump, gli USA hanno minacciato di escludere la Cina dal sistema del dollaro se non avesse seguito le sanzioni delle Nazioni Unite alla Corea del Nord. La vera ragione dello shock è che questa è stata la prima volta che la valuta di riserva globale è stata utilizzata come arma contro (pressoché) un’INTERA economia del G20, stabilendo un chiaro precedente su come l’Occidente può e potrebbe rispondere a qualsiasi altra nazione che dovesse trovarsi nella medesima, o analoga, posizione della Russia (la Cina sta chiaramente studiando attentamente la cosa per capire come muoversi con Taiwan).
Visti i precedenti storici nell’uso delle sanzioni come strumento di politica estera, la Russia non era impreparata alla mossa. In effetti, un certo numero di paesi che sanno che potrebbero trovarsi facilmente nel mirino statunitense hanno adottato misure per limitare la loro dipendenza dal dollaro e hanno persino lavorato per stabilire sistemi di pagamento alternativi. Tra i principali proprio la Russia, la Cina e l’Iran. La Russia ha sviluppato il proprio sistema di pagamento per uso interno diversi anni fa. Secondo la Banca centrale russa, 416 società russe e organizzazioni governative avevano aderito al Sistema per il trasferimento di messaggi finanziari (SPFS) a partire da settembre 2018.
Un numero crescente di banche centrali ha anche acquistato oro come modo per diversificare le proprie partecipazioni lontano dal biglietto verde. Prima di terminare il suo programma di acquisto all’inizio della pandemia di COVID, la Russia era il più grande acquirente di oro della banca centrale. La Banca centrale russa ha acquistato metallo giallo per un valore di 4,3 miliardi di dollari tra giugno 2019 e giugno 2020. E i russi stavano acquistando oro molto prima. La Banca centrale russa ha acquistato oro ogni mese da marzo 2015. Secondo Bloomberg, ” la Russia ha impiegato più di $ 40 miliardi per costruire un ‘forziere d’oro di guerra’ negli ultimi cinque anni, diventando così il più grande acquirente del mondo “. Nel frattempo stava disinvestendo, in modo aggressivo, dai Treasury statunitensi. La Russia ha venduto quasi la metà del suo debito statunitense solo nell’aprile 2018, scaricando 47,4 miliardi di dollari dei suoi 96,1 miliardi di dollari in titoli del Tesoro USA.
Non sono solo i “nemici” degli americani ad essere preoccupati che gli Stati Uniti abusino del loro potere economico, anche i loro “amici” sono cauti (come dovrebbero sempre essere). Quanto avvenuto sottolinea un rischio per le politiche sanzionatorie statunitensi: potrebbero anche avere conseguenze a lungo termine, minando alla fine il dollaro come valuta di riserva mondiale. L’analista economico P. Schiff ha avvertito che diversi altri paesi stanno osservando come gli Stati Uniti gestiscono il loro potere come emittenti della valuta di riserva globale durante la guerra russo-ucraina. Se il rischio di litigare con gli USA equivale al rischio di perdere le proprie riserve valutarie è probabile e “ovvio” che si tenda a cercare alternative. Se poi un numero sufficiente di paesi abbandonasse il dollaro, il valore della valuta statunitense probabilmente crollerebbe, creando il caos economico negli USA. La de-dollarizzazione dell’economia mondiale probabilmente perpetuerebbe una crisi valutaria negli Stati Uniti. In pratica, porterebbe probabilmente all’iperinflazione. Insomma, applicando sanzioni alla Russia, il sistema SWIFT potrebbe aver commesso i primi passi verso il suo suicidio.
Le cose stanno quindi per cambiare, e le sanzioni occidentali contro la Russia hanno segnato l’inizio della fine del dollaro come valuta di riserva mondiale? Parrebbe di sì. Barry Eichengreen, professore a Berkeley ed esperto di gestione delle riserve mondiali, ritiene che siano due i driver fondamentali che giustificano l’accumulo di riserve:
- intervenire o stabilizzare la valuta sul mercato dei cambi;
- disporre di uno strumento d’emergenza in caso di shock, disastri o crisi della bilancia dei pagamenti.
Entrambe queste motivazioni precauzionali potrebbero essere ora state messe in discussione dalle sanzioni contro la Russia. Il medesimo ha poi affermato che “L’effetto principale potrebbe essere il calo della domanda di riserve “. Eichengreen ha poi aggiunto “Se i paesi vedono le riserve e la gestione dei cambi come meno utili e disponibili, allora dovranno accettare, inevitabilmente, che è probabile che i loro tassi di cambio si muovano di più. Nel qual caso hanno bisogno di rafforzare i loro sistemi finanziari e le loro economie contro le turbolenze legate ai tassi di cambio, ad esempio scoraggiando le aziende dal prendere in prestito in valuta estera”. Questo di per sé potrebbe avere un profondo impatto sui mercati mondiali e sul modello dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo.
Una presa di posizione ancora più allarmante viene dall’ex economista Goldman Jim O’Neill che ha affermato che le sanzioni occidentali potrebbero alla fine portare a una grande riforma del sistema globale. Egli ha affermato che “Tra le ricadute, alcuni paesi potrebbero vedere meno bisogno di accumulare riserve in valuta estera” “Potrebbe (anche) far sì che alcune delle più grandi economie emergenti pensino più seriamente alle riforme e all’apertura dei loro mercati interni, alla liberalizzazione e all’allontanamento dal sistema incentrato sugli Stati Uniti”.
Un altro ex stratega di Citi, Brent Donnelly, che ora gestisce Spectra Markets, ha affermato che: “In un gioco cooperativo, un commercio più globale e l’accumulo di riserve FX hanno senso”. Ma “in un gioco competitivo, in cui le tue disponibilità in valuta sono emesse da un avversario e tutto può essere congelato o vaporizzato a sua discrezione… Il commercio globale e l’accumulo di riserve valutarie hanno… meno senso”.
Tuttavia, mentre un numero crescente di paesi, in particolare quelli che rimangono ideologicamente allineati con la Russia, come Cina e India, possono cercare di uscire dal dollaro in silenzio, non così silenziosamente devono affrontare un altro problema: dovranno convertire i loro trilioni di dollari in qualcosa d’altro, e per ora il pool di potenziali attività adatte rimane limitato. Inoltre, se si vuole evitare del tutto il sistema “fiat” – poiché all’interno del sistema ogni singolo asset è una liability di qualcun altro e viceversa – bisognerebbe rifugiarsi all’esterno, cioè in asset “non fiat”.
Qui l’oro – rammento un mio articolo del 2002, o già di lì, sul debasement dell’USD – è il candidato più ovvio, anche se, come osserva Bloomberg, non ve n’è abbastanza disponibile. Questa però è, ovviamente, un’affermazione opinabile: dopotutto, tutto ciò che potrebbe accadere è che l’oro venga rivalutato per farlo valere molto di più. Per inciso, è stata nientemeno che Pimco a suggerire, nel 2016, che per salvare l’economia e svalutare il dollaro, la Fed dovrebbe acquistare oro. In caso contrario, il governo degli Stati Uniti potrebbe semplicemente confiscare tutto l’oro fisico esistente e svalutare il dollaro, analogamente a ciò che ha fatto F.D. Roosvelt con il famigerato ordine esecutivo 6102.
Quindi la Fed inizierà a comprare oro sul mercato aperto? C’è da dubitarne …. però proprio ora, “casualmente”, negli USA l’attenzione si sta ora rivolgendo alla “regolamentazione” (leggi il divieto) delle criptovalute – un altro candidato alternativo all’oro per le riserve – al fine di evitare che gli oligarchi russi possano aggirare le sanzioni. Comunque, mentre il sistema fiat continua lungo la sua inesorabile corsa verso la disintegrazione terminale, è sempre più probabile – anzi, ovvio – che negli USA la prossima tappa sarà la confisca di tutti i metalli preziosi. E ‘solo questione di tempo. Nel frattempo, il governo degli Stati Uniti dovrebbe diffidare di scaricare il suo peso economico in giro con troppa disinvoltura. Non è l’unico paese con un’opzione nucleare economica. La Cina è il più grande detentore estero di debito statunitense. Se i cinesi dovessero scaricare una quantità significativa di titoli del Tesoro statunitensi, crollerebbe il mercato obbligazionario e renderebbe impossibile per gli Stati Uniti finanziare il proprio enorme debito.
Viste sotto simili angolature le sanzioni verso la Russia cambiano di sapore. In inglese si una un’espressione assai efficace: “tagliarsi il naso per fare un dispetto alla faccia” significa che una persona si sta comportando in un modo che può essere immediatamente gratificante ma alla fine è distruttivo o ha conseguenze negative. Questa frase viene in genere utilizzata per mettere in guardia qualcuno dall’agire in modo affrettato o per impedirgli di fare qualcosa che potrebbe avere costi a lungo termine o imprevisti. Le guerre non dichiarate americane sono costate trilioni di dollari. E le sanzioni economiche sono un atto di guerra. La maggior parte delle persone vede le sanzioni economiche come un’alternativa accettabile alla forza militare. Ma anche la guerra economica ha un costo. In genere non è il governo sanzionato che soffre. Sono le persone innocenti che vivono in quel paese che devono far fronte alla carenza e all’aumento dei prezzi.
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