Le guerre decidono le sorti delle Monete
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Per il conflitto in Ucraina, c’è chi corre verso il Dollaro e chi lo abbandona
La Storia si ripete, e anche stavolta si annunciano grosse novità: il conflitto in Ucraina sta portando al decoupling monetario globale. Mentre la supremazia del dollaro si consolida ad Occidente, nel Resto del mondo si sta organizzando un nuovo assetto che cerca di prescindere dalla valuta statunitense.
Quando c’è una situazione di forte tensione tra le due Superpotenze nucleari, Usa e Russia, come accade in queste settimane per via della guerra in Ucraina*, c’è davvero mezzo mondo che sta correndo ad investire in dollari: la valuta statunitense è, per definizione, un porto sicuro.
Lo stiamo vedendo con il cambio dell’euro, che si indebolisce verso il dollaro e con le Borse americane che salgono mentre quelle europee tremano per le conseguenze della guerra e delle sanzioni. Vero è infatti che le imprese e le banche americane sono poco esposte verso la Russia e che l’America è ampiamente autosufficiente sia dal punto di vista energetico che sotto il profilo agricolo che alimentare.
L’Europa è in difficoltà estrema, come se non fossero bastate le difficoltà della post-pandemia e quelle dell’inflazione violenta quanto mai in trent’anni. Nessuno vuol dirlo, ma le prospettive per l’euro non sono affatto brillanti.
Ma c’è anche un movimento in senso contrario: per via della stessa guerra, e delle sanzioni comminate alla Russia ed ai suoi alleati dichiarati come la Bielorussia, una serie di Paesi si stanno invece allontanando dal dollaro.
Sono sempre le guerre che decidono i destini delle monete: guardando alla Storia si intuisce che anche stavolta ci possiamo attendere conseguenze sistemiche. Pur trattandosi di un conflitto militare territorialmente circoscritto alla Ucraina, le implicazioni economiche e finanziarie che ne derivano sono globali perché, se le sanzioni sono state irrogate da una serie di Paesi, principalmente dagli Usa e dall’Unione europea, il fronte di quelli che si sono astenuti finora dal comminarle è assai ampio.
Le storie della Sterlina, del Dollaro e dell’Euro sono direttamente legate ad eventi bellici ed a rivolgimenti geopolitici.
C’erano i tempi beati per Londra, quelli in cui era la Sterlina a dominare il sistema monetario globale: fu all’incirca un secolo, dall’inizio dell’Ottocento fino alla Prima guerra mondiale.
Nonostante l’enorme debito accumulato dall’Inghilterra per finanziare il conflitto mondiale ed il mancato pagamento da parte della Germania dell’enorme carico delle Riparazioni che le erano state imposte, la Sterlina continuò ad essere centrale, soprattutto imponendola come moneta di riferimento per i continui salvataggi nei Paesi che più di tutti avevano subito per i danni della guerra. Assai astutamente, non solo gli aiuti internazionali venivano concessi in sterline, ma un apposito Comitato finanziario istituito presso la Società delle Nazioni e nel quale sedevano i delegati della Banca d’Inghilterra, controllava le erogazioni. Praticamente, questo Comitato era l’antenato della Troika (FMI, BCE, Ue) che negli anni scorsi ha proceduto alla supervisione degli aiuti erogati dal ESFM e poi dal MES e del rispetto degli impegni assunti dai vari Paesi: la Grecia ne sa qualcosa.
All’indebolimento non solo britannico durante la guerra corrispose un eccezionale arricchimento da parte degli Stati Uniti, che avevano venduto ogni genere di prodotti per sostenere lo sforzo bellico dei Governi dell’Intesa franco-britannica, cui l’Italia aveva infine aderito. Tutti i Paesi si erano fortemente indebitati in dollari nei confronti del governo americano. Alla fine della guerra, però, per fare pressione, il Congresso americano condizionò una serie di commerci nei confronti dei Paesi indebitati con gli Usa a saldare i prestiti contratti, magari dopo averli ristrutturati su un lasso di tempo più ampio ed a tassi più convenienti.
Il dollaro era diventato centrale: anche la Gran Bretagna, nonostante avesse finanziato direttamente gli altri Governi cobelligeranti, aveva dovuto contrarre debiti con gli Usa.
La quantità di oro che era stato dato a garanzia dei prestiti contratti con gli Usa aveva svuotato i forzieri di tutte le Banche centrali europee riempiendo quello del Tesoro americano: la forza del dollaro stava tutta lì.
Le vicende della Seconda guerra mondiale furono assai simili, concludendosi con gli Accordi di Bretton Woods che decretarono il Dollaro come l’unica moneta convertibile in oro: il cambio fu stabilito in 35 dollari per una oncia.
Un’altra guerra, quella del Vietnam in cui gli Usa si erano impelagati, provocò un nuovo sconquasso monetario: il 15 agosto del ’71, il Presidente americano Richard Nixon dichiarò il recesso unilaterale dall’impegno alla convertibilità. La bilancia commerciale era in forte passivo e non c’era abbastanza oro per convertire l’attivo degli altri Paesi: fu una violazione senza precedenti della legalità internazionale, perché gli Usa violavano un Trattato internazionale che avevano imposto a tutti, con quella clausola specifica che sanciva la predominanza del dollaro sulla scena internazionale.
Paradossalmente, la conseguenza della decisione di Nixon fu quella di aumentare lo strapotere del dollaro. Essendo ancora per diversi multipli la prima economia del pianeta, gli Usa riuscirono a mantenere il ruolo esclusivo del dollaro in tutte le transazioni internazionali: commerci, depositi, investimenti, quotazioni delle materie prime come il petrolio, tutto avveniva ed avviene anche oggi in dollari.
Per gli europei, questa condizione di minorità era stata definita la “tirannia” del dollaro: non solo le monete nazionali erano troppo esposte alla speculazione internazionale sui cambi, ma anche le politiche monetarie erano fortemente influenzate dalle decisioni della Fed. Bastava che questa alzasse i tassi, per vedere il dollaro rafforzarsi ed i capitali volare oltre Atlantico. Come se non bastasse, anche all’interno dell’Europa accadeva qualcosa di molto simile: tutti soffrivano l’egemonia del Marco tedesco.
Furono la caduta del Muro di Berlino e l’imminente collasso dell’URSS, anche in questo caso una rivoluzione geopolitica, ad accelerare nel 1990 la decisione di creare una Moneta Unica Europea, l’Euro, che rappresentò una soluzione al duplice problema: sottrarsi sia alla “dittatura” del dollaro che alla egemonia del marco tedesco.
In queste settimane, si profila una nuova svolta: l’isolamento della Russia non può significare il ritorno ad una economia isolata, come era il Comecon dei tempi dell’URSS. Perché esiste un complesso integrato di Paesi che va molto al di là di quello che abbiamo definito il blocco BRICS+.
Il sistema dell’OPEC è ormai svincolato dagli Usa: paradossalmente, ciò si deve al fatto che questi ultimi sono divenuti completamente indipendenti dal punto di vista energetico. Se i Paesi del Golfo non vendono più petrolio agli Usa, non hanno più alcuna ragione commerciale di usare il dollaro quando trattano con altri Paesi. Leggiamo infatti che l’Arabia Saudita è in trattative con la Cina per vendere petrolio in cambio di Yuan. La Turchia ha già fatto sapere che nei propri commerci con la Russia, da cui importa gas, userà ogni valuta: dal Dollaro all’Euro, dallo Yuan al Rublo. Ed ancora, il contratto di fornitura del gas russo alla Cina verrà regolato in Euro, utilizzando la valuta che la Cina stessa incassa dall’Europa che compra i suoi prodotti.
Non si tratta di creare una “supermoneta” alternativa al dollaro, ma di mettere a punto una serie di relazioni commerciali e finanziarie tra Paesi che usano negli scambi commerciali le proprie monete, prescindendo dal dollaro.
Non c’è la necessità di costituire un nuovo centro monetario a carattere “imperiale” che sia alternativo al dollaro, che abbia quindi come motore un Paese come l’America che è stata finora in grado di assorbire in disavanzo le esportazioni delle sue Periferie, e che finanzi così i commerci e gli investimenti in giro per il mondo con la moneta che ha emesso.
Non ci sarà dunque bisogno di creare una nuova “supermoneta a debito“, da stampare compulsivamente per sostenere i mercati, come hanno fatto quasi senza interruzione dal 2008 fino ad oggi tutte le Banche centrali del G7: dalla Federal Reserve alla BCE, dalla Bank of Japan alla Bank of England.
La Banca Centrale Russa e la Banca del Popolo Cinese hanno affrontato problemi analoghi a quelli dei Paesi occidentali, forse di complessità maggiore, senza indulgere alla creazione di sempre nuova moneta.
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