Le possibili cause del crescente astensionismo
di GILBERTO TROMBETTA (RI Roma)
L’Italia è passata da una media di partecipazione al voto del 93% tra il 1953 e il 1976 al 73% delle politiche del 2018. Tenendo conto delle tornate elettorali locali degli ultimi anni, si tratta di una percentuale destinata a calare ulteriormente. Certo, si tratta di un trend comune in molti Paesi sviluppati. Ci sono quindi alcune cause comuni e altre che dipendono da specificità italiane.
Cos’è successo a metà anni ’70 in Italia che potrebbe spiegare l’inizio del crollo? Alcune cause, come si diceva, sono specifiche italiane. Il ’68, lo stragismo, il compromesso storico, l’omicidio di Moro, la P2. Tanto per citare alcuni avvenimenti che hanno sicuramente contribuito ad allontanare i cittadini dalla politica e, quindi, dalle urne.
Altre cause sono intervenute poi nel corso degli anni, aggravando un processo iniziato verso la metà degli anni 70. Le varie riforme elettorali (maggioritario, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, le liste bloccate), Gladio, Tangentopoli, la trattativa Stato-mafia.
Ma, tornando agli anni in cui è iniziato l’inesorabile crollo della partecipazione alla vita politica del Paese, non si può non notare una perfetta coincidenza di tempi con la fine del paradigma politico ed economico che ci aveva regalato il cosiddetto trentennio glorioso (1945/75) e l’inizio della controrivoluzione neoliberista.
Siamo passati da un sistema in cui la lotta di classe era mediata all’interno delle Istituzioni grazie a un Parlamento funzionante, con uno Stato che puntava sul lavoro e sui salari, con una Banca Centrale al servizio dello Stato, con un grande potere contrattuale dei lavoratori rispetto al capitale, con un’economia fortemente incentrata sul mercato interno, con una sana inflazione da domanda, con una finanza fortemente regolamentata, a un sistema antitetico.
Un sistema cioè in cui il Parlamento è stato fortemente indebolito, in cui la Banca Centrale dipende dai mercati e non dall’azione di Governo, in cui i lavoratori hanno perso sempre più potere a causa di una lunga serie di riforme regressive, in cui la finanza è fortemente deregolamentata, in cui vige la libera circolazione di merci, capitali e lavoro, in cui la rendita da capitale e la quota profitti sono tornate a crescere a danno dei salari.
Per riavvicinare i cittadini alla politica e alle urne è fondamentale proporre un modello diverso, antitetico, a quello degli ultimi quarant’anni. Un modello che rimetta finalmente al centro la dignità della persona. Iniziando ovviamente dal lavoro e dal salario. Un modello meno dipendente dall’esterno e più centrato sull’indipendenza nazionale. Un modello che rimetta al centro non tanto la Costituzione in quanto tale, ma i diritti da essa sanciti. «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Per riuscirci, la prima condizione, necessaria ma non sufficiente, è quella del recupero della sovranità. Politica (cioè smettere di essere una colonia), economica (riappropriarsi della nostra moneta) e popolare (riappropriarci delle Istituzioni che sono state occupate da un manipolo di ciarlatani e di traditori).
Non ci salverà nessuno. Dipende tutto da noi.
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