Meno gas dalla Russia, le elezioni in Giappone e altre notizie interessanti
di LIMES
MENO GAS DALLA RUSSIA [di Giacomo Mariotto]
Nord Stream 1, il principale gasdotto russo verso la Germania, ha sospeso le proprie attività per 10 giorni di manutenzione programmata. Intanto, nel fine settimana, il Canada ha deciso di consegnare a Berlino la turbina essenziale per il funzionamento del tubo, già riparata da qualche tempo ma trattenuta per non violare le sanzioni comminate dallo stesso governo di Ottawa.
Perché conta:La chiusura di Nord Stream 1 viene presentata come ordinaria amministrazione, ma a Berlino sono sempre di più coloro che temono che il 21 luglio, data prevista per il ripristino degli approvvigionamenti, i flussi possano non riprendere affatto. Il ministro dell’Economia Robert Habeck ha dichiarato che «può accadere qualsiasi cosa. Il gas potrebbe scorrere di nuovo e più di prima, ma potrebbe anche non arrivare più nulla». Berlino spera che la decisione di Ottawa possa essere accolta dai russi come un gesto distensivo, ma le ulteriori riduzioni annunciate da Gazprom verso Italia e Austria rafforzano la preoccupazione nei confronti di quello che Habeck definisce uno «scenario da incubo».
Nelle scorse settimane, il taglio degli approvvigionamenti gasieri russi aveva già spinto la Germania nella più grave crisi energetica dai tempi dello shock petrolifero del 1973. Venerdì il colosso tedesco Uniper ha prospettato perdite superiori a 10 miliardi di euro e chiesto formalmente al governo di essere salvato.
La crisi sta rapidamente coinvolgendo ogni dimensione della vita associata tedesca, dagli uffici alle abitazioni passando per i centri ricreativi. Un’associazione edilizia di Dippoldiswalde, in Sassonia, è giunta ad annunciare un razionamento delle forniture di acqua calda ai residenti. Il distretto di Lahn-Dill, nei pressi di Francoforte, ha chiuso l’acqua calda nelle sue 86 scuole e 60 palestre fino a metà settembre. Per le stesse ragioni, a Düsseldorf è stato temporaneamente chiuso un enorme complesso di piscine, le Münster-Therme. Tali misure straordinarie potrebbero diventare norma nelle prossime settimane.
A rendere ancor più drammatica la situazione è l’inflazione. Il capo della federazione delle imprese edili tedesche (GdW), Axel Gedaschko, sostiene che «la pace sociale della Germania è in grave pericolo». Il costo dell’energia sembra destinato ad aumentare di una percentuale compresa tra il 71% e il 200% e, di conseguenza, la federazione sindacale IG Metall ha formalizzato una richiesta di aumento salariale dell’8% per i 3,8 milioni di dipendenti dell’industria metallurgica ed elettrica.
Secondo una stima di aprile del Leibniz-Institut für Wirtschaftsforschung di Halle, l’eventuale stop del gas russo avrebbe ricadute catastrofiche sull’occupazione. A Berlino andrebbero persi più di 100 mila posti di lavoro, ad Amburgo e Monaco 60 mila. Il leader della CSU Markus Söder ha dichiarato che, in assenza di provvedimenti urgenti, la mancanza di gas per il riscaldamento costringerebbe «migliaia di persone, forse addirittura milioni, a essere ospitate in appositi padiglioni durante l’inverno».
Una crisi degli approvvigionamenti gasieri potrebbe accentuare la già profonda spaccatura tra le due Germanie. Rispetto ai Länder occidentali, l’ex DDR è più dipendente dagli idrocarburi russi e più disposta al dialogo nei confronti di Mosca. Se la spaccatura si ampliasse, la Repubblica Federale sarebbe costretta a concentrarsi su sé stessa proprio in una fase di ridefinizione degli equilibri continentali (e mondiali).
Per approfondire: Le almeno due Germanie (video)
ELEZIONI IN GIAPPONE [di Federico Petroni]
Alle elezioni in Giappone, la coalizione a favore della revisione della Costituzione ha ottenuto i seggi necessari a iniziare il processo di riforma. Il Partito liberale democratico dell’ex premier Shinzo Abe (Abe Shinzō, ucciso venerdì) e i suoi alleati Komeito, Partito democratico per il popolo e Partito per l’innovazione giapponese hanno conquistato 179 seggi nella camera alta della Dieta, ben oltre i 166 (due terzi) richiesti.
Perché conta: L’assassinio di Abe ha gonfiato le vele alle urne dei liberaldemocratici, ma non è scontato che la modifica della Costituzione vada in porto.
Innanzitutto, l’elettorato non ha rigettato l’eredità geopolitica del primo ministro, ma ha segnalato di avere preoccupazioni più urgenti della riforma della carta fondamentale: l’inflazione, l’indebolimento dello yen, lo Stato sociale, il declino del tenore di vita. Inoltre, già nel 2016 la coalizione guidata da Abe aveva i due terzi in parlamento. Infine, l’ex premier non era più al governo dal 2020 ma continuava a legittimare da remoto, anche presso il pubblico, la causa dell’abbandono del «pacifismo»: la sua scomparsa toglie un punto di riferimento alla classe dirigente. Tutti segni di quanto sia controversa in Giappone la rinuncia a una postura militare esclusivamente difensiva.
L’omicidio di Abe ha rimosso uno sponsor, non le cause strategiche del graduale ritorno del Giappone nella storia: dalla crescente minacciosità della Cina alle calanti garanzie di sicurezza offerte dagli Stati Uniti. Il dibattito interno ai poteri nipponici prosegue su temi rivoluzionari per Tokyo, come la difesa di Taiwan, le capacità di attacco missilistico preventivo oppure la condivisione dell’arma nucleare con gli Stati Uniti (che di fatto vorrebbe dire dotarsi della Bomba).
Questi argomenti non verranno messi in Costituzione, ma la riforma dell’articolo 9 della carta per ampliare il raggio d’azione delle Forze di autodifesa serve a legittimarli.
Per approfondire: Al Giappone non basta più l’autodifesa
DAL FRONTE UCRAINO [di Federico Petroni]
Nelle ultime 24 ore, il governo di Kiev ha contato attacchi missilistici russi su almeno dieci centri urbani dell’oblast di Donec’k. Nel frattempo, il presidente Vladimir Putin ha siglato un decreto che estende a tutti gli ucraini, non più ai soli residenti di Luhans’k, Donec’k, Kherson e Zaporižžja, la possibilità di velocizzare la richiesta della cittadinanza russa.
Perché conta: La Russia ha completato la conquista della provincia di Luhans’k, ma non sembra avere intenzione di fermarsi molto a lungo. Nonostante sia in corso una «pausa operativa» e le intelligence occidentali stimino che Mosca non potrà andare avanti molto senza mobilitare la popolazione, i lanci di missili e razzi suggeriscono sia in preparazione un assalto all’oblast di Donec’k, attualmente controllato soltanto al 40% dall’esercito russo. In queste ore è stata colpita in particolare Bakmut, un abitato di alto valore tattico poiché assieme a Sloviansk costituisce l’ultima linea difendibile con una certa facilità dall’esercito ucraino. A ovest di tale linea, organizzare una resistenza è assai più complicato a causa dell’assenza di centri urbani di media taglia.
Donec’k è un obiettivo esplicito della fase 2, che non può dirsi completa finché non sarà avvenuta quella che Mosca descrive come la liberazione delle repubbliche indipendenti del Donbas. L’estensione della procedura per la cittadinanza all’intera Ucraina serve a passare lo stesso messaggio trasmesso dai consiglieri di Putin nei giorni scorsi: si va avanti, con l’obiettivo di far capitolare Kiev.
Il governo ucraino risponde con i propri preparativi di guerra, invitando i civili della provincia di Kherson occupata dai russi a evacuare con urgenza, in vista di una imminente (ma senza una data precisa) controffensiva nel Sud. Kiev conta di mettere a frutto i nuovi sistemi d’artiglieria arrivati dagli Stati Uniti (sarebbero 12 pezzi) che permettono di bersagliare le retrovie dell’avversario, cosa che invece era mancata nella battaglia persa di Severodonec’k, terminata con la ritirata.
Da queste due offensive estive, quella russa su Donec’k e quella ucraina su Kherson, può dipendere il raggiungimento di un parziale equilibrio militare.
Per approfondire: Quante armi ha l’Ucraina e chi gliele fornisce
CRISI IN SRI LANKA [di Lorenzo Di Muro]
Si acuisce la crisi nello Sri Lanka. Negli ultimi giorni una folla oceanica ha invaso le strade della capitale Colombo, dato alle fiamme la residenza del primo ministro Ranil Wickremesinghe e occupato quella del presidente Gotabaya Rajapaksa. Entrambi hanno annunciato le dimissioni e accettato le richieste dell’opposizione di formare un governo di unità nazionale.
Perché conta: Dietro e dentro la profonda crisi economica che ha indotto lo Stato insulare a dichiarare il default sul debito estero per la prima volta nella sua storia agiscono dinamiche che contribuiranno a definire l’assetto geopolitico dell’Oceano Indiano e dell’intero sistema indo-pacifico.
Snodo della viabilità marittima est-ovest dell’Oceano Indiano e tradizionalmente sotto l’influenza dell’India, lo Sri Lanka è strategico nella competizione che oppone Delhi (e Washington) a Pechino e alle sue nuove vie della seta.
Nell’ultimo decennio la Cina si è ritagliata un ruolo di primo piano nel quadro politico-economico singalese, divenendo il primo investitore estero e socio commerciale di Colombo. Soprattutto, ha elargito investimenti e prestiti per opere infrastrutturali il cui mancato pagamento ha facilitato la concessione per 99 anni del 70% del porto di Hambantota a un’impresa cinese. Sviluppi inaccettabili per l’India; la sicurezza di Delhi è minacciata direttamente dal crescente ascendente cinese sull’isola, che – temono gli indiani – in futuro potrebbe persino ospitare un avamposto militare dell’Elp.
Insomma, la “unità strategica” con lo Sri Lanka resta centrale nell’architettura securitaria di Delhi. Ecco perché quest’ultima sta tentando di recuperare il terreno perduto profittando della crisi attuale. L’opportunità è ghiotta: non solo attenuare la dipendenza di Colombo da Pechino e rinsaldare la presa sul suo estero vicino, ma anche inviare un segnale agli altri paesi della regione che, trovandosi in situazioni non dissimili da quelle singalesi, osservano attentamente i passi della Repubblica Popolare.
Le autorità cinesi sono finora state estremamente guardinghe e prima di concedere una ristrutturazione del debito o nuove linee di credito pretendono che i singalesi facciano “i compiti a casa”. Al contrario quelle indiane hanno offerto sostegno per almeno 4 miliardi di dollari “senza condizioni”. La revoca di alcuni progetti a finanziamento cinese – ad esempio quello relativo alla costruzione di centrali ibride a poco più di 50 chilometri dallo Stato indiano del Tamil Nadu, cui è subentrata l’India – è senza dubbio un segnale del riavvicinamento a Delhi.
Delhi sta inoltre perorando la causa di Colombo presso il Fondo monetario internazionale, cioè gli americani, con cui le autorità singalesi sono vicine a chiudere un accordo per dare ossigeno alle finanze statali. Tale accordo di certo non farebbe il gioco di Pechino, la quale non a caso ha espresso l’auspicio che il paese sia “indipendente” – ossia non finisca nello schieramento anticinese.
Per approfondire: Crisi Sri Lanka (video)
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