Price-cap: la mossa del Draghi
da LA CITTA’ FUTURA (Marco Beccari)
Un tetto al prezzo del gas e del petrolio russo non è possibile, all’interno della visione liberista, se non mediante gli aiuti di Stato, almeno che non si voglia percorrere la strada avventurista che potrebbe condurre all’embargo di queste materie prime.
Nell’ultimo vertice G7 di Elmau, in Germania, Draghi ha spinto nuovamente per mettere un tetto massimo al prezzo del petrolio e del gas, ma solo a quello russo. In questo modo il nostro stratega vuole colpire economicamente il paese eurasiatico, classificato all’ultimo incontro della NATO di Madrid come “nemico”, ma dall’altra vuole ridurre l’inflazione che sta colpendo sempre più pesantemente l’Italia. Draghi è molto esplicito sopra gli effetti della propria proposta dichiarando nella conferenza stampa finale del meeting: “Tutti i leader concordano sulla necessità di limitare i nostri finanziamenti alla Russia di Putin, ma allo stesso tempo occorre rimuovere la causa principale di questa inflazione. Abbiamo dato ai nostri ministri il mandato di lavorare «con urgenza» su come applicare un tetto al prezzo del gas e del petrolio, ma la Commissione Europea ha detto anche che accelererà il suo lavoro sul tetto al prezzo del gas, una decisione che l’Italia accoglie con favore”. L’Italia con questa proposta, avanzata da tempo, si pone tra i falchi nel conflitto economico con la Russia. Questo fatto avrà un peso quando si verificheranno le ritorsioni russe o si proverà ad accreditarsi come improvvisati mediatori per la risoluzione del conflitto.
La risposta russa non si è fatta attendere: il portavoce Peskov del Cremlino ha infatti dichiarato che un eventuale tetto sul prezzo del gas dovrebbe essere discusso con Gazprom. In sostanza non è l’UE a poter fissare il prezzo del gas russo, modificando in modo unilaterale i contratti che sono indicizzati, come per i contratti “take or pay”[1] di fornitura pluriennale, all’andamento del costo del petrolio Brent. D’altronde che delle nazioni “ostili” pretendano unilateralmente di imporre al venditore il prezzo delle merci che acquistano è fuori da ogni logica di transazione economica. Se questa è la volontà di Draghi, questa mossa è paragonabile a quella di un bambino che non essendo in grado di vincere a un gioco, poiché meno bravo degli avversari, pretende di cambiare le regole del gioco a proprio vantaggio.
Gli analisti del settore, come Vivek Dhar di Common Bank, hanno seri dubbi sull’efficacia della mossa di Draghi sul tetto del prezzo al petrolio russo, poiché “nulla impedisce alla Russia di vietare le esportazioni di petrolio e prodotti raffinati alle economie del G7 in risposta a un tetto sul prezzo, esacerbando le condizioni di carenza nei mercati globali del petrolio e dei prodotti raffinati” [2]. La Russia infatti è tutt’altro che isolata, a meno che non si confonda il mondo con l’Occidente. Inoltre è bene segnalare come con la guerra si sia acuita la differenza di costo tra il petrolio russo Ural e il petrolio Brent stabilizzandosi intorno a un rincaro di 35 dollari al barile per il Brent. Per cui Draghi piuttosto che contenere il prezzo del petrolio russo dovrebbe farsi venire qualche idea per bloccare quello del Brent, a cui è ancorato anche il prezzo del gas dei contratti “take or pay” russi. Il prezzo del Brent ha infatti superato i 110 dollari al barile, e non tende a diminuire riportandosi ai 60-80 dollari al barile del 2021, complici l’aumentata domanda e la guerra economica dei governanti occidentali alla Russia, che provoca carenza di offerta. Da parte dei paesi produttori, riunitisi a inizio e fine giugno come cartello OPEC+, comprendente anche la Russia, è stato confermato il lieve aumento dell’offerta di 648 mila barili al giorno previsto a luglio e agosto, tuttavia tale aumento non sembra in grado di compensare la maggiore domanda. Per cui se qualcuno sperava nel supporto dei paesi del Golfo per ridurre l’inflazione, al momento questo obiettivo non sembra essere stato raggiunto.
A rinforzare le posizioni guerrafondaie di Draghi provvede il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, sostenendo che l’UE “acquista i tre quarti del gas mondiale che entra nei gasdotti e si può anche permettere di fare un po’ il mercato” [3]. Sebbene la UE accentri la domanda del gas russo sarebbe un braccio di ferro difficile da vincere quello con Mosca, e la UE dovrebbe agire come singolo compratore e non come compratori differenti, inoltre si potrebbe instaurare una competizione tra paesi europei per acquistare il gas russo a prezzo inferiore. Ma cosa succederebbe se la Russia non accettasse le tariffe più basse imposte dall’UE? Si potrebbe arrivare a un embargo di gas russo all’UE. La Russia si priverebbe di forti entrate economiche ma metterebbe in ginocchio l’economia dell’intera UE.
Un test importante di questo scenario sarà quello dello stop programmato e comunicato del gasdotto Nord Stream 1 dall’11 al 21 luglio per manutenzione. Le consegne tramite questo gasdotto sono già ridotte del 40%, a causa delle sanzioni che impediscono alla Russia di riparare le turbine Siemens della centrale di compressione necessaria al metanodotto per funzionare a pieno regime. L’UE attribuisce questo blocco alla volontà politica di Putin di aumentare il prezzo del gas e di “tenerci al guinzaglio in vista dell’inverno”, mentre la Russia sostiene di non poter recuperare la turbina bloccata in Canada dove è presente la ditta manutentrice [4]. È un fatto però che una turbina Siemens russa risulta effettivamente bloccata in Canada a causa delle sanzioni, così come è vero che se l’UE volesse potrebbe attivare Nord Stream 2, come suggerito dal numero due di Gazprom, per consegnare il gas non ricevuto tramite Nord Stream 1. Quindi evidentemente le sanzioni oltre a colpire la Russia stanno colpendo anche noi, e non poteva essere diversamente visto che stiamo sanzionando il nostro principale fornitore di materie prime, in particolare idrocarburi.
Sebbene Cingolani sprizzi ottimismo, per non aumentare il panico dei mercati, dichiarando che “siamo abbastanza avviati verso la sicurezza energetica nazionale, il piano che abbiamo dichiarato è rispettato” [5], la strada per la sicurezza energetica è ancora irta e piena di ostacoli nel breve e nel lungo periodo. A suo avviso l’Italia ha ben diversificato le fonti energetiche e presenta meno problemi rispetto alla Germania e ad altri paesi nel caso di un blocco delle forniture russe. Lo stoccaggio è pieno quasi al 60%, e possiamo raggiungere quel 90% necessario per affrontare senza problemi l’inverno. La capacità di stoccaggio italiana, in ex-giacimenti di gas, è dell’ordine dei 17,6 miliardi di metri cubi (Bmc) [6]. Tuttavia, con i prezzi del gas alle stelle, riempire oggi i siti di stoccaggio potrebbe essere molto rischioso per le imprese, pertanto il governo ha dovuto stanziare nel decreto Bollette miliardi di euro per lo stoccaggio, sotto forma di prestito infruttifero a GSE [7]. La capacità complessiva di stoccaggio dell’intera UE è all’incirca 105 Bmc [8], detenuta per i due terzi da 5 paesi, ovvero in ordine di capacità Germania (circa 23 Bmc), Italia, Paesi Bassi (circa 13,5 Bmc), Francia (circa 12 Bmc) e Austria (circa 9 Bmc). Attualmente i siti di stoccaggio dell’UE risultano riempiti a quasi il 60% [9].
Nel breve periodo una sostituzione completa del gas russo con gas di altri paesi sembra difficilmente realizzabile, non a caso i principali acquirenti europei hanno aperto conti in rubli presso Gazprom Bank e il gas fino ad oggi è stato escluso dalle sanzioni. Infatti nel 2021, secondo l’IEA, l’UE ha importato dalla Russia il 45% del proprio gas, per un totale di circa 150 Bcm l’anno, di cui 15 Bcm sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL). Trovare di punto in bianco fornitori alternativi, mediante gasdotti o GNL, di tutto quel gas è impossibile, come eloquentemente mostrato dal grafico ISPI. Per questo l’UE ritiene fondamentale lo stoccaggio, in modo da avere tempo per diversificare i fornitori e necessitare nell’immediato di una quantità minore di gas. Chiaramente si può rimpiazzare una parte delle importazioni russe con quelle di altri paesi, tuttavia anche ciò non è molto semplice. La Russia, secondo i dati IEA [10], è il secondo produttore mondiale e il principale esportatore di gas con 230 Bmc nel 2020. Gli Stati Uniti sono il primo produttore mondiale ma anche il principale consumatore di gas naturale [11], tanto che hanno consumato da soli il 25% del gas naturale utilizzato a livello mondiale per la produzione di energia elettrica, pari a circa 153 Bmc [10]. Non a caso il contributo statunitense per svincolarsi dalla morsa di Mosca ammonta, per il 2022, a soli 15 Bmc ulteriori di GNL.
I piani comuni europei sono complicati dal fatto che i vari paesi si muovono sulla base dei propri interessi nazionali, ma particolari, cercando di risolvere i propri problemi, compresi quelli energetici, anche a discapito degli altri stati membri dell’UE. Altro che il blocco compatto che vorrebbe Cingolani per arginare le pretese di Mosca. Emblematico è il caso dell’Algeria, corteggiata dal nostro paese contro gli interessi spagnoli. L’Italia infatti per diversificare le proprie fonti energetiche e ridurre il gas russo ha siglato un accordo con il governo algerino per aumentare entro il 2023 di 8 Bmc annui il gas importato dal paese nordafricano tramite il gasdotto Transmed, approfittando della crisi diplomatica tra Algeri e Madrid per il riconoscimento spagnolo dell’occupazione marocchina del Sahara Occidentale. In sostanza, i volumi addizionali di gas forniti dall’Algeria all’Italia corrispondono grosso modo a quelli sottratti alla Spagna con la chiusura del gasdotto passante per il Marocco.
Inoltre sarà necessario per i paesi UE adeguare l’infrastruttura di trasporto del gas, in modo da rispondere ai nuovi flussi di importazione e alle necessità di esportazione all’interno della stessa UE. Ad esempio, la direttrice Sud-Nord italiana presenta una cogestione del 34% con conseguente gestione competitiva di 24,3 milioni di metri cubi al giorno [12] tra i tre gasdotti meridionali TAP, Transmed e Greenstream. Per cui se l’Italia vuole provvedere alle proprie necessità di circa 75 Bmc annui (76,25 Bmc nel 2021 [12]), recessione permettendo, ed esportare al resto dell’UE dovrà necessariamente adeguare la propria infrastruttura. Qualcuno potrebbe dire pensiamo prima ai problemi nostri e nel frattempo i “crucchi”, più esposti di noi ai capricci di Mosca, imparassero a tirare la cinghia! Ma una recessione della Germania per mancanza di fonti energetiche è tutt’altro che auspicabile, poiché, dato il suo ruolo nella filiera produttiva europea, avrebbe ricadute negative rilevanti sul nostro sistema industriale e sull’occupazione della forza-lavoro, e quindi sull’economia.
Non è un mistero che il capitalismo italiano guarda da sempre, data la vantaggiosa posizione geografica, ad accreditarsi come importante snodo di importazione del gas, e in futuro dell’idrogeno, diretto all’UE. La capacità annua degli attuali punti di ingresso sul Mediterraneo è dell’ordine di 50 Bmc tramite gasdotti e di 15 Bmc tramite GNL [12], a cui si aggiunge la produzione nazionale. Il gas prodotto nel 2021, compreso il biometano, è stato 3,5 Bmc [12], in calo rispetto agli anni precedenti per il minore rendimento dei giacimenti non compensato dallo sviluppo della produzione di biometano. Questa capacità di immettere gas per i consumi [13] può essere incrementata costruendo gasdotti o terminali di rigassificazione in progetto da tempo, sviluppando nuovi giacimenti e la produzione di biometano, e incrementando la portata delle strutture già esistenti. Tutto ciò può essere fatto, ma non nell’immediato poiché sono necessari tempo e investimenti. Il nostro paese dovrà prima essere in grado di sostituire il gas che importa dalla Russia e poi sviluppare le infrastrutture per l’esportazione, aumentando la capacità di immettere gas verso la UE, da dove oggi prevalentemente entra. Il cosiddetto ‘reverse flow’ è infatti soltanto di 16 Bmc annui poiché gli attuali punti di ingresso non hanno la stessa portata in uscita [12].
Altre nubi pericolose si profilano all’orizzonte e hanno due nomi: cambiamenti climatici e instabilità del Nord Africa e del Medio-Oriente.
La siccità che sta colpendo il nostro territorio aumenterà, come avvenne nel 2017, la necessità di produrre energia elettrica tramite il termoelettrico, che nel 2021 ha rappresentato il 35% del gas consumato dal nostro paese [12]. La produzione nazionale dell’energia elettrica è stata nel 2020 per il 58% termoelettrica e per il 17% idroelettrica, quest’ultima però rappresenta circa il 40% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili [14]. Nel 2017, invece,la produzione nazionale ha visto il termoelettrico pesare per il 68% e l’idroelettrico per il 13% [14]. La crisi idrica sembra tutt’altro che passeggera, come testimoniano gli scioglimenti dei ghiacciai venuti alle cronache in questi giorni.
L’instabilità dei mercati Nordafricani e Mediorientali è il motivo per cui i paesi dell’Europa Occidentale hanno guardato da sempre alla Russia, anche in piena Guerra Fredda quando c’era l’Unione Sovietica, come a un partner affidabile per l’importazione di gas, petrolio e derivati. In Libia, dopo l’intervento della NATO nel 2011, la situazione si sta sempre più deteriorando tanto che il contributo del gas libico all’approvvigionamento del nostro paese è calato sensibilmente. Ad esempio, dal 2020 al 2021, il gas ricevuto si è ridotto del 25%, con soli 3,2 Bmc consegnati nel 2021 tramite Greenstream rispetto ad una capacità del gasdotto di 7,8 Bmc. E cosa succederebbe all’economia europea se l’Iran bloccasse il Golfo Persico, in piena crisi di rapporti con la Russia? La locomotiva d’Europa, la Germania, reggerebbe questo altro colpo? Quello che sembra ormai un dato di fatto è la volontà della Russia di voltarci le spalle, guardando ai paesi asiatici per la vendita futura del proprio gas. La nostra politica ostile e miope delle sanzioni ci espone in futuro a nuovi shock del prezzo degli idrocarburi e, quindi, dell’energia.
Appurato che un price-cap a monte non concordato con Gazprom risulterà assai problematico e rischioso, l’alternativa è quella di applicarlo a valle, ovvero di abbassare il prezzo del gas alle utenze. In Italia il gas russo, fornito da Gazprom, è acquistato da un unico operatore, ENI, che lo acquista mediante un contratto “take or pay” pluriennale [15], anche se non è possibile sapere le condizioni esatte di acquisto in quanto il contratto è secretato. ENI lo rivende poi, mediante contratti a breve termine, detti “spot”, indicizzati a TTF [16], ai fornitori di gas metano, come Acea ed Enel, che a loro volta lo rivendono, sempre mediante contratti spot indicizzati a TTF, all’utenza finale. Nei contratti “spot” il prezzo del gas non è legato a quello del petrolio Brent ma varia secondo la legge della domanda e dell’offerta, ed è soggetto a fenomeni speculativi [AC], come quello dei “futures” [17]. Con l’aumento della domanda il prezzo di mercato del gas è aumentato più del Brent, ancora prima del calo dell’offerta, dovuto alle sanzioni alla Russia, che ha fatto ulteriormente salire i prezzi del gas. Questa lievitazione dei costi di quasi il 500% da gennaio 2021 a giugno 2022, con un aumento del Brent molto più contenuto di circa il 140%, ha generato i cosiddetti ‘extraprofitti’ delle compagnie, come ENI, che rivendono il gas ad un prezzo molto maggiore di quello d’acquisto, indicizzato al prezzo del petrolio Brent, anch’esso, a onor del vero, soggetto all’emissione di futures.
Per abbassare il prezzo a valle, alle utenze, si potrebbe abolire il prezzo di mercato “spot”, ma non è questa la volontà dei nostri governanti che, anzi, hanno fatto di tutto per introdurlo anche nei contratti con i fornitori. Pertanto, non volendo mettere in discussione il meccanismo liberista degli scambi di mercato, è necessario che qualcuno si faccia carico di pagare ai rivenditori europei di gas la differenza tra il prezzo di mercato e il prezzo calmierato che si vuole imporre. Questo è quello che in sostanza è già successo con gli oltre 20 miliardi stanziati dal governo Draghi per abbassare il costo dell’energia. Questi aiuti, sebbene risultino maggiori ai cittadini che alle imprese, sono stati distribuiti in modo diseguale, in quanto chi consuma di più ha ricevuto aiuti maggiori. Pertanto la fiscalità generale e quindi la collettività ha supportato di più le aziende che i lavoratori. Queste spese dello Stato per supportare i consumi dovranno essere ripagate. Per fare ciò si colpirà il salario indiretto con tagli a sanità, istruzione e servizi. Il salario diretto dei lavoratori, invece, sarà eroso dall’aumento dei prezzi, che salgono molto più velocemente dei salari. Per questo, oltre a tassare gli ’extraprofitti’ ed opporsi alle sanzioni, è necessario rivendicare e ottenere da subito dei meccanismi di adeguamento dei salari al costo della vita, in modo che non siano ancora una volta i lavoratori a pagare il conto delle scelte politiche delle classi dirigenti.
Note:
[1] Clausola, inserita nei contratti di fornitura pluriennale tramite gasdotto, che obbliga l’acquirente a pagare comunque una certa quantità minima di gas anche se non ritira tutto il gas dal fornitore.
[2] Citazione tratta da un articolo di Milano Finanza.
[3] Citazione dall’ANSA.
[4] Per approfondire la questione della turbina e delle sanzioni contro la Russia che sanzionano anche noi, leggere L’Elogio dell’autosanzione di Massimo Nicolazzi.
[5] Citazione tratta da un articolo di Rainews.
[6] Il principale operatore di stoccaggio è Stogit, controllato dalla holding Snam, che da solo ha una capacità di 12 Bmc, a cui si aggiungono 4,5 Bmc delle riserve strategiche, in 8 siti localizzati tra Lombardia e Emilia Romagna e un sito in Abruzzo. Segue Edison con una capacità di stoccaggio di 0,9 Bmc, distribuito su tre siti localizzati in Abruzzo, Emilia Romagna e Veneto. E infine Ital Gas Storage con un sito di stoccaggio in Lombardia della capacità di 0,23 Bmc.
[7] Il decreto-legge n. 80 del 30 giugno 2022, consultabile qui.
[8] Dati reperiti dal Quarterly Report on European Gas Market 2021 della Commissione Europea e dall’Infografica del Consiglio Europeo, pubblicata qui.
[9] Dato tratto fa GAS Infrastructure Europe, dove si può consultare, giorno per giorno, la quantità e la percentuale di gas stoccato.
[10] Key World Energy Statistics 2021, settembre 2021, IEA.
[11] Secondo la IEA nel 2021 hanno consumato circa 857 Bmc di gas naturale con una produzione di 967 Bmc.
[12] I dati sono stati reperiti dalla Relazione Finanziaria Annuale 2021 di Snam e dal Piano decennale di sviluppo della rete di trasporto di gas naturale 2022-2031 di Snam Rete gas.
[13] Nel 2021 il consumo di gas è stato ripartito nel seguente modo: 38% riscaldamento e terziario (prevalentemente riscaldamento, ma anche terziario), 35% termoelettrico, 21% industria, 3% altri settori, 3% consumi e perdite. Il consumo dell’energia elettrica, reperibile dai dati Terna, nel 2020 è stato, invece, così ripartito: 44% industria, 30% servizi, 23% domestico e 2% agricoltura.
[14] Elaborazione dei dati riportati qui da Terna.
[15] Ecco una traduzione letterale di quanto scritto a pag. 26 del documento “Annual Report on Form 20-F-2021” di ENI: “Le più importanti transazioni che coinvolgono le controparti russe riguardano l’acquisto di gas naturale dalla compagnia di stato russa Gazprom, basate su contratti di fornitura a lungo termine con clausole take or pay. I volumi forniti dalla Russia rappresentano una parte rilevante del nostro portafoglio globale di forniture di gas naturale, pari a circa il 43% del totale nel 2021 (guarda la tabella “Natural gas supply” nell’item 4 – Global Gas & LNG Portfolio). ENI ha assunto impegni di consegna che dipendono in parte da tale fornitura di gas naturale. Sebbene abbiamo accesso a maggiori forniture da altre aree geografiche nel nostro portafoglio e da paesi produttori con cui abbiamo stabilito relazioni, qualora le forniture di Gazprom e di altri fornitori di gas naturale russi dovessero essere interrotte (anche a seguito di sanzioni che vietano o limitano gli acquisti di gas naturale dalla Russia) potremmo subire effetti negativi che attualmente non possiamo prevedere o quantificare, ma potrebbero essere rilevanti”.
[16] Il Title Transfer Facility-TTF è l’indice virtuale di scambio stabilito nella borsa di Amsterdam, il cui valore oscilla secondo i prezzi di mercato all’ingrosso per gli scambi “spot”. In realtà nel mercato italiano l’indice di riferimento è PSV, ovvero Punto di Scambio Virtuale, il cui valore tuttavia è fortemente correlato all’indice TTF, principale riferimento del mercato del gas in Europa. Questo poiché storicamente i Paesi Bassi sono stati i primi produttori europei di gas e la borsa di Amsterdam è ancora oggi il principale mercato europeo di scambio del gas all’ingrosso.
[17] Sono dei contratti derivati con cui le parti si impegnano a scambiare una certa quantità di un’attività finanziaria o reale a un prezzo prefissato con liquidazione in una data futura prestabilita.
FONTE: https://www.lacittafutura.it/editoriali/price-cap-la-mossa-del-draghi
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