L’ultimo decennio della Guerra Fredda
di NUOVA RIVISTA STORICA (Eugenio Di Rienzo)
Nella prefazione del recente libro di Luigi Sepe, Guerra Fredda. Ricostruzione storica dell’ultimo decennio (Gaspari Editore), Gianni Oliva parla di «un libro che si legge con facilità e che permette di contestualizzare la fine della Guerra Fredda, togliendole l’aura di imprevedibilità da cui è abitualmente (e impropriamente) circondata; un bel libro, perché la conoscenza del passato non procede solo attraverso le monografie accademiche fondate su documenti inediti, ma anche (direi “ancor di più”) sui lavori di sintesi come questo che, con rigore di ricerca, sanno dare sistemazione ai quadri generali; un bel libro, insomma, perché offre un esempio di ciò che deve essere la divulgazione scientifica».
Sepe ricostruisce l’ultimo decennio del titanico confronto di potenza tra USA e URSS, due formazioni statali di dimensioni continentali, che percepivano reciprocamente l’esistenza dell’altra come minaccia alla propria sicurezza utilizzando le rispettive ideologie come strumento della propria proiezione internazionale. L’interesse per questo specifico arco temporale è legato essenzialmente all’approccio dell’autore con i documenti che man mano sono stati declassificati dal NSA (National Security Archive), una raccolta di fonti provenienti sia dagli archivi statunitensi, inclusi quelli della CIA, sia da quelli dell’Est Europa; in aggiunta ad una risorsa di eccezionale valore per tutti gli storici che si occupano di Guerra Fredda, il CWIHP (Cold War International History Project) un vasto archivio che contiene i documenti desegretati dell’ex blocco sovietico, e al PHP (History Project on Nato and Warsaw Pact) un altro progetto che raccoglie le fonti documentali del Patto di Varsavia, del KGB, della Stasi e diversi documenti della CIA. Fonti che anche per ovvie ragioni temporali non sono state finora incluse nel corredo bibliografico di gran parte della storiografia che si occupa di questa significativa fase storica.
L’obiettivo del volume è stato quello di ricostruire, alla luce di queste nuove fonti e di una larga letteratura secondaria, le relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica in una prospettiva storico-politica globale non solo come una complessa contrapposizione ma anche come un processo interattivo oscillante tra irrigidimento e distensione. Un percorso, a dire il vero, abbastanza arduo da interpretare perché l’analisi della politica estera americana può apparire molto variabile, segnata da un’ampia differenza di visione, il che è in molti casi è sicuramente dovuto alla ricchezza delle fonti documentarie a disposizione, per il periodo di tempo esaminato, gli anni ottanta del XX secolo. E ciò ha comportato inevitabilmente a svolgere, con grande sforzo, una guardinga e minuziosa decodifica degli eventi. Pertanto il metodo adoperato è stato quello di esaminare e circoscrivere e il periodo storico in questione attraverso la comparazione delle fonti inedite con quelle secondarie in modo da costituire un corpus unicum che ha permesso di contestualizzare il momento finale della Guerra Fredda che non coincide esattamente con la vulgata trionfalistica occidentale.
Diversi argomenti trattati nel libro approfondiscono una serie di questioni poche conosciute sia nella fase di acuta contrapposizione che in quella interattiva tra le due Potenze, che vanno ad ampliare lo spettro conoscitivo della Guerra Fredda nelle sue dinamiche storiche e geopolitiche e che nell’insieme aiutano a decifrare anche l’assetto dello scacchiere internazionale, in continua evoluzione in special modo per ciò che riguarda gli attuali rapporti fra l’Occidente e la Russia. A questo riguardo di particolare interesse è la dettagliata narrazione che Sepe fa del summit bilaterale di Malta quasi sempre ricordato soltanto per le promesse fatte da Bush a Gorbaciov di non avanzare i confini della Nato di un solo pollice oltre la Linea Oder-Neiße ma i cui contenuti politici furono, in realtà, in realtà molto più estesi.
Preceduto da una fitta serie di riunioni tra il ministro degli Esteri sovietico, Eduard Amrosević Shevarnadze e quello statunitense James Addison Baker, il 2 e 3 dicembre 1989, l’incontro tra l’inquilino della Casa Bianca e all’ospite del Cremlino si doveva svolgere al largo della isola del mediterraneo, su due navi da guerra: l’incrociatore americano USS Belknap e quello sovietico Slava. Le navi erano state preparate per accogliere il vertice su quella russa il primo giorno e su quella americana il secondo; i due capi di Stato avrebbero dormito a bordo di ognuna e non sul territorio maltese per evitare qualsiasi parvenza di formalità all’evento. Un vento di scirocco eccezionalmente forte fino a 100 km l’ora e una furiosa mareggiata fecero saltare le previsioni e si dovette fare ricorso a un’imbarcazione da crociera, la Maxim Gorkij, ancorata nel porto maltese di Marsaxlokk, più affidabile per la sua stazza di 25.000 tonnellate giunta da Odessa per ospitare la delegazione sovietica. L’idea di un vertice in mare aperto era, comunque, dovuta all’attaccamento di Bush alla tradizione rooseveltiana di incontrare i leader degli altri Stati a bordo di navi militari, come era avvenuto per lo storico summit del 12-13 luglio 1941 tra Roosevelt e Churchill che partorì il testo della Carta Atlantica, ospitato nel quadrato della Prince of Wales, ormeggiata nelle acque del dominion britannico di Terranova.
Il carattere informale del colloquio di Malta favorì gli scambi d’opinioni sui problemi generali in un’atmosfera che definita «distesa e cordiale». Gli aspetti salienti delle discussioni riguardarono il modo in cui gli Stati Uniti sarebbero andati oltre la tradizionale politica di containment assertivo nei confronti della Grande Nazione euroasiatica e di come l’Unione Sovietica avrebbe contribuito a garantire la sicurezza reciproca. Durante il primo colloquio a bordo della Maxim Gorkij, Bush sciolse le sue riserve, sostenendo che il coronamento del successo della perestroijka era un obiettivo della politica americana e che, in un vasto disegno politico rivolto al futuro, entrambe le Superpotenze avrebbero avuto le medesime responsabilità, cooperando per costruire il nuovo ordine mondiale. Da parte sua, Gorbaciov chiese il riconoscimento di avere «mantenuto le sue promesse» in quanto la perestroijka continuava a fare progressi, evidenziando che le riforme avviate in Europa orientale erano un fatto acquisito come lo era la garanzia, da parte sovietica, a non interferire nel processo in corso. Il suo auspicio era che gli Stati Uniti e i loro alleati dimostrassero, a loro volta, di essere pronti a trattare su un piano di parità con Mosca e l’Est europeo democratizzato, mediante rapporti integrati, non più fondati «sulla competizione militare e il terrore della distruzione reciproca», bensì su una «strategia globale condivisa».
Il giorno seguente, sempre sulla nave sovietica, i colloqui esaminarono le criticità nei vari contesti geostrategici del Centro-America e del Medio Oriente dove sussistevano ancora elementi di grave attrito. Durante il dibattito sull’America centrale, Bush pose sul tavolo il fatto che l’URSS continuava ad appoggiare il regime cubano e quello sandinista in Nicaragua, adducendo come esempio la spedizione di elicotteri sovietici ai nicaraguensi. Gorbaciov si sforzo di convincere il Presidente che gli aiuti militari a Managua erano stati sospesi da tempo, e che i sandinisti non erano dei veri marxisti. Inoltre affermò che in quel Paese vigeva il pluralismo politico e che a garanzia delle future elezioni libere e democratiche era stato chiesto addirittura il coinvolgimento delle Nazioni Unite.
Bush replicò «che nella regione ci sono anche armi americane e che comunque, l’Unione Sovietica non sta perseguendo alcun obiettivo dannoso circa le sfere d’influenza in America Latina». Nonostante che il Presidente nicaraguegno Daniel Ortega avesse smentito di aver offerto armi ai guerriglieri di El Salvador, il Premier statunitense però continuò a dichiararsi convinto della connivenza sovietica in quelle operazioni, e sostenne di ritenere che le assicurazioni di Ortega erano «pure menzogne». Nel corso della conversazione su Cuba, Gorbaciov rivelò a Bush che Castro aveva sollecitato il suo aiuto «per trasmettere l’interesse di Cuba nel normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti». Ma Bush, che non nutriva nessuna fiducia nella sincerità del lider maximo rispose che i cambiamenti democratici non interessavano Castro, che egli non aveva non ha mai mostrato segni di disponibilità a questo riguardo, e che l’assistenza economica di Mosca al regime cubano poteva solo causare gravi danni se non fosse stata interrotta al più presto.
Ultimata l’analisi delle altre questioni geopolitiche, Medio Oriente conflitto libanese, Afghanistan, la discussione riprese sulla valutazione delle dinamiche in atto nel settore degli armamenti, con l’intenzione di concludere in tempi brevi il negoziato già avviato a Vienna tra i paesi della NATO e quelli del Patto di Varsavia per la riduzione radicale degli effettivi degli eserciti europei e di restringere gli arsenali dei missili balistici intercontinentali attraverso il divieto del rispettivo ammodernamento. Riguardo alle forze navali, Gorbaciov propose di allontanare le navi americane e sovietiche dal Mediterraneo ma l’idea non fu condivisa da Bush, perché la U.S. Navy in quelle acque era indispensabile per controbilanciare la “rendita di posizione” dell’Armata sovietica nel continente europeo.
La parte finale del colloquio fu riservata alla sfera economica con l’importante promessa di Bush a riguardo: «l’Unione Sovietica aspira a un maggiore coinvolgimento nell’economia di mercato internazionale, e questo e un passo che certamente sono pronto a incoraggiare in tutti i modi possibili». L’appoggio a quella svolta epocale doveva essere però subordinato all’attuazione delle riforme economiche da parte del Cremlino. Solo in tal caso, infatti, gli USA avrebbero agevolato l’ammissione di Mosca all’Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio, in qualità di osservatrice, concedendo la clausola di «Nazione più favorita», per poi creare le condizioni per eliminare le restrizioni sulla concessione del credito alla Russia.
Il risultato più significativo delle otto ore di colloqui fu quello inerente alle relazioni USA-URSS. «L’epoca della Guerra Fredda è finita» – affermarono entrambi i leader – «e ora comincia un’era pacifica di cooperazione politica ed economica tra noi, compresa la sfera militare». Nel rinnovato clima di fiducia, Gorbaciov, aggiunse infine: «l’Unione Sovietica s’impegna a non iniziare mai una guerra, smettendo di considerare gli Stati Uniti come nemici». Nella baia di Malta non fu formalizzato nessuno accordo, ma furono poste le fondamenta, o meglio gli auspici, per arrivare alla coesistenza pacifica fra Est e Ovest, grazie alla fiducia e la collaborazione che si instaurarono tra le parti e alla presa d’atto che le aspre contrapposizioni della Guerra Fredda appartenevano a un passato che non sarebbe più tornato. Come ebbe a dire Gennadi Gerasimov, il portavoce del Premier sovietico: «abbiamo sepolto la Guerra Fredda sul fondo del Mediterraneo». Mai forse pronostico fu tanto generoso e purtroppo meno azzeccato di questo.
(Pubblicato il 18 luglio giugno 2022 © «Corriere della Sera» – La nostra storia)
Fonte: https://www.nuovarivistastorica.it/lultimo-decennio-della-guerra-fredda/
Commenti recenti