Al di là della mobilitazione militare, diventano così più comprensibili alcuni aspetti particolari di quest’ultima guerra russa. La parte importante che giocano, per esempio, i soldati reclutati (non dimentichiamo che fino a due mesi fa la Russia impiegava solo soldati professionisti, volontari a contratto) in Repubbliche caucasiche e islamiche come il Dagestan e, soprattutto, la Cecenia. La Rete abbonda di video in cui i soldati ceceni salutano o celebrano gridando Allah u akhbar! («Dio è grande»). Ma colpisce anche e soprattutto l’aiuto che la Russia riceve da parte del mondo islamico mediorientale.

In qualche caso Mosca riscuote vecchi crediti. Sono consistenti le voci secondo cui il Gruppo Wagner, l’esercito mercenario fondato da Evgenyj Prigozhin, un vecchio amico di Putin, avrebbe reclutato in Siria 500 combattenti esperti, usciti dalla 25.ma divisione delle Forze speciali, la cosiddetta Divisione Tigre, dalle milizie di Liwa al-Quds (composte in gran parte da siriani di origine palestinese) e persino da gruppi di ex-ribelli. Uomini che operano già sul fronte ucraino, in particolare nel Donbass, anche se non ancora in prima linea.

In altri casi, il Cremlino mette a frutto aperture politiche intelligenti realizzate in passato. Nel 2015, quando gli Usa firmarono con l’Iran l’accordo sul nucleare che Donald Trump avrebbe disdetto nel 2018, Barack Obama riconobbe il valido ruolo di mediazione svolto dalla Russia, che aveva peraltro avuto un coinvolgimento decisivo nello sviluppo del settore atomico iraniano. Non stupisce, quindi, se oggi l’Iran contraccambia fornendo i suoi micidiali droni, gli ordigni che hanno permesso alla Russia di distruggere o danneggiare il 40 per cento delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina. Oltre a questo, l’Iran ha firmato con la Russia importanti accordi per la realizzazione del Corridoio Nord-Sud, ovvero la rotta commerciale India-Iran-Russia che consente al Cremlino di annullare in parte l’effetto delle sanzioni e dei blocchi decisi dall’Occidente.

C’è poi l’atteggiamento dell’Arabia Saudita, forse il più sorprendente. Nonostante l’alleanza di vecchia data con gli Usa, e quella più recente con Israele, che resta pur sempre un baluardo della politica americana in Medio Oriente, i sauditi non solo non hanno accontentato il presidente Joe Biden, che era andato in pellegrinaggio a Riyadh per chiedere un aumento della produzione di petrolio così da far calare i prezzi, ma al contrario hanno programmato un taglio di due milioni di barili al giorno insieme con l’Opec +, dove il “+” vuol dire Russia. È interesse di tutti i produttori, qualunque sia la merce che propongono, ottenere i prezzi più favorevoli. Ma la decisione dell’Opec + è stata particolarmente importante per la Russia, una vera boccata d’ossigeno e di denaro fresco nel momento della massima crisi.

Il conflitto in corso travolge, con i suoi drammi quotidiani, anche queste considerazioni. Ma la guerra finirà, prima o poi. E ci saranno molte ragionamenti da fare e bilanci da trarre, in un mondo che troveremo profondamente cambiato. Anche per il fattore islam.

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