Ottimo. Tante belle parole, sbandierati tanti buoni propositi, poi i fatti e lì c’è poco da ciurlare. Così, eccola la legge di Bilancio del governo di Giorgia Meloni, che volente o nolente procede a una serie di tagli su voci che riguardano la giustizia. Comprese le spese per la polizia penitenziaria, già sotto organico. La bozza prevede che «a decorrere dall’anno 2023, il Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, assicura, mediante la riorganizzazione e l’efficientamento dei servizi degli istituti penitenziari presenti su tutto il territorio nazionale, in particolare con la ripianificazione dei posti di servizio e la razionalizzazione del personale, il conseguimento di risparmi di spesa non inferiori a 9.577.000 euro per l’anno 2023, 15.400.237 euro per l’anno 2024 e 10.968.518 euro annui a decorrere dall’anno 2025».
Burocratese orribile: “Efficientamento”, “ripianificazione”… in italiano significa che si vorrebbe razionalizzare il personale della polizia penitenziaria, riducendo i costi di circa 36 milioni di euro in tre anni. Come questo obiettivo si possa armonizzare con il fatto che la pianta organica della polizia penitenziaria(fonte ministero della Giustizia) prevede 41.595 unità, ma in servizio nel 2021 ce ne sono solo 36.653 (nel 2020, risultavano 37.242) non si capisce bene. Ma tant’è. E dire che in campagna elettorale il leader della Lega Matteo Salvini aveva fatto un punto d’onore, incontrando i sindacati della polizia penitenziaria che «è sempre più urgente assumere più agenti della polizia penitenziaria».
I costi di mantenimento del corpo, nel 2022, secondo il bilancio ministeriale è di 2,06 miliardi di euro; nel 2021 era stato di 2,137 miliardi. Ora si annuncia una ulteriore “limatura”.
Furibondi i sindacati della polizia penitenziaria. Gennarino De Fazio, segretario della UILPA Penitenziaria parla di “assenza di qualsiasi misura di supporto per le carceri…dobbiamo constatare addirittura un peggioramento con tagli al personale e alle mense. Evidentemente al peggio non c’è mai fine”.
Una radiografia spietata: “A fronte di 18mila unità mancanti al Corpo di polizia penitenziaria, 85 suicidi (80 fra i detenuti e 5 fra gli operatori) dall’inizio dell’anno, strutture degradanti, penuria e inefficacia di automezzi, equipaggiamenti e strumentazioni, siamo letteralmente esterrefatti e increduli. Se poi mettiamo tutto ciò in relazione a quanto affermato dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo discorso sulla fiducia alla Camera dei Deputati e con le ripetute dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e dei Sottosegretari, che promettono il miglioramento delle condizioni di lavoro, ci sembra di trovarci su scherzi a parte”.
Il carcere, già. Ottanta detenuti si sono tolti la vita: la cifra più alta dal dopoguerra; e uno sconcertante silenzio delle istituzioni e della politica. Vanno poi considerati gli oltre mille tentativi di suicidio sventati dagli agenti di polizia penitenziaria. Un dramma senza fine.
Ricordate il giudice Vincenzo Semeraro ?Intervistato dall’agenzia “Italia”, Semeraro racconta come la sua vita sia cambiata dopo che si è assunto la responsabilità della morte della 27enne, una dei 79 detenuti che si sono uccisi nel 2022. Nella notte tra l’1 e il 2 agosto scorso, Donatella Hodo, 27 anni, carcerata a Verona, decide di farla finita. Quattro mesi dopo il magistrato della Sorveglianza che da anni seguiva la ragazza nel suo percorso di recupero cerca di mantenere una promessa fatta in nome di Donatella: “Più cura per le donne recluse; ci sto mettendo un maggiore impegno nel cercare di studiare di più i casi. Nella sezione femminile ci sono mediamente all’anno una quarantina di detenute rispetto ai 500 uomini, è ovvio che le maggiori attenzioni siano riservate alla sezione maschile. Per questo sto cercando di mettere ancora più cura sulle detenute donne”.
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