I ministri della Difesa di Turchia e Siria si incontrano in Russia
da PICCOLE NOTE (Davide Malacaria)
I ministri della Difesa di Siria, Turchia e Russia si sono incontrati ieri a Mosca. La notizia è una vera bomba, ma di distensione stavolta, dal momento che è il primo incontro tra un esponente del governo turco e del governo siriano dal 2011, anno in cui è iniziato il regime-change in Siria, che ha visto Ankara associata ai Paesi del Golfo e all’Occidente nel sanguinoso tentativo di rovesciare il governo di Assad.
Certo, c’era stato un altro incontro precedente di alto livello, rivelato dal ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, il quale ha dichiarato di recente di aver incontrato il suo omologo siriano nell’ottobre 2021. Ma si trattava di un convegno fugace e segreto, per nulla accostabile a quello di ieri che riveste un notevole valore simbolico.
L’incontro era stato anticipato da una dichiarazione resa alcuni giorni fa da Erdogan, nella quale il presidente turco aveva annunciato di voler “fare un passo tripartito come Siria-Turchia-Russia” (al Monitor).
Quindi, dopo aver preannunciato, in quella sede, anche l’incontro tra i ministri della Difesa che si è tenuto ieri, aveva aggiunto: “Dopo questo incontro, sarei lieto che si svolgesse un incontro tra i tre leader [dei tre Paesi ndr]. L’ho proposto a Putin e lui ha accolto la proposta con favore. In tal modo verrebbero avviati una serie di contatti” più profondi.
Possibile un incontro Erdogan- Assad?
Non è la prima volta che Erdogan esprime il desiderio di incontrare Assad nel tentativo di ricucire un rapporto lacerato dall’attivismo turco nel regime change siriano. La Reuters, ad esempio, dava notizia che avrebbe voluto incontrarlo al vertice della Sco (Shanghai Cooperation Organization) che si è tenuto nel settembre scorso, al quale, però, Assad non ha partecipato.
La strada potrebbe aprirsi ora, forse, dando vita a una riconciliazione che sembrava impossibile. Ma al di là di tale sviluppo, resta che anche l’incontro di ieri ha grande importanza, dal momento che si trattava di trovare una quadra al caos siriano, conseguenza della guerra portata ad Assad dalle milizie islamiste, tra cui l’Isis, supportate dalle Cancellerie occidentali (conflitto che ostinatamente viene chiamato “guerra civile siriana”, quando di civile in questo massacro decennale non c’è stato nulla e chiare sono le responsabilità estere).
A oggi il territorio controllato da Damasco si è ridotto, dal momento che il settentrione è appannaggio dei curdi, supportati dagli Stati Uniti – che in tal modo controllano l’unica zona ricca di petrolio, privandone i legittimi proprietari (Middle East Monitor) -, mentre resta ancora sotto il controllo delle milizie islamiste, in parte filo-turche, la regione di Idlib.
Diviso, il Paese è ancora preda della destabilizzazione creata dall’ennesima avventura neocon (il noto “caos costruttivo“, come lo definì Condoleeza Rice), che vede l’Isis ancora attivo nella regione controllata dagli Usa tramite i curdi e, soprattutto, l’attrito permanente tra i curdi e i turchi, con questi ultimi che negli ultimi mesi hanno rinnovato la minaccia di lanciare una campagna militare contro gli acerrimi nemici.
Un’operazione annunciata in grande stile da Erdogan dopo il recente attentato a Istanbul attribuito ai curdi (per gli interessanti dettagli rimandiamo Piccolenote), anche se, in realtà, il successivo primo attacco contro i curdi in Siria ha colpito un obiettivo molto prossimo alla più importante base americana nel Paese (al Monitor).
Il niet russo e l’ambiguità americana
La Russia ha subito pronunciato il suo niet all’invasione turca, mentre la reazione americana è stata più ambigua, tanto che i curdi si sono sentiti abbandonati dai loro protettori (EukurDaily) e si sono rivolti alla Russia, come evidenzia l’incontro del comandante del contingente russo in Siria con una delegazione delle forze curde (Associated Press).
Certo, successivamente, anche gli Stati Uniti hanno alzato la voce contro Ankara, ma l’ambiguità rimane, dal momento che a Washington hanno certamente accarezzato l’idea di un via libera alla campagna turca in cambio di un supporto più forte della Turchia nella guerra Ucraina, verso la quale conserva una posizione neutrale.
Ma resta il niet russo e quello, certo meno forte, di Assad, che anche in passato aveva schierato le esigue forze siriane per difendere i curdi da precedenti incursioni turche.
L’incontro tra i ministri della Difesa turco e siriano, sotto la mediazione russa, potrebbe aver sciolto alcuni nodi di questo puzzle impazzito, dal momento che lo scopo primario del summit era, appunto, trovare un modo per coordinare le loro forze in modo da creare un cordone di sicurezza tra il territorio turco e le regioni siriane controllate dai curdi, così da rassicurare Ankara e dare a Erdogan una vittoria diplomatica da poter spendere.
Una soluzione che dovrebbe essere accolta con favore dai curdi, dal momento che dovrebbe tentativamente fermare lo stillicidio di bombardamenti ai quali sono sottoposti quando Ankara decide di mostrare i muscoli contro di loro.
Vedremo, tante e non tutte buone le variabili del complesso rebus siriano, agitato anche dalle feroci conflittualità che dividono le varie fazioni curde e dall’intervento indebito di forze esterne che contribuiscono ad alimentare il caos.
Ps. Nello scrivere questa nota non si può tacere dell’attentato avvenuto il 23 dicembre a Parigi, dove uno squilibrato razzista ha ucciso tre attivisti della causa curda con una pistola acquistata in un poligono di tiro frequentato in passato.
Un pazzo appena uscito dal carcere e in libertà vigilata, come pazzo era l’uomo che ha compiuto alcuni giorni prima una strage a Roma durante una riunione di condominio con un’arma sottratta a un poligono di tiro che frequentava. Tre povere vittime anche a Roma, tra cui un’amica del primo ministro Giorgia Meloni, che il 23 dicembre visitava l’Iraq, con tappa nel Kurdistan iracheno. Coincidenze, nulla più, che ci limitiamo a registrare.
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