Sul vertice NATO di Vilnius
DA LA FIONDA ( di Giulio Di Donato)
Abbiamo chiesto ad Alberto Bradanini un commento sul recente vertice NATO di Vilnius. Queste le sue parole:
Il vertice Nato di Vilnius (11-12 luglio 2023) ha prodotto esiti insieme patetici e pericolosi.
Patetici perché ancora una volta incorniciati nella falsa retorica secondo cui la Nato-Usa sarebbe uno strumento di tutela della pace e della stabilità nel mondo (alcuni passaggi del Comunicato finale appaiono surreali, questo ad esempio: “Nato… to safeguard peace, freedom and prosperity”; “the fundamental purpose of NATO’s nucleare capability is to preserve peace, prevent coercion and deter aggression” e via dicendo). Un esito che avrebbe dovuto generare pudore in chi lo ha preparato (il delegato Usa) e sollevare lo sconcerto in chi lo ha sottoscritto (gli alleati-vassalli).
Salta agli occhi invero che il significato storico di tale organizzazione bellica è quello di sostenere la patologia imperiale americana, perpetuandone se possibile il dominio unipolare sul pianeta e ora, cogliendo al volo la tragedia ucraina, spremere più che in passato ricchezze e benessere da un’Europa incapace di emettere anche solo un vagito di dissenso.
Rimane dunque ancora veritiero quanto affermato negli anni ‘50 dal suo primo Segretario Generale (Lord Hastings Lionel Ismay): lo scopo precipuo della Nato è quello di “keep the Soviet Union out, the Americans in, and the Germans down” (oggi bisogna sostituire l’Unione Sovietica con la Russia e la Germania con l’Europa).
I risultati del Vertice in questione sono poi pericolosi perché con un lessico verboso e illeggibile (ben 11.256 parole infarcite di ideologia, pregiudizi e menzogne) il Comunicato Finale stila un elenco di nazioni nemiche, che, pur lontane dal teatro atlantico, metterebbero a repentaglio, insieme a Russia e Bielorussia, non solo le prospettive di una pace stabile, ma persino la tenuta democratica dei singoli Paesi del Regno del Bene: parliamo di Cina, Corea del Nord e Iran, guarda caso tutte indisponibili a piegarsi al dominio unipolare della sola nazione indispensabile al mondo (nella patologia espressiva di W. Clinton, 1999).
All’interno di questa narrazione non c’è spazio per ricordare le 800 basi militari statunitensi sparse ovunque, con lo scopo di imporre la cupidigia dell’impero e di spremere i popoli politicamente deboli, ma ricchi di risorse.
Se poi – come dichiarato il 12 luglio scorso dal ministro degli esteri russo Lavrov – la fornitura di caccia F-16 all’Ucraina venisse “considerata da Mosca una minaccia nucleare ai sensi della dottrina strategica russa, poiché questi velivoli sono idonei al trasporto di ordigni atomici”, con tutte le conseguenze del caso, allora è lecito chiedersi quanto i signori della guerra in Occidente siano in grado di comprendere la gravità e i rischi della situazione attuale, quanto il mondo si trovi sull’orlo dell’abisso. Verrebbe da chiedersi: vi è ancora qualcuno tra costoro che abbia un po’ di coscienza?
Se davvero la pace fosse stata al centro delle discussioni di Vilnius, avremmo ora una proposta di compromesso su cui lavorare, non una postura che coincide col mero ritiro russo dai territori ucraini, vale a dire un’inaccettabile sconfitta della Russia, che è poi la parte che sta prevalendo sul campo. Alcuni direbbero che un esito siffatto non sarebbe conforme a giustizia. Gli storici giudicheranno. La storia, maestra di vita, oltre che la logica, ci dice invece che le guerre finiscono con un compromesso, altrimenti continuano fino alla sconfitta di uno dei due. E, come rilevano un’infinità di analisti, per la Russia, che è una potenza militare che dispone di 6000 testate nucleare, la sconfitta non può essere contemplata. La Nato, però, vuole che la guerra continui, con il sangue ucraino certo, a ulteriore dimostrazione di irresponsabilità politica e cinismo umano degli auto-proclamatisi padroni del mondo.
Nel medesimo Comunicato Finale si afferma che la Russia avrebbe iniziato l’avventura ucraina senza essere stata provocata (unprovoked). Forse alcune delle 12.000 parole del documento avrebbero potuto ricordare le riflessioni di G. Kennan (anni ’50) e di tanti politici e intellettuali (tra cui H. Kissinger, J. Baker, N. Chomsky, J. Suchs, J. Mearsheimer, H. Schlanger, l’attuale Kennedy, S. Romano, Mc Governo, J. Baud, S. Ritter, fino al direttore della Cia, W. Burns, quando era ambasciatore a Mosca, e via dicendo), i quali avevano previsto una reazione di Mosca qualora la Nato si fosse avvicinata troppo all’Ucraina. Basterebbe anche pensare alle parole di A. Merkel, la quale fin dal 2008 ammoniva sul rischio che l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica “avrebbe scatenato una guerra con Mosca”. Nello stesso periodo, insieme a Sarkozy e all’ex presidente ucraino Poroshenko, rivelava come gli accordi di Minsk (che se fossero stati rispettati avrebbero evitato la guerra e mantenuto il Donbass sotto sovranità ucraina) avessero nei fatti il solo scopo di guadagnare tempo per consentire a Kiev di armarsi contro la Russia.
A Vilnius, nel frattempo, il presidente ucraino Zelensky – in rigorosa e seduttiva maglietta da trincea – viene promosso guerriero-statista dal cinismo euro-atlantico insensibile alla sofferenza di un popolo divenuto strumento della strategia di dissanguamento e distruzione della Federazione Russa, in attesa di procedere al medesimo trattamento con la Cina.
Quanto a quest’ultima, i governi europei (la UE, basta leggere i documenti d’intesa sottoscritti, è ormai incistata nella dottrina e nelle strategie atlantiche) potrebbero chiedersi cosa hanno a che fare Cina e Corea del Nord con le sorti della Nato (North Atlantic Treaty Organization), mentre le loro tanto sbandierate democrazie (sempre più ridotte a un gioco vuoto di formule e sempre più al servizio di ricchi e potenti signori) vengono tenute all’oscuro della nuova dimensione strategica di un’Organizzazione nata nel quadrante atlantico e che, sotto la pressione del mai tramontato complesso militare-industriale, estende ora il suo campo d’azione al mondo intero, senza nemmeno consultare Parlamenti e elettori dei Paesi membri.
Insomma, nubi pericolose si addensano all’orizzonte se i popoli del pianeta – che diversamente dai loro governi vogliono tutti la pace – non faranno sentire alta e sonora la loro voce di saggezza e pacificazione.
FONTE:https://www.lafionda.org/2023/07/14/sul-vertice-nato-di-vilnius/
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