La riforma e le vedove del pilota automatico
DA LA FIONDA (Di Geminello Preterossi)
Il governo ha presentato un disegno di legge di revisione costituzionale stringato, centrato su quattro articoli (59, 88, 92, 94), che riguardano alcuni punti nevralgici della forma di governo: la modalità di legittimazione del presidente del Consiglio, i poteri del presidente della Repubblica, il rapporto tra i due presidenti e quelli di entrambi con il Parlamento. Subito si è levato un coro di proteste e di analisi critiche, le quali hanno messo giustamente in luce gli aspetti problematici del progetto: l’unicum di un capo del governo eletto dal popolo, cioè di un presidenzialismo tutto “esecutivo”, in assenza di un vero e proprio presidenzialismo all’americana, o alla francese, oltre che dei necessari contrappesi.
Ritengo però che tali critiche, pur corrette, tendano a ignorare l’elefante nella stanza (delle riforme). A mio avviso il progetto si propone soprattutto di ridimensionare il ruolo del presidente della Repubblica, senza però affrontare di petto la questione, anzi in qualche modo aggirandola. Ovvero che da più di dieci anni viviamo di fatto in un regime semipresidenziale strisciante, ma senza legittimazione democratica diretta. Naturalmente l’obbiettivo non è solo questo: è anche quello di stabilizzare la leadership di Giorgia Meloni e in generale la maggioranza di centrodestra, impedendo “ribaltoni” o manovre volte a varare governi del presidente, tecnici o di larghe intese che siano.
La necessità più grande, oggi, sarebbe invece quella di sviluppare un ragionamento libero e serio sugli effetti dell’Ue sul nostro ordinamento. Dovremmo chiederci se il Tribunale costituzionale federale tedesco, quando si interroga sul fondamento politico delle cessioni di sovranità all’Ue, oltre che sulla legittimità delle scelte della Bce, sia davvero così chiuso e conservatore. Fa male a porsi certe domande? O pone, piuttosto, le domande giuste per la Germania?
E i nostri “custodi” cosa custodiscono realmente? Non il vincolo interno come patto con noi stessi, ma il vincolo esterno, che avrebbe il pregio di disciplinarci contro la nostra volontà, e di renderci migliori. Ammesso che sia accettabile un approccio del genere, siamo sicuri che gli effetti siano positivi, che siamo migliorati? Questo ruolo di garanti dell’euro e del diritto europeo è stato più volte rivendicato, anche di recente, tanto dal presidente della Repubblica quanto da quello della Corte costituzionale. Qualsiasi discorso serio sulle riforme dovrebbe fare i conti con questa realtà, e non postulare un assetto costituzionale che di fatto non vige più. Altrimenti ci si occupa di diversivi.
Il presidente della Repubblica rappresenta sempre di più, a fronte dell’inconsistenza della politica attuale, l’unico centro d’autorità stabile: un centro interventista, che frena, corregge, influenza e alla bisogna indirizza, un “potere neutro” non neutrale, che si colloca oltre l’immagine fortunata del “potere a fisarmonica”, il quale può espandersi sì, se le circostanze lo richiedono, ma entro precisi limiti. Un’autorità dotata di plusvalore simbolico, con un inevitabile corredo di referenti, sostenitori, ventriloqui, interpreti (il “partito del Quirinale”, che non deve presentarsi alle elezioni). Basta ricordare gli esempi più eclatanti di questa torsione politica del ruolo del Quirinale: il veto a Savona, la progettazione “presidenziale” dei governi Monti e Draghi (quelli del “pilota automatico”), con annesso rifiuto di scioglimento delle Camere, benché politicamente delegittimate. Il presidente della Repubblica funge ormai da neutralizzatore della volontà popolare, se questa si spinge troppo in là nel rivendicare la propria primazia sul vincolo esterno. Non a caso, il momento politico che più conta da tempo in Italia, e che è guardato con grande attenzione dall’esterno, è l’elezione del presidente della Repubblica: evidentemente l’ultima autorità politica italiana rimasta, o comunque di gran lunga la più forte. Sull’inquilino del Quirinale si concentrano gli interessi e le manovre di forze interne e internazionali. Non è un caso che al termine degli ultimi due settennati non sia stato possibile eleggere un Presidente nuovo.
Per impostare un dibattito non congiunturale sulle riforme, dovremmo interrogarci sulla reale compatibilità tra la “nuova costituzione economica” di Maastricht (ordoliberale) e la costituzione materiale del 1948, la cui impostazione è invece sociale e lavorista. Il fatto incredibile è che a questa svolta regressiva, portata avanti da una tecnostruttura con precisi interessi e fini ideologici (i Carli, gli Andreatta, i Prodi, i Ciampi, gli Amato, i Cassese), abbiano aderito acriticamente sia i postcomunisti sia i postdemocristiani di sinistra, tradendo la propria base popolare, che infatti li ha abbandonati.
Fonte: Il Fatto quotidiano, 18/11/2023.
FONTE:https://www.lafionda.org/2023/11/18/la-riforma-e-le-vedove-del-pilota-automatico/
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