Gaza: la tregua e forse la svolta della guerra
da PICCOLE NOTE (Davide Malacaria)
La pausa dei combattimenti probabilmente vedrà un rinnovato impegno diplomatico per porre fine al conflitto, ma grande è l’incertezza sul futuro e l’ipotesi che Tel Aviv dismetta la mattanza dei palestinesi resta remota. Inutile, ad oggi fare previsioni, dal momento che può accadere di tutto, sia a Gaza che altrove (il Times riferiva di un piano israeliano per invadere il Libano e altre criticità possono aprirsi a causa della flotta a guida Usa inviata nel Mar Rosso contro gli Houti).
Il Washington Post e la svolta della guerra di Gaza
Resta, però, di interesse un articolo del Washington Post che prospetta una via di uscita dal tunnel, anche se ancora offuscata e incerta: “I funzionari americani e israeliani sembrano vedere avvicinarsi un punto di svolta nella guerra di Gaza. La fase successiva potrebbe essere caratterizzata da una ripresa dei negoziati per il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas e un conseguente cessate il fuoco che durerà diverse settimane, seguito da un graduale ritiro delle truppe israeliane, soprattutto nel nord di Gaza”.
“Importanti funzionari israeliani hanno insistito sul fatto che la guerra durerà ancora ‘mesi’, ma questo è in parte per tenere Hamas nell’incertezza. I leader israeliani sanno che è necessario passare a una nuova fase del conflitto, anche per consentire ai riservisti di lasciare il fronte e tornare al lavoro”.
“La pianificazione israeliana è ancora confusa, ma i funzionari sembrano essere d’accordo con l’amministrazione Biden sui principi fondamentali: una Gaza del dopoguerra dove Hamas non può imporre la propria volontà politica, mentre altri palestinesi, probabilmente l’Autorità Palestinese, si assumono la responsabilità del governo; e [verrà schierata] una forza di mantenimento della pace con il sostegno dei più rilevanti stati arabi moderati”.
“L’amministrazione Biden sta facendo pressioni su Israele per passare a questa fase meno cinetica il prima possibile, idealmente prima della fine dell’anno, per evitare ulteriori vittime civili. Il Dipartimento di Stato ha preparato un documento di circa 20 pagine che delinea i passaggi fondamentali e le opzioni per la fase postbellica. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha resistito in parte a queste pressioni, e alcuni funzionari israeliani parlano di una transizione a gennaio o più tardi, ma c’è un chiaro riconoscimento che una nuova fase è prossimo“.
Ulteriori dettagli nel resto dell’articolo, nel quale si accenna che i soldati israeliani continuerebbero a operare raid mirati nella Striscia che resterebbe sotto il controllo della fantasmatica autorità palestinese e delle forze arabe. In quanto ad Hamas, secondo l’articolo, sarebbe ferito e frammentato, quindi non in grado di riprendere il controllo della Striscia.
Sul punto, un cenno importante: “Anche l’iniziale insistenza di Israele sull’eliminazione di Hamas è probabilmente a un punto di svolta. Dopo più di 70 giorni di duri combattimenti, Israele stima di aver ucciso circa 8.500 combattenti di Hamas. Si tratta di una forza iniziale stimata dalla CIA tra 20.000 e 25.000. Qualunque siano i numeri precisi, un Hamas malconcio probabilmente sopravviverà, magari nascondendosi”.
Non è possibile eliminare Hamas
In sintesi, le operazioni massive sono destinate a breve a terminare, Israele si appresterebbe a ritirarsi dalla Striscia, lasciando in loco presumibilmente dei presidi militari, e soprattutto l’obiettivo di eliminare Hamas è stato abbandonato, in favore di un più realistico obiettivo di eliminarlo dalla scena politica della Striscia.
Scenario fumoso, ma quel che conta è l’insistenza su due punti: la svolta nel processo decisionale della leadership israeliana e il riconoscimento che l’obiettivo di eliminare Hamas è, di fatto, impossibile.
Sul secondo punto resta istruttivo un articolo del Time Magazine: “La promessa di Israele di ‘eliminare Hamas’ non è realistica. Ecco cosa Netanyahu deve riconoscere”; e quanto riporta il Middle East Monitor: “Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha riferito ieri che, a più di due mesi da quando Tel Aviv ha lanciato la sua brutale campagna di bombardamenti sulla Striscia di Gaza, è diventato chiaro che Hamas ha un ‘esercito infinito’ e il sogno di Israele di distruggerlo non è altro che ‘un’illusione’”.
Istruttivo anche quanto scriveva su X Yoav Zitun, cronista del giornale israeliano in questione specializzato in affari militari: “Chiunque annunci l’eliminazione di Hamas/la distruzione di Hamas/la vittoria e la resa di Hamas nei prossimi mesi, mentirà, calunnierà e getterà sabbia negli occhi”.
Peraltro, i costi della guerra, incrementati dal blocco navale imposto degli Houti nel Mar Rosso, iniziano a farsi sentire. Ancora il Middle East Monitor: “Secondo Alternative Poverty Report, l’offensiva militare israeliana a Gaza sta avendo un impatto profondamente negativo sull’economia del paese. Il rapporto annuale ha messo in luce la crescente emergenza socioeconomica e l’aggravarsi della povertà dopo il lancio del costoso attacco israeliano a Gaza”.
Secondo l’istituto; l’offensiva ha “danneggiato in modo significativo il reddito del 19,7% della popolazione israeliana, con il 45,5% che esprime timori di un ulteriore peggioramento delle difficoltà economiche. Incredibilmente, il 100% degli enti di beneficenza dedicati al sostegno dei poveri hanno riferito di non aver ricevuto alcun aiuto dal governo israeliano dall’inizio dell’invasione, nonostante un numero crescente di richieste di assistenza”.
Gravano su Israele anche i caduti e i feriti gravi, spesso resi disabili permanenti, registrati nella campagna di Gaza, che peraltro potrebbero essere molti più di quanti dichiarati ufficialmente (si rimanda a un articolo di The Cradle).
Quotazioni in calo per Netanyahu e ultraortodossi
Sulla possibilità che cambi l’approccio dell’esercito israeliano anche un articolo di Haaretz dal titolo: “L’esercito israeliano intende cambiare la natura della guerra a Gaza entro un mese, ma Netanyahu potrebbe avere altri piani”.
Anche per Haaretz nell’esercito si sarebbe deciso di passare a una fase meno intensiva, dei combattimenti e si starebbe dibattendo su “quando sarà il momento giusto per attuare il cambiamento, se a metà gennaio o alla fine”.
Resta, appunto, la variabile Netanyahu, che intende proseguire la mattanza e spera di poter allargare il fronte del conflitto a Hezbollah e altrove, nel timore che una fase di stallo possa precludere a un cambiamento politico interno, che potrebbe porre fine alla sua carriera politica.
Netanyahu ha tante frecce nel suo arco, sia interne che internazionali. Infatti, può giocare di sponda con i partiti ultra-ortodossi, ma soprattutto può giovarsi del sostegno dei potenti ambiti neocon americani, che lo supportano nella speranza che il suo agitarsi li aiuti a vincere le presidenziali Usa grazie alla stella rinascente della candidata Nikki Haley (a questo dedicheremo un’altra nota).
Peraltro, può giovarsi delle nebulosità delle prospettive future. Infatti, il cambiamento di approccio prospettato dal Wp presenta tante criticità: non è detto che l’Autorità palestinese e i Paesi arabi accettino il ruolo loro assegnato e, se anche accettassero, non è detto che siano in grado di gestire alcunché nella Striscia, che comunque, a quanto pare, rimarrebbe preda di un conflitto a bassa intensità tra Israele e Hamas (quanto bassa, peraltro, è tutto da vedere).
Tali incertezze, appunto, possono offrire nuove opportunità a Netanyahu. Ma che qualcosa stia cambiando, anche nell’opinione pubblica israeliana, lo dicono anche i sondaggi, che vedono crollare le quotazioni dei partiti ultra-ortodossi, ridimensionare il Likud, il partito di Netanyahu, e salire alle stelle le quotazioni di Benny Gantz, che benché sia uno dei responsabili della mattanza di Gaza, potrebbe però favorire una soluzione alla stessa. Resta, nonostante tutto, il più qualificato in tal senso: le alternative sono ancora peggiori del presente. Tanta l’incertezza, tanta la sofferenza. Vedremo.
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