Se la classe inferiore sapesse
DA LA FIONDA (Di Giovanni Peduto)
Cosa sappiamo dei ricchi nel nostro Paese? Quanti sono? Cosa fanno? Quanto guadagnano? La loro ricchezza è una minaccia per lo svolgimento della vita democratica? Il libro di Giulio Marcon, Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezza in Italia[1], ci mostra come siamo ben poco informati sul mondo più agiato di tutti: quello dei ricchi e dei super-ricchi. Lo sfolgorio del denaro rende questa ricchezza spesso visibile, ma la visibilità non garantisce conoscenza.
Le analisi di Piketty, già da anni ormai, hanno tratteggiato un mondo costituito da mostruose disuguaglianze, ‹‹per cui, per chi eredita patrimoni del passato, basta risparmiare una quota anche limitata di reddito del proprio capitale perché quest’ultimo si accresca più in fretta rispetto alla crescita economica nel suo complesso. In tali condizioni, è pressoché inevitabile che i patrimoni ricevuti in eredità prevalgano largamente sui patrimoni accumulati nel corso di una vita di lavoro, e che la concentrazione del capitale raggiunga livelli assai elevati, potenzialmente incompatibili con i valori di meritocratici e i principi di giustizia sociale che costituiscono il fondamento delle nostre moderne società democratiche››[2].
La concentrazione della ricchezza è così elevata che si configura ormai come un destino: chi ha, avrà; chi non ha, beh, farebbe bene a mettersi al riparo! La società si irrigidisce, si sclerotizza in una sorta di regime neofeudale e oligarchico. L’idea democratica di civiltà che abbiamo ereditato dal passato, secondo cui ogni uomo è (dovrebbe essere) parte attiva e costituente per l’intera comunità, è svuotata di senso dinanzi ad un tale accentramento di potere e di ricchezze. Per Luciano Gallino assistiamo alla ‹‹più grande operazione di trasferimento di reddito e ricchezza dal basso verso l’alto – in altre parole di sfruttamento – che la storia abbia mai conosciuto. Un’operazione iniziata secoli addietro con le imprese coloniali, poi interrotta un paio di volte in alcuni Paesi nel corso del Novecento, per conoscere infine una formidabile accelerazione dagli anni ’80 ai giorni nostri. Si è inoltre appena ricordato che l’intreccio di economia e politica su cui esso si regge ha pressoché svuotato di senso il processo democratico››[3]. E in Italia cosa succede?
Al lettore che non ha familiarità con la letteratura socioeconomica degli sciagurati tempi presenti, sembreranno sconvolgenti le considerazioni di Piketty e Gallino sullo svuotamento della democrazia, sull’accentramento senza precedenti di così tanta ricchezza in poche mani, tuttavia, si consoli – non è colpa sua. Il libro di Marcon inizia proprio con l’analizzare le ragioni dell’assenza di un dibattito pubblico e consapevole sul tema in Italia. Si pensi al fatto che addirittura negli Stati Uniti, burattinaio di questo teatro da strada, il tema è discusso apertamente e pubblicamente.
Perché è così difficile parlarne in Italia? Per tre ragioni secondo Marcon: 1) aspetti religiosi e culturali, 2) mancanza di informazioni e 3) concreti interessi economici[4]. La prima ragione è da ascrivere alle profonde radici cattoliche del nostro Paese: per il cattolicesimo la ricchezza è uno stigma da condannare. Da ciò si genera un atteggiamento generalmente omissivo e colpevolizzante verso la ricchezza. Sulla seconda, invece, occorre fermarsi un attimo. Pullulano, infatti, in Italia i dati sulla povertà, possibile che sui ricchi non ci sia niente? Le fonti ci sono, ma sono poche e lacunose: la Banca d’Italia e l’Istat redigono periodicamente un’indagine sulla ricchezza delle famiglie e delle società finanziare, tuttavia, si tratta soltanto di uno studio campionario. Lo stesso si verifica per il rapporto dell’Istat sui consumi, le condizioni di vita e i redditi delle famiglie. Non si dispone, inoltre, di alcuna anagrafe patrimoniale. La terza ragione, invece, più banalmente – si fa per dire, dipende dall’elevatissima evasione fiscale. I ricchi e i superricchi non hanno alcun interesse a far emergere i dati delle proprie ricchezze, visto e considerato che cercano da tempo di occultarle allo Stato e al fisco. Un dato inquietante, riportato da Marcon, riguarda il cosiddetto tax gap, ossia, la differenza tra le tasse che lo Stato avrebbe dovuto incassare se tutti avessero rispettato la legge e quelle effettivamente incassate. La cifra arriverebbe a 103 miliardi di euro per il solo periodo 2017-2019[5].
Altri dati angoscianti riguardano l’economia sommersa, il cui valore, per il solo 2022, si aggira intorno ai 184 miliardi euro. A questo poi, va aggiunto il fatturato generato dalla criminalità organizzata. La mafia avrebbe prodotto un giro di affari per 140 miliardi. In confronto a questi numeri, le tanto sofferte leggi finanziarie dei governi, con “modestissime” cifre di una ventina di miliardi, sembrano risibili.
Al di là di sottigliezze teoriche, due sono le ovvie variabili da prendere in considerazione per quantificare la ricchezza: i patrimoni e il reddito. Per il primo, nel 2022, Credit Suisse, definendo come ricchi coloro che dispongono di un patrimonio netto di almeno 1 milione di dollari e super-ricchi quelli che superano i 100 milioni di dollari, ha individuato in Italia 3930 degli 84490 super-ricchi di tutto il pianeta. Per il 2026, l’istituto in questione prevede un aumento del numero dei ricchi in Italia del 18%, arrivando alla soglia di 1 milione 672 mila individui[6].
Anche dal punto di vista del reddito, le stime sembrano rimanere invariate: il 10% dei più ricchi detiene il 32,2% del reddito totale. Marcon chiosa, commentando questi dati: ‹‹L’1% più ricco della popolazione (circa 500mila persone) detiene tra il 22 e il 24% della ricchezza totale››[7]. Dal punto di vista del reddito, ‹‹Il 20% più ricco della popolazione è 6 volte più ricco del 20% più povero del nostro Paese. Il 20% dei percettori dei redditi più alti detiene il 40% della torta complessiva dei redditi nazionali, mentre il 20% dei percettori dei redditi più bassi ne detiene solo il 6,6%››[8].
A questi numeri imbarazzanti e offensivi per chi nel nostro Paese fatica ad arrivare a fine mese, si aggiungono poi le due brillanti e inquietanti inchieste dei Panama Papers e dei Pandora Papers, entrambe citate e commentate da Marcon. Si tratta di inchieste da Premio Pulitzer: nella prima, sono stati esaminati milioni di documenti che hanno certificato lo spostamento di massicce somme di denaro in paradisi fiscali tramite società off-shore da parte di oltre 200 mila aziende di tutto il mondo. ‹‹L’illegalità e l’evasione fiscale sono considerate parte della competitività››[9]. Con la seconda inchiesta, del 2021, è emerso che oltre 35 capi di governo e 300 funzionari pubblici e molte star internazionali hanno spostato denaro nei paradisi fiscali.
Il discorso di Marcon, a questo punto, si approfondisce, prendendo una piega storica e concettuale. Che differenza c’è tra le élite di ieri e quelle di oggi? Discutendo con i lavori di Lasch e Azzolini, Marcon individua la principale differenza nella rinuncia dell’odierna iperclasse mondiale a farsi gruppo dirigente: ‹‹hanno smarrito la caratteristica di classe dirigente per diventare meramente un gruppo di interesse o di potere››[10]. Questa élite ‹‹dominano il mondo senza esercitare una direzione intellettuale e morale, ma al massimo con un’abile e morbosa narrazione ideologica che, più che creare consenso, colonizza l’immaginario collettivo››[11].
Si tratta tutt’al più di neo-corporazioni, il cui scopo è creare un consenso ideologico intorno ai loro privilegi. La filantropia, il mito dell’innovazione, la rivendicazione di conferire a molte persone un posto di lavoro e, ad essi collegati, i miti dell’individualismo sfrenato, del self-made man, che con costanza e impegno può riuscire in ogni impresa, vanno tutti nella direzione di una legittimazione sociale di questo vergognoso accumulo di ricchezze.
In Italia, secondo Marcon, l’élite è ‹‹una sorta di massoneria “a sua insaputa”. Non si tratta solo di salotti, di ristoranti e club esclusivi. O di sette segrete come la P2, la P3 e la P4. È un sistema strutturale consolidato che investe i rapporti tra ricchi imprenditori, politici, militari, magistrati, giornalisti, docenti universitari e forse qualche cardinale››[12]. Si sono consolidati in Italia piccole oligarchie di possidenti che decidono del destino di milioni di persone. Non si tratta di complottismi, ma di “semplici” individui ricchissimi che, per continuare ad arricchirsi, necessitano di entrare in buoni rapporti con altri individui ricchissimi. La politica può costituire spesso un ostacolo a tale scopo e bisogna, perciò, cercare di indirizzarla.
Che fare, dunque, in una tale situazione? Il primo passo, per Marcon, è conoscerla bene. Per questo scopo gioverebbe senz’altro la creazione di un’anagrafe patrimoniale, che potesse incrociare le informazioni delle diverse banche dati. In secondo luogo, bisognerebbe lottare per ottenere una nuova politica fiscale che favorisca la progressività delle imposte, sulla scorta del vecchio principio secondo cui chi più ha, più contribuisce alla spesa comune. Introdurre poi una legislazione che possa limitare i conflitti di interessi, il fenomeno delle cosiddette revolving doors.
Il miglior modo per diventare ricchi in Italia resta, a tutt’oggi, quello di nascere ricchi, conclude Marcon[13]. Si tratta di un libro importante, perché ci fornisce le parole e i fatti oggettivi che ci permettono di non cadere nella propaganda legittimante lo status quo. Nell’ultimo paragrafo di Finanzcapitalismo, uno dei capolavori di Gallino, l’autore presenta come uno dei grandi limiti all’incivilimento di questo Moloch, che è il capitalismo contemporaneo, la colonizzazione della coscienza degli individui con i valori propagandati dalle oligarchie. Si tratta della ‹‹totale interiorizzazione della razionalità neoliberale nella struttura della personalità. Il modello calcolatorio e contabile dell’uomo economico non permea in esse soltanto l’io, l’istanza preposta a perseguire razionalmente gli scopi. Ha plasmato al tempo stesso l’es, le pulsioni istintuali, da un lato; e, dall’altro, le istanze morali, comprese quelle di ascendenza religiosa, che formano il super-io. Per questo gli va attribuita la complessione di una fede››[14].
Contro questa fede cieca e terribile Marcon cerca di portare fatti e numeri.
[1] G. Marcon, Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezza in Italia, People, Busto Arsizio 2023.
[2] T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2020, p. 51.
[3] L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denario in crisi, Einaudi, Torino 2021, pp. 298-299.
[4] Cfr. G. Marcon, op. cit., p. 20.
[5] Cfr. Ivi, pp. 34-35.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 42.
[8] Ivi, p. 201.
[9] Ivi, p. 90.
[10] Ivi, p. 55.
[11] Ibidem.
[12] Ivi, p. 58.
[13] Cfr. Ivi, p. 140.
[14] L. Gallino, op. cit., p. 323.
FONTE: https://www.lafionda.org/2024/01/09/se-la-classe-inferiore-sapesse/
Commenti recenti