La salute dai Sud. Un diario dall’Argentina
di GLI ASINI (CSI – Centro di salute internazionale e interculturale)
Tra il 7 e l’11 Aprile a Mar del Plata (Argentina) si è tenuta la 5° Assemblea mondiale per la Salute dei Popoli (People’s Health Assembly). Questo evento ha fatto convergere più di 600 attivisti e attiviste per la salute da più di 60 paesi del mondo. Hanno partecipato tantissime organizzazioni di base, rappresentanti dell’accademia, di comunità indigene e di popoli originari, operatrici e operatori dei servizi di salute, studentesse e studenti e molte altre soggettività individuali e collettive.
L’assemblea si è articolata su cinque assi: Resistenza alla migrazione forzata e alla guerra; Promuovere saperi e pratiche ancestrali e popolari; Giustizia di genere nella salute; Verso la trasformazione dei sistemi di salute; Salute degli ecosistemi: alimentazione, energia e clima.
Delia
Si respira un clima molto diverso dalle solite conferenze accademiche. Al posto dei professori con liste di pubblicazioni infinite ci sono attiviste e attivisti che hanno costruito il loro sapere attraverso la pratica; i paradigmi della biomedicina e del sapere accademico sono messi da parte e si apprende e ci si fa ispirare dal sapere situato ed esperienziale; è come se finalmente riuscissimo a trovare uno spazio concreto, un terreno di pratica di tutto ciò che per anni ha orientato le nostre riflessioni teoriche e le nostre scelte strategiche e politiche.
Si è discusso di modalità di coinvolgimento e “attivazione o organizzazione comunitaria” in contesti di oppressione strutturale. Abbiamo condiviso la necessità di pratiche volte alla decolonizzazione dei sistemi sanitari, delle università e delle nostre menti, che ad oggi ancora si basano su un pensiero limitato, positivista e cartesiano, che non ci permette di cogliere la complessità di ciò che ci circonda e di collegarci con l’universo in cui siamo immerse. Per questo, abbiamo imparato l’importanza del riconoscimento dei saperi ancestrali e popolari, di capire che cosa intendiamo quando ci riferiamo alla lotta per il buen vivir, trovando modi per lottare anche per i diritti di ciò che abbiamo di più caro, la natura che ci circonda.
Le assemblee e le plenarie si chiudono con cori e canti di resistenza, il ricordo delle e dei rappresentanti del movimento che non ci sono più, momenti di silenzio per le vittime dei conflitti, del colonialismo, dell’imperialismo e del patriarcato, e manifestazioni collettive, come la panuelada, in cui non riesco a trattenere le lacrime.
Si respirano solidarietà e sorellanza contagiose, ma si sente in sottofondo un sapore amaro, una sensazione di preoccupazione e la presa di coscienza del clima che ci circonda: malgrado le nostre forze e il nostro attivismo, le ingiustizie e le violenze sono all’ordine del giorno, i genocidi continuano ad avvenire indisturbati e il capitalismo e l’imperialismo cavalcano l’onda dei nuovi governi di estrema destra.
Per noi del Nord del mondo è un’occasione per riconoscere i privilegi dell’essere in un paese in cui il diritto alla salute è pressoché garantito, ma anche la consapevolezza della precarietà di questo privilegio a causa dell’avanzare di politiche neo-liberali e imperialiste che abbiamo già esportato in tutto il mondo. È un’occasione anche per rendersi conto della limitatezza dei nostri saperi che tanto riteniamo verità assolute, e la nostra impreparazione e inesperienza nelle pratiche di resistenza. In altre parole, l’assemblea è stato un modo per apprendere dal basso, dalle pratiche del Sud del mondo, che, oltre a farci vedere cose nuove, richiamano la nostra attenzione su storie e riflessioni che noi abbiamo dimenticato, come nel caso del pensiero basagliano, che qui, in America del Sud, è ancora molto vivo.
Mentre al Nord del mondo si sviluppano politiche contro i diritti umani, si contribusce alla generazione di guerre e occupazioni di matrice coloniale, e si consolidano confini esterni e interni (che ci portiamo dentro anche noi); il Sud Globale si oppone a governi di estrema destra, scende in piazza per garantire il diritto alla salute nella forma più ampia, e tramite i movimenti eco-femministi resiste a pratiche violente di oppressione mentre contribuisce alla ricostituzione degli ecosistemi, prendendosi cura anche di noi.
Ci siamo quindi fatte contagiare da questi attivisti, abbiamo condiviso rivendicazioni, pianti, e canti di resistenza, e costruito un piano collettivo con azioni concrete che intendiamo portare avanti insieme
Martina:
“Somos el sueño el eco ancestral, la Madretierra que abrazamos”
Durante l’assemblea ho partecipato principalmente alle sessioni sui saperi e pratiche ancestrali e popolari, e sulla salute degli ecosistemi. Erano presenti tantissime persone, figure terapeutiche, parteras e comadronas, docenti universitarie, insegnanti e attiviste di diverse comunità indigene dell’Abya Yala (continente americano) e non solo, operatrici e operatori dei servizi di salute. Sono stati incontri potentissimi, alcuni dei quali organizzati in cerchio, dove ho potuto ascoltare, “sentire” e abitare una visione di salute diversa da quella a cui siamo abituate in Italia e in Europa, ristretta alla cura della malattia e al mito dello stile di vita sano.
Una prima cosa che ho imparato è che non si comincia mai senza parole e gesti di ringraziamento verso chi è venuto prima di noi e ci permette di essere qui. E verso la Madre Terra e gli elementi, il fuoco, l’aria, l’acqua e il vento, per darci la Vita e la Salute.
Il corpo è stato protagonista della condivisione dei saperi e delle esperienze attraverso l’invito a guardarsi negli occhi, le lacrime, i gesti, i movimenti, i suoni, le energie e le vibrazioni. Ho sentito quanto abbiamo (disperatamente) bisogno di un sapere sulla salute che riconnetta ricucia e tenga insieme la complessità che siamo e in cui viviamo. Un sapere che non si coglie tanto attraverso lo studio e l’analisi ma che si vive, costruendo e coltivando contesti locali e internazionali di esperienza e scambio.
Uno dei cerchi di parola che ho seguito si è focalizzato sul tema del parto. In tante comunità native del Sud America e del mondo il parto è storicamente seguito per lo più da donne che si tramandano questo sapere sul corpo di generazione in generazione, con un alto livello di competenze. Mi è rimasta impressa questa scena: quasi alla fine di una sessione, la facilitatrice ha chiesto se qualcuna/o del pubblico volesse condividere qualcosa e decine e decine di persone sono intervenute per dire il nome con cui vengono chiamate le parteras in altri paesi e per raccontare come avviene il parto nella propria comunità. Parteras poi è un termine riduttivo perché le loro competenze vanno ben oltre il parto e riguardano la salute della donna a 360 gradi. Oggi in molti Paesi questo sapere non viene riconosciuto dalle politiche sanitarie. Il parto viene ovunque sempre più medicalizzato, considerato alla stregua di una malattia. Per fortuna, in alcuni contesti, come in Chiapas e nello Yucatan (dove le parteras curano più della metà delle nascite), si sperimentano forme di collaborazione tra figure tradizionali e servizi di salute, cercando una complementarietà dei saperi e un arricchimento reciproco.
“I saperi ancestrali e popolari sono la radice e la direzione”. Mi sono appuntata questa frase nel quaderno e ora non ricordo più chi l’ha detta, e forse non è così importante. Questo pensiero mi conforta e ritorno con la sensazione che i saperi ancestrali e popolari siano saperi vivi, vari e attuali. Mi chiedo quale possa essere per noi, in Italia e in Europa, il riferimento culturale e come tutto ciò possa dialogare con una pratica di salute pubblica e collettiva.
“No se puede hacer ecología sin comprender la espiritualidad” leggo nel volo di ritorno in un libricino che ci hanno dato delle compagne della rete Laicrimpo Salud, in cui hanno tradotto un’intervista fatta all’etnologo e psicoterapeuta Holger Kalweit, e penso che questa frase condensa tanti dei pensieri che ho ascoltato e delle riflessioni che ho fatto in questi giorni. Una pratica ecologica ed ecologista senza spiritualità è mera “gestione del verde”, ridotta a oggettificazione delle altre forme di vita che convivono con noi.
Francesca
È difficile trasferire nelle parole (e condensare in poche righe) la ricchezza di stimoli ed esperienze sentite con tutti i sensi nei giorni della quinta Assemblea mondiale per la Salute dei Popoli. Come in ogni traduzione, qualcosa verrà perduto, ma tanto del patrimonio appreso cercheremo di farlo nostro: nella nostra quotidianità, nei progetti in cui lavoriamo e negli spazi che con le nostre compagne abitiamo e costruiamo.
Partiamo dai sensi dei nostri corpi, ampiamente sollecitati dalle centinaia di persone e storie che hanno attraversato l’assemblea. L’udito: il senso normalmente più all’opera nelle conferenze che in questa occasione è stato arricchito da nuovi suoni; accanto alle preziose parole di attivisti e accademiche, infatti, abbiamo ascoltato canti di ringraziamento alla Madre Tierra e canti di lotta per la liberazione da molte oppressioni (del patriarcato, dell’inquinamento, del sistema coloniale). L’olfatto: tra le protagoniste di questi giorni, le piante saludables variamente profumate provenienti da molte zone di questo Sud che tante soggettività, sia individuali che collettive (come Laicrimpo Salud e Red Jarilla), hanno portato, narrando le loro proprietà e gli usi nella cura delle persone e nella loro relazione con la terra. Il tatto: non avevo mai visto così tante persone abbracciarsi ed esprimere la propria sorellanza e solidarietà con un coinvolgimento così attivo dei corpi! Abbracci di ringraziamento tra vecchi compagni e compagne per la strada fatta insieme, mani congiunte al cielo per cantare di connessioni indissolubili con la Madre Terra e di liberazione dai sistemi di oppressione. Il gusto: l’alimentazione è potentemente al centro della salute integrale, che abbraccia l’intero ecosistema e che parte da un nutrimento sostenibile per tutte le forme di vita e giusto sotto il profilo ambientale e dei diritti delle lavoratrici. Il legame tra salute e alimentazione, all’interno di una prospettiva sistemica e ancestrale, è così forte che alcune oratrici hanno ricordato come i contadini de La Via Campesina o del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra siano le prime lavoratrici della salute. Così come quello alla salute, dobbiamo lottare per il diritto a un’alimentazione salutare e sostenibile. Infine la vista: oltre alla ricchezza dell’eterogeneità di corpi con forme e abiti diversi da quelli a cui siamo abituate, gli occhi si sono posati su bandiere e panuelos che attivisti da tutto il mondo hanno portato per condividere le proprie lotte. Gli stessi occhi, però, si sono riempiti di lacrime amare in più occasioni, a partire da quella della sessione di apertura dell’Assemblea dedicata alla Palestina. Alle attiviste palestinesi che, pur con enormi sforzi, avrebbero voluto partecipare all’evento del PHM, non è stato concesso il visto d’ingresso in Argentina. Nonostante la loro pesante assenza, la solidarietà e il supporto al popolo palestinese sono stati gridati incessantemente.
Parlare di salute mentre si compie un genocidio come quello in Palestina è fondamentale: come insegnano le comunità custodi dei saperi popolari e ancestrali e come è stato richiamato da importanti studiose e studiosi (tra cui l’epidemiologo critico Jaime Breilh), la salute è vita nella sua complessità, è trasformazione profonda verso un’agroecologia della vita stessa ed è indistricabilmente legata alla lotta per la trasformazione di sistemi di potere ingiusti e capitalistici verso nuove forme di vita all’insegna del buen vivir. Si tratta di insegnamenti impellenti in tanti, tantissimi territori, a partire dall’Argentina. Abbiamo osservato con rabbia e tristezza l’altissimo numero di persone che vivono per strada, che sono solo una parte delle persone che vivono in condizioni di povertà, ascoltato i racconti preoccupati sull’aumento clamoroso dei prezzi, sul mancato adeguamento o sui tagli dei finanziamenti pubblici a settori essenziali come quello dell’istruzione.
Tra le parole che hanno scandito le giornate, biodiversità e cura hanno risuonato più spesso. Biodiversità significa riconoscere e fare spazio alla ricchezza palpitante attorno a noi in tutte le sue manifestazioni e forme, tanto quelle del mondo vegetale quanto quelle del mondo umano. Rispettare questa biodiversità implica, ad esempio, valorizzare e condividere tutti i saperi (situati, esperienziali, accademici, professionali, ancestrali, ecc.) ascoltandoli con rispetto, senza arroganza o squalificando le altre visioni. Questo riconoscimento presuppone l’esercizio di una facoltà essenziale quale l’ascolto profondo, e la consapevolezza che in ogni momento tutte possiamo apprendere e insieme insegnare. L’ascolto è anche al centro della produzione di cura, attorno alla quale lottiamo per costruire una diversa società che riconosca il diritto alla cura in tutte le sue sfaccettature: a curare senza sfruttamento, ad essere curate, ad auto-curarsi e, anche, a non essere curate. Sindacalisti e lavoratori hanno rivendicato una responsabilità pubblica e collettiva di fronte a questo bisogno e diritto (“if care is valued, it has to be public!”) affinché la cura sia garantita a tutti, affinché il lavoro svolto (quasi sempre) dalle donne sia retribuito e affinché la redistribuzione di questo carico tra le mura domestiche ed altre entità (come lo Stato) porti a una de-femminilizzazione di questo lavoro.
La spinta potente a una ricomposizione di tante lotte sotto un unico tetto, quello della lotta per il buen vivir come salute per tutti e tutte, è il seme più prezioso che ci portiamo a casa, in un Nord dove le tensioni tra diverse mobilitazioni ci frammentano. Come scandito all’Assemblea, all’interno di un mondo letteralmente in fiamme abbiamo un orizzonte comune che ci costringe a camminare: non è tempo di guardare alle differenze secondarie, ma a ciò che ci accomuna.
FONTE:https://gliasinirivista.org/la-salute-dai-sud-un-diario-dallargentina/
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