Il non voto come forma di opposizione costituzionale
DA LA FIONDA (Di Umberto Vincenti)
Queste elezioni europee – dell’UE, dell’Europa unita, della Renew Europe, degli Stati Uniti d’Europa ecc. – sono un’autentica arlecchinata. Nei vari Stati si è votato in date diverse, anche in ore diverse; in certi si è votato in un giorno, in altri in mezza giornata o poco più e in Italia (bella figura …) in due giorni; in alcuni si è votato anche per corrispondenza (o simili), in altri (Italia) solo se in presenza, a un seggio, con la scheda elettorale in mano ed esibita per il sacro timbro; e, siccome esistono in UE ancora Stati coloniali, si è anche votato per l’Europa in territori d’oltreoceano (Caraibi francesi). Quando gli Italiani stavano votando, erano noti e diffusi i risultati dei Paesi che lo avevano già fatto. Completiamo il purpuri introducendo quest’altro pezzo della mascherata elettorale europea: vi sono Paesi (Belgio, Bulgaria, Cipro, Grecia e Lussemburgo) nei quali vige l’obbligo giuridico del voto, anche se non sanzionato o blandamente sanzionato. Tutto ciò vorrà dire qualcosa o no circa il sogno europeo?
Ora concentriamoci su quel che più conta – o che per noi dovrebbe contare di più – vale a dire la valenza del voto europeo in Italia. L’astensionismo ha oltrepassato la soglia – non solo simbolica – del 50%. Il trend indica negli anni la progressiva, costante, discesa del numero dei votanti, particolarmente nelle elezioni europee. E il dato va anche arricchito con quel che solitamente non gli si aggiunge per opportunismo: alludo alle schede bianche oppure deliberatamente invalidate. Il quantum conseguente a quest’arricchimento non lo conosciamo ancora. Comunque arrotonderebbe quel 50,4% di astensionismo (anche se si preferisce, retoricamente, dare la notizia riferendosi ai votanti, 49,6%: l’ottimismo del bicchiere mezzo pieno).
Vero che chi vota scheda bianca o invalida la scheda con modalità diverse (e variopinte) pur si reca al sacro seggio: questa presenza non è insignificante, ma cela una sorta di rispetto verso le istituzioni o, anche, di timore di venir annotati in qualche lista di ‘cattivi’ cittadini. Non si sa mai. D’altra parte, anche il non andar al seggio – la diserzione radicale – ha motivazioni diverse, che meriterebbero analisi approfondite e, soprattutto, divulgate al livello dell’opinione pubblica. Così uno può decidere di disertare le urne perché si avverte, più o meno inconsultamente, slegato dalla comunità o collettività: insomma crede di essere veramente libero e indipendente e si culla di questa mitologia solipsistica. Oppure può anche darsi che uno se ne stia a casa perché non prova alcun interesse verso la dimensione politico-partecipativa. O ritiene inutile votare perché l’elettore sarebbe quasi un beota strumentalizzato dalle elites che se ne servono. E via di questo passo.
Però andiamo indietro negli anni: in Italia nel 1979 votò l’85,65%, nel 1984 l’82,47%, nel 1989 l’81,07%, nel 1994 il 73,60%, nel 1999, il 69,73%, nel 2004 il 71,72%, nel 2009 il 65,05%, nel 2014 il 57,22%, nel 2019 il 56,1%. E questo trend lascia intendere che, se l’8 e il 9 giugno, da noi ha votato meno del 50 % non è perché siano aumentati a dismisura gli individualisti, i solipsisti, i liberi, gli indipendenti, gli indifferenti, i disinteressati, gli slegati dalla collettività. Costoro ci sono e ci saranno sempre; ma è verosimile che essi, pur nella variabilità percentuale (da verificare), costituiscano comunque minoranze esigue, per così dire fisiologiche in qualunque processo elettorale.
Allora l’ipotesi più plausibile è che gli astensionisti siano, in larga parte, indotti dalla sfiducia, spesso dal disprezzo, verso le istituzioni – particolarmente quelle europee – e, ancor più, verso i rappresentanti. Il non-voto – espressione più corretta perché include anche chi vota scheda bianca o la invalida – manifesta una volontà politica anti-sistema, che è (molto) comodo menzionare il giorno dopo l’election day e poi dimenticarsene: un vuoto di memoria che accomuna vittoriosi e sconfitti di qualsiasi tornata elettorale. Ecco il leit-motiv: errore grave il non-voto perché quelli, gli eletti, se ne infischiano e fanno tranquillamente i loro giochi. Vero: nel contingente, è così.
Ma dobbiamo anche alzare lo sguardo dalle miserabili imposture del potere e provare a capire meglio, in una prospettiva sia sistemica che storica. Anzitutto dovremmo cominciare con l’evidenziare, data l’ampiezza dell’option for no votes, la sua valenza più rilevante: tanto più essa cresce quanto più è in crisi l’assetto politico fondato sulla partecipazione al voto da parte dei cittadini. La crisi è indubbiamente del sistema e i players ne possono ben prescindere perché loro continuano a giocare egualmente; ma giocano male e l’indice è appunto la lievitazione del non-voto. Ciò inficia l’effettività della democrazia, che non può prescindere dalla larga partecipazione popolare alle votazioni dei rappresentanti. Sofisticamente o causidicamente si può anche sostenere – come si sostiene comunemente – che la democrazia non è in discussione se a tutti sia dato il diritto di votare; e che, se la maggioranza, non votasse – come non ha votato l’8 e il 9 giugno in Italia – il sistema resta comunque integro e, anzi, funziona regolarmente perché tutti hanno o potevano procurarsi la tessera elettorale.
Ma è proprio così? No. Si impone una certa misura perché il sistema non solo possa funzionare come una democrazia, ma anche perché possa esserlo in concreto. Non basta che tutti si vedano legittimati alla partecipazione; occorre una maggioranza, aggiungerei corposa, che partecipi. Se al contrario partecipa una minoranza, si affaccia il dubbio circa la legittimazione dello stesso sistema. Se poi a partecipare sia una minoranza via via più stretta, il sistema non solo evidenzia la sua crisi, ma è come insolvente: non è più in grado di adempiere alle obbligazioni di governo che, come sistema democratico, assume verso la comunità o collettività: esso fallisce o si trasforma in qualcosa di diverso, in un altro sistema.
Ci stiamo avviando in questa direzione? Non è da escludere, anzi le premesse ci sono tutte. D’altronde, la storia è movimento e le cose, come i sistemi politico-costituzionali, cambiano. Ai partiti e ai governanti dell’oggi non interessa minimamente cogliere il movimento della storia, ossessionati come sono dal presentismo e dai loro interessi egoistici di potere e di spartizione del potere. Come oggi siamo ridotti, non potrebbe essere diversamente: chi il potere ce l’ha pensa solo a mantenerlo e chi non ce l’ha a conquistarlo. Il formalismo procedurale, che asservisce le nostre vite illusoriamente libere, è là per salvaguardare il sistema anche laddove esso diventasse grottesco. E su questo si confida, da una parte come dall’altra.
Attenzione però. Se il popolo continuasse ad estraniarsi, se a votare fosse, che so, il 40 o 30%, la questione difficilmente potrebbe ignorarsi. Allora al non-voto occorre guardare con rispetto ed evitare di perdersi in valutazioni sminuenti: non serve a nulla, decideranno gli altri per te, anche votassero in pochi il sistema andrebbe avanti alla stessa maniera. Non è così, almeno una prospettiva di medio-lungo periodo. Il non-voto è una prerogativa riconosciuta dal sistema; e, si è visto, esso esprime il dissenso. Possiamo concludere, formalizzando, che esso è una forma di opposizione costituzionale, il cui intento è, in larga misura, quello di ricondurre il sistema, ritenuto deviato, sulla retta via. Penso che, in Italia, il non-voto celi la profonda disistima dei rappresentati verso il ceto dei rappresentanti, prima che ancora che verso le ideologie veicolate dal sistema.
I partiti o movimenti sono in grado di porre rimedio a questa avvertita inidoneità delle persone che incarnano la dirigenza politica. Se lo faranno, è possibile che la percentuale dei votanti cresca. Il non-voto sottende la ricerca di un nuovo ordine: lo desidera fortemente. Il primo passo per scongiurare pericoli è quello di affidarsi a uomini e donne nuovi, all’altezza in tutti i sensi. Purtroppo, queste ultime elezioni non sembrano averci offerto speranze di tal genere. Anzi, il contrario.
FONTE:https://www.lafionda.org/2024/06/11/il-non-voto-come-forma-di-opposizione-costituzionale/
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