Il golpe da operetta che ci ricorda quanto è importante la Bolivia
di INSIDE OVER (Francesca Salvatore)
27 GIUGNO 2024
Nella tarda serata (italiana) di ieri, La Paz aveva cominciato ad agitarsi. Il presidente Luis Arce aveva, infatti, denunciato “mobilitazioni irregolari di alcune unità dell’Esercito”. Da lì, il sospetto di un plot molto comune in America Latina: un golpe militare con tutti i sacri crismi. La tensione si spande dalle Alpi alle Piramidi, fin quando la trama diventa chiara: l’ex comandante dell’Esercito boliviano, Juan Josè Zuniga, con un centinaio di soldati, fa irruzione nel palazzo del governo dove si trova riunito il presidente con l’intero gabinetto. Arce, dapprima lancia un appello alla popolazione, poi immediatamente nomina i nuovi vertici dell’esercito che richiamano all’ordine i soldati. Nel giro di poco, i militari sgomberano piazza Murillo, invasa da boliviani in festa. Zuniga, a capo del tentato golpe, viene arrestato. Ed è tutto già storia. Josè Wilson Sánchez Velásquez è il nuovo comandante generale dell’esercito, l’uomo che dovrebbe frenare gli “appetiti incostituzionali“.
Un colpo di certo non da maestro, alquanto raffazzonato, a tratti rocambolesco e impacciato: Zuniga, infatti, non ha resistito oltre le tre ore nella sua epica impresa, per poi farsi condurre in arresto, scortato in un blindato. Un’uscita ingloriosa durante la quale avrebbe dichiarato che il mandante fosse proprio Arce, desideroso di pompare la propria popolarità. Beh, non sarebbe di certo il primo.
Ma chi è Zuniga, il pavido generale del golpe delle tre ore? «Il generale del popolo», come viene definito dai media locali, è noto per la sua vicinanza al settore minerario e sindacale. In passato, tuttavia, è stato accusato di aver distratto 400.000 euro di fondi pubblici quando comandava un reggimento di fanteria. Nominato capo dell’esercito dallo stesso Arce due anni fa, il generale venne accusato qualche mese dopo da Evo Morales di essere il leader di una conventicola all’interno dell’esercito – i “Pachajchos” – rei di una «persecuzione permanente» a danno di leader politici.
Già alle prime battute del golpe mutilato, questa notte, era chiaro come dall’Europa all’America latina, passando per Mosca, nessuna potenza plaudeva al colpo di Stato in Bolivia, e di certo non per riverenza politica verso Arce. Per comprendere questo atteggiamento, occorre guardare a ciò che rappresenta la Bolivia di oggi.
Assieme ad Argentina e Cile, la Bolivia costituisce il “triangolo del litio“, l’oro dei nostri tempi, che detiene oltre il 56% di tutto il litio mondiale. Fra le tre, La Paz è la fonte principale delle riserve di litio del globo – quasi il 24% delle riserve mondiali. Ed è attorno a questa terra rara che la politica domestica ed estera della Bolivia si torce e si contorce almeno fin dal 2019, con una serie di tumulti che esplosero nella destituzione di Morales e nell’entrata in carica di Jeanine Áñez, dopo che il presidente boliviano aveva messo i bastoni fra le ruote alle grandi corporation occidentali e americane, cancellando un accordo con la tedesca ACISA per lo sfruttamento del litio in quel di Potosí.
Poi, poco meno di un anno fa, poi, l’ambasciata boliviana a Mosca aveva pubblicato una nota ufficiale nella quale esprimeva il desiderio del Paese sudamericano di aderire al gruppo BRICS. Una mazzata nel bel mezzo del “cortile di casa” americano. Non solo, ma una pessima notizia per qualsiasi Paese con mire eventuali su una delle più grandi miniere a cielo aperto del mondo. Ergo, chi mette le mani sulla Bolivia ha la possibilità di intestarsi una catena di approvvigionamento potente nonché la transizione energetica che di terre rare si nutre.
Su questa ricchezza immensa, si sono allungate le spire del Dragone, affamato di litio, che qui ha stretto importanti accordi. Ma Pechino ha trovato soprattutto un Paese che sta affrontando una crisi economica e finanziaria fra le peggiori del suo passato recente. La crescita del PIL è ai minimi degli ultimi vent’anni, l’inflazione galoppa come la disoccupazione, la recessione economica si aggrava sempre più. La Banca centrale è a corto di valuta estera, soprattutto dollari, fondamentali per la stabilità finanziaria e la calmierazione della volatilità sul mercato. I ripetuti scandali nel settore energetico non facilitano le riforme economiche tanto necessarie. Da questo punto di vista, la Bolivia sembra perfettamente calata nel ruolo di traballante potenza periferica che è finita per diventare fondamentale nella partita tra Occidente, Russia e Cina. A questo si aggiunge il fatto che Pechino domina ormai il mercato sudamericano di pannelli solari, batterie e veicoli elettrici, con ovvie conseguenze politiche. Da Washington, un preoccupato Joe Biden, in campagna elettorale, osserva con grandissima inquietudine.
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