L’Attentato a Trump e il rischio di violenze civili in America
DA LIMES (Di Federico Petroni)
FIAMME AMERICANE Il dissesto politico interno agli Stati Uniti è a un punto critico. La demonizzazione reciproca ha raggiunto livelli talmente tossici da rendere possibili reazioni violente a catena.
Fiamme Americane è l’osservatorio di Limes sugli Stati Uniti e sugli intrecci tra la discordia interna e la politica estera. Rubrica curata e ideata da Federico Petroni. Tutte le puntate a questo link.
In via eccezionale, data la portata degli eventi, questa puntata è gratuita e accessibile a tutti.
Trascinato via dalla scorta, l’orecchio insanguinato e il pugno chiuso verso il cielo, Trump ha gridato ai suoi sostenitori: “Fight!”. Il rischio che lo prendano sul serio è alto.
Oggi negli Stati Uniti la soglia fra pace sociale e violenze civili è sottilissima. In America ci sono più armi che persone. Sono aumentate rapidissimamente negli ultimi vent’anni. Si sono armate categorie insospettabili di cittadini. I sondaggi indicano una profonda intolleranza reciproca fra la popolazione, con percentuali non indifferenti che ritengono legittimo uccidere un avversario politico. Le milizie e i gruppi di estremisti armati sono un fenomeno molto diffuso. Benché molti dei capibanda che hanno assaltato il Congresso nel 2021 siano in carcere o a processo, questi gruppi si rigenerano facilmente.
Secondo alcuni (rari) studiosi degli estremismi domestici, le istituzioni federali non sono attrezzate per contenere esplosioni di violenza politica. Sia perché sottodimensionate sia perché la minaccia potenziale è troppo vasta per essere controllata. Ultimamente, le autorità avevano lanciato allarmi di possibili attentati terroristici negli Stati Uniti. Per alcuni siamo addirittura in un clima di negligenza che ricorda la vigilia dell’11 settembre. Ma si parla di terrorismo internazionale, non di estremismi interni.
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L’attentato è un gesto isolato e non è per nulla comparabile all’organizzazione delle milizie nazionaliste. Tuttavia, dimostra che la violenza non è appannaggio solo dei sostenitori dell’ex presidente. In Italia e in Europa è diffusa la sensazione che se Trump perde le elezioni scoppia la guerra civile. Giudizio superficiale figlio della sottovalutazione delle reazioni dei suoi oppositori. È la figura di Trump a catalizzare violenza, da tutte le parti.
Immaginiamo uno scenario. Una nuova presidenza Trump sdogana manifestazioni disinibite della sua base. I suoi oppositori organizzano proteste. Gruppi di nazionalisti estremisti bersagliano questi ultimi. Ci scappa il morto. Suona astratto? È già successo: Charlottesville, 2017.
Il tentato omicidio di Trump radicalizzerà ulteriormente la galassia di estremisti che ruotano attorno all’ex presidente. Rafforzerà la loro convinzione di essere bersaglio di una vasta cospirazione dello Stato profondo. Di trovarsi in una lotta esistenziale. Vita o morte. Trump ha dato sfogo a una vera e propria cultura paranoica sedimentata nelle profondità dell’America.
Questi gruppi hanno individuato in Trump il loro paladino, ma non sono sue creature. Sono controllabili? La domanda è legittima. Dopo l’assalto al Campidoglio si sono autodisciplinati, consapevoli che sia stato controproducente (secondo alcuni è stata una trappola per delegittimare il movimento dei “patrioti”).
Benché li abbia esortati a combattere, a Trump converrebbe placare gli animi dei suoi fedelissimi. Non sarà facile perché dovrebbe superare il livore e il vittimismo che lo contraddistinguono. Ma si dimostrerebbe presidenziale e consoliderebbe le possibilità di vincere le elezioni. Nel caso incoraggiasse vendette, potrebbe perdere il voto di molti elettori moderati.
Dalla capacità di Trump di tenere a freno i gruppi violenti che lo contornano dipende la tenuta di un argine gravemente eroso dall’attentato di stanotte.
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